Autore
Maddalena PepeAnno
1985 -2010Luogo
Arezzo/provinciaTempo di lettura
6 minutiAlla mi' mamma piaceva raccontare... a me ascoltare...
Ricordo l'ansia del primo giorno: timida ma curiosa di entrare nell'aula, salire nel banco di legno, alto per me cosi piccola e mingherlina; avrei voluto sedermi nel primo banco ma non avevo il coraggio di chiederlo e la maestra mi assegnò il penultimo posto. Il grembiulino era nero con un fiocco bianco, la cartella nuova con dentro: un quaderno a quadretti con la copertina nera, un piccolo astuccio di legno che racchiudeva, la matita, la gomma. Il calamaio era inserito nel banco, le prime volte che intingevo il pennino mi sporcavo le dita e macchiavo il quaderno. Mi piaceva andare a scuola, imparare a leggere e scrivere, non solo perché la mamma diceva che " bisognava "andare a scuola, ma perché in classe, l'odore dei quaderni e dei libri mi davano la sensazione di essere importante o di poterlo diventare (presunzione di bimba) Poi, causa il lavoro del babbo, cominciò il nostro peregrinare per l'Italia: alla fine del 1951 lasciammo Pieve S. Stefano, compagni nuovi e un'insegnante che mi capiva, era giusta valorizzava le mie qualità, correggendo con autorevolezza i miei errori. Nel cuore sento ancora la gioia di quando bambina amavo l'odore dei quaderni e dei libri, per essere importante come persona: ora non più per l'importanza ... solamente per essere una persona serena, amante della vita, dell'ascolto, del leggere dello scrivere. Il babbo trovò lavoro presso una ditta edile ma causa un incidente rischiò di morire e dovette stare tanto all'ospedale. Per la mamma continuarono tempi difficili: andava a servizio presso qualche famiglia del paese, ma pensava sempre più spesso di partire. Nei confronti della Pieve, mia madre, nutriva un sentimento di amore - rancore: avrebbe tanto desiderato rimanere, per gli affetti familiari, per le persone amiche, per i luoghi della sua infanzia, ma era proprio destino che non riuscisse mai a costruire qualcosa di sicuro per tutti noi, questo fatto è stato motivo di grande sofferenza che non ha mai dimenticato ... fino alla morte. Nel maggio del 1951 un avvenimento spirituale rasserenò la famiglia: la mia prima Comunione ricevuta nella Collegiata di Pieve ... il più bel ricordo dopo tanti episodi dolorosi. La preparazione alla prima Comunione era affidata, oltre che al sacerdote, anche alla cura delle suore Orsoline. lo avevo suor Bernardina che con la sua testimonianza, ha messo nel mio cuore il semino della fede. Mi parlava di Gesù in modo semplice, con amore trasparente, da rendermelo un amico per sempre. La suorina, era veramente bassa di statura ma grande d'animo, mi ha fatta sentire amata da Dio di quel bene che solo Lui ci può dare e che nella vita ho avuto la grazia di ritrovare in altre persone amiche, che mi aiutano ad alimentare nel quotidiano la mia fede. In quel periodo la mamma lavorò ancora di più, per la festa e per farmi confezionare un abito bellissimo: per rispetto a Dio, si giustificava, ma soprattutto per combattere le differenze sociali di quel tempo molto evidenti, per cui lei aveva dovuto soffrire e lottare fin da piccola. La mia foto rimase per tanto tempo esposta nella vetrina del negozio fotografico Livi. La mamma aveva promesso a se stessa, che i suoi figli, non avrebbero subito alcun torto, (pia illusione materna) pur insegnandoci il rispetto per il prossimo, ci spronava a migliorarci lavorando con onestà e coraggio per superare le immancabili difficoltà, della vita.
[...]
La storia mi racconta che, dopo essere stati per qualche anno alloggiati nelle baracche, grazie all'interessamento del Prof. Amintore Fanfani, per quelle famiglie che avevano perso l'alloggio a causa dei bombardamenti della guerra, il Comune assegnava una casa popolare. A noi venne dato un appartamento in una palazzina a tre piani nella zona del Ponte Vecchio: eravamo 6 famiglie. Era locato al secondo piano e quell' appartamento mi piaceva. Composto da una stanza che comprendeva l'ingresso - tinello, illuminato da una finestra; sulla sinistra troneggiava il camino che mi dava un senso di benessere e calore. Dalla cucina, divisa dal tinello con un tavolo, si accedeva dalla portafinestra su un terrazzino in cui c'era un lavandino per lavare i panni. Due camere da letto e un bagno con WC. Davanti la casa scorreva il fiume Tevere. Pur ricercando degli spazi miei, per leggere e scrivere, mi è sempre piaciuto stare tra la gente, quindi stavo volentieri nella cucina per ascoltare i grandi parlare. Ora che avevamo finalmente una casa dovemmo partire: mancava il lavoro e quando il mi'babbo si ristabilì, nel 1949- 51, incominciò la nostra migrazione per le varie regioni italiane: grazie all'interessamento di uno zio della mamma, Pietro Gennaioli, mio padre fu assunto come operaio in un cantiere edile, in provincia di Udine per pochi mesi. Poi fu trasferito a Rocca d'Evandro (CE), a Narni ( TR) infine a Sanza (SA) Periodicamente tornavamo alla Pieve, abitavamo nella casa popolare. Erano occasioni per ritrovare i parenti e amici. .. lo zio Gigi, la zia Clementina, i miei cugini, la famiglia Suriani, la famiglia Manenti ed altre persone di cui non ricordo il nome ma ... Il comune dette la possibilità di comprare l'appartamento ma non avevamo i mezzi per farlo e quindi a malincuore ... lo lasciammo libero e dall'ora siamo ritornati sempre meno.
Pieve S. Stefano
Per la famiglia c'è una occasione
di vita migliore ma
la gioia della partenza è offuscata
dalla tristezza.
La bimba, in cima alla passerella,
si gira a guardare il torrente Ancione
scorrere sotto di lei.
Lo sguardo malinconico,
spazia sulle colline dorate e verdeggianti,
dei cipressi qua e là, il Poggio di Stantina,
la Collegiata, culla della sua fede, la scuola.
Soffre nel lasciare quei luoghi natii
... cosi famigliari ...
sente forte il profumo della terra,
i rumori amici della natura,
il boschetto ritrovo di giochi,
la mamma che lava i panni nel fiume.
Raramente ha riprovato quelle sensazioni,
e a distanza di tanti anni
... ella ricorda ancora ...