Autore
Maddalena PepeAnno
1985 -2010Luogo
Arezzo/provinciaTempo di lettura
6 minutiAlla mi' mamma piaceva raccontare... a me ascoltare...
La mi' mamma aveva la bella abitudine di raccontare ... anche per farmi compagnia ... ed io provavo il piacere mai perso, di ascoltare. Anche in questo modo la mia vita si è arricchita di conoscenza, a riferimento della vita di persone della nostra famiglia, episodi Evangelici, Omerici, della Divina Commedia, ricordi di scuola: la mamma mi cantava filastrocche, stornelli, canzoni dell'epoca educandomi al piacere del canto abitudine acquisita e mai persa nel tempo. Fattori importanti che arricchiscono la vita, che stimolano e ingentiliscono l'anima, rimanendo nella memoria per avere il piacere di essere ancora raccontati. Quando ritornammo alla Pieve, dopo il 25 aprile 1945, a distanza di anni, rivivo ancora lo sconforto dei miei: In quel periodo ci fu il terremoto ma nel frattempo il Comune di Pieve S. Stefano aveva costruito nel Giardino" Collacchioni ", difronte alla chiesa della Madonna dei Lumi, delle baracche, per chi come noi non aveva dove andare. Ai miei occhi di bimba, l'alloggio, sembrava una reggia, ma soprattutto ero affascinata dal camino costruito nell'angolo sinistro del grande locale che fungeva da ingresso e cucina. Il nonno Cecco si avvicinava al camino per alimentare di legna il fuoco ch'emanava un lieve tepore tutt'intorno: a volte il ciocco, ancora umido, scoppiettava formando scintille che m'incuriosivano. Stavo volentieri vicino al nonno che, dopo aver fatto un taglio sulla gobba delle castagne, le metteva a cuocere nel padellone bucato. Le "brisce", come le chiamiamo nel paesino toscano dove sono nata, cotte a puntino, si lasciavano sbucciare facilmente ed erano un pasto serale appetitoso e gradito. Attorno al camino, piano, piano si radunava tutta la famiglia: la mamma, prima di sedersi a cucire, attaccava il paiolo alla catena per l'acqua calda che serviva ai bisogni di tutti; poi poggiava vicina alla brace, la marmitta di coccio con i ceci o i fagioli per il pranzo del giorno dopo. Il babbo stanco si addormentava facilmente, la zia Anna teneva in braccio Racchino cullandolo per farlo addormentare e lo zio Gigi raccontava della sua prigionia in tempo di guerra. Co' la mi' mamma s'andava all'Ancione. L'immagine di mia madre che porto nel cuore e nella mente, è quella di quando bambina, la seguivo al torrente Ancione dove lei si recava a lavare i panni. Mentre io giocavo, lei sciacquava nell'acqua corrente i panni lasciati a bollire nel ranno (acqua bollente con soda e cenere) per ore. Il suo tempo era sempre poco per stare insieme: doveva lavorare per aiutare la famiglia. Al fiume la mamma alternava i racconti al canto: in quei momenti la sentivo vicina come desideravo. Guardavo mia madre battere i panni sul grande sasso del fiume che fungeva da lavatoio: nel ricordo colgo ancora nei suoi gesti, una forte volontà di rivalsa nei confronti delle avversità di quel tempo. Era una bellezza semplice, il tratto delicato, la figurina armoniosa, il passo leggero e deciso; i capelli castani che spesso legava con una retina (la moda del tempo). Dallo sguardo traspariva l'intelligenza e la gioia per la vita: quante volte l'ho sentita dire "dovrei essere triste ma il cuore canta". Non ho avuto una stanza mia nell'infanzia, ma quella dei miei genitori: ricordo il grande letto che ci accoglieva tutti e tre dopo una giornata che ci aveva tenuti divisi, la mamma stanca mi accoglieva tra le sue braccia. C'era una piccola finestra nella stanza che al mattino lasciava entrare una luce fioca, i mobili semplici, essenziali. Nel febbraio del 1946 la nascita del mio fratellino; i miei genitori aggiunsero un lettino per me che dovetti lasciare il posto a Rocco ma non fui gelosa, la mamma era sempre vicina e io finalmente, avevo un compagno di giochi. Ero felice in quel poco, la vicinanza e l'affetto dei miei, compensava quello che non avevamo di materiale.
Fratello.
Dopo tanta sofferenza,
la tua nascita voluta per amore,
desiderata con la speranza di
un futuro migliore,
Eri un bambino bellissimo,
sorridente, la gioia per tutti noi.
Ti chiamasti Rocco,
come il nonno,
perché il babbo da buon meridionale
la tradizione volle rispettare.
Era orgoglioso del suo cittino.
Mamma, si accorse presto che
non sentivi quando ti chiamava,
il sospetto il suo cuore raggelava.
L'evidenza era palese
l'accettazione difficile per chi credeva
di poter vivere serenamente,
senza pretese.
lo ti accettavo con gioia,
per cinque anni fummo
compagni di giochi.
Quando partisti per Firenze,
il distacco mi addolorò e per
giorni ... e giorni. .. vissi la tristezza
per la tua mancanza.
[...]
Ero contenta di essere tornata alla Pieve, bambina tribolata ma sempre in cerca di gioia malgrado tutto. Mi rivedo saltellare tra le macerie per giocare, ferirmi ad una natica, in cui è rimasta la lunga cicatrice. Sento ancora, nel ricordare, i disagi vissuti per la mancanza di cibo ... la pena della 'mi mamma!. .. Ricordo la morte inaspettata del nonno Cecco: per una ferita trascurata, morì di tetano. Aveva fatto appena in tempo a rivedere lo zio Gigi il suo unico maschio, di ritorno dalla guerra dopo essere stato in Grecia e Albania. Lo zio Gigi era molto affezionato alla nostra famiglia: negli anni 60, stette da noi per diverso tempo nella casa di via Lino Chini 146, prima di portare la sua famiglia da Pieve S. Stefano a Sesto Fiorentino dove lavorava.
Nel 1919 ...
La melodia e le parole
della canzone,
cullavano il suo raro riposo.
Lo zio Gigi che ricordava con
nostalgia la sua gioventù
 ... un amore perduto ..
Lo zio Gigi sempre present
nella mia infanzia
lo zio Gigi che ritornava
dalla guerra,
emozioni forti per la famiglia.
La partenza per l'Argentina:
" Non piangere cocca,
verrete presto anche voi "
Legame con radici profonde
per la sua terra natale,
malgrado il suo girovagare
per il mondo, infine,
il suo sogno si è realizzato:
alla " Pieve " è per sempre tornato.