Autore
Eno MucchiuttiAnno
2005Luogo
Gorizia/provinciaTempo di lettura
6 minutiDal palcoscenico ai campi di sterminio

Il mattino dopo incominciava la mia odissea: il lavoro. Portati all'esterno del Campo incolonna ti e guardati a vista non sapevo dove ci portassero e né cosa mi aspettava arrivati sul ciglio della, strada sul fondo si vedeva una grande cava di pietra brulicante di deportati che spaccavano pietre e altri che le portavano verso dove eravamo noi, fummo fatti scendere per un viottolo poi sempre di corsa si doveva scendere una ripida scala con alti gradini di pietra con delle punte aguzze, per correre con i zoccoli nuovi si scivolava e si cadeva, subito presi a bastonate tremende che potevano spaccarti un  braccio o romperti il capo: perciò levai gli zoccoli e correvo a piedi nudi sulle pietre aguzze procurandomi delle ferite che incominciarono a sanguinare copiosamente ma bisognava continuare incitati dalle urla bestiali delle SS e dei Kapò, guai fermarsi (porto ancora il segno delle cicatrici) Arrivato sul fondo pensai ora dovrò spaccare pietre invece no! bisognava prendere ognuno due grosse pietre e rifare la scala di corsa e portarle dove stavano costruendo una strada sempre con SS e Kapò urlanti, i gradini ora lo so erano 186 e quella era la triste scala della morte di MAUTHAUSEN che è rimasta nella dolorosa storia dei Campi di Sterminio, qui perirono centinaia di deportati. Le pietre erano pesanti ti sfiancavano ti laceravano i fianchi il fiato mancava ma giurai debbo farcela debbo resistere. Quel primo giorno sono sceso e salito ben sette volte, l’ultima salita arrancavo come un vecchio rudere, sentivo ogni tanto degli spari pensavo io sono quì mentre fuori si divertono a cacciare salendo a metà scala guardai in un viottolo laterale e rimasi paralizzato dalla paura c'erano una cinquantina di cadaveri a terra e delle SS con la pistola in mano e capii terrorizzato cosa succedeva a chi non c'è la faceva più a salire la scala, sentii in quel attimo che le pietre non mi pesavano più i piedi agili e fermi nemmeno fosse la mano di dio che mi aiutava. Quei morti che avevo visto erano i primi che vedevo. Quella notte non riuscivo a prender sonno pensavo: forse domani sarò anch'io in quel viottolo, così per giorni e giorni salii e scesi la scala maledetta.
Una mattina vidi che salivano la scala una ventina di deportati mentre io la ndevo quest però avevano sulla schiena una grossa gerla di legno con, sopra un enorme pietra e un gruppo di SS che gli accompagnava a suon di botte, erano i con dannati a morte della giornata; quando sfiniti non c'è la facevano più uno sparo e via tutto era finito. Incrociando questo gruppo il più provato mi stese la mano in segno di aiuto cosa potevo fare? Lo guardai un attimo negli; occhi spenti e proseguii con la morte nel cuore. Sentivo dentro di mè che qualcosa cambiava divenivo giorno dopo giorno sempre più insensibile a ciò che vedevo e che sentivo in me sorgeva un indifferenza bestiale a ciò che mi circondava distaccato di tutto e di tutti. Pure il mio pensiero non era più rivolto a nessuno e nemmeno ai miei genitori ed ero appena all'inizio era questo che voleva il nazismo? O questo mio distacco avrebbe invece portato invece la mia vittoria su loro? La vita nel Campo era sempre più dura sempre più stanchezza tanta stanchezza, la fame che aumentava giorno per giorno vedevo il mio fisico sempre peggiorare e mi prendeva una cupa disperazione mista a paura. Una sera al posto ella solita brodaglia aprirono delle botti che si trovavano da giorni sotto il sole il contenuto frutti di mare conditi con una salatissima salamoia piena di sabbia nonostante i crampi della fame mi fù impossibile mangiarla, così digiuno dopo ore di estenuante lavoro Al mattino dopo il solito lungo appello ore impalati a farsi contare con tanti mitze (il berretto) abt mitze auf ci misero in fila fuori del blocco per farsi radere e rinnovare con il rasoio la striscia sul capo, altre ore d'attesa. Abbi sentore quel giorno che eravamo prossimi ad un altro trasferimento. Guardavo i miei compagni di sventura già sfigurati dalle percosse con occhi gonfi labbra rotte eravamo già avviati a diventare larve umane. Finalmente venne il mio turno due deportati lavoravano con lena armati di rasoio sotto lo sguardo vigile di due Kapò nel massimo silenzio, mi accorsi che uno mi guardava in modo quasi bonario e ad un tratto mi fece segno di avvicinarmi esitai (Quelle persone avevano su di noi diritto di vita e di morte) mi richiamò e mi fece entrare in un cucinino e mi riempi una gamella di un ottima zuppa che divorai in un attimo(ero digiuno dalla sera prima) volevo ringraziarlo ma mi fece cenno di uscire in modo brusco facendomi cenno di tacere, non ho mai saputo la sua nazionalità nè perché l'avesse fatto, forse gli ricordavo qualche suo famigliare chissa? Ad ogni modo grazie chiunque tu sia. Poi mi rimisi in fila ad aspettare il mio turno, gli altri mi guardavano e qualcuno mi disse piano: hai mangiato vero? E non hai pensato a noi, come avrei potuto? Miei cari amici che non ci siete più. Quella era la legge del Campo. Finalmente la mattina dopo ore d'attesa la partenza per il nuovo Campo mai più avrei rifatto la scala maledetta. Scendemmo la collina verso la strada ferrata e strano a dirsi non c'erano i soliti vagoni merci ma un trenino sgangherato e partimmo, la meta? Ignota! mi ero fissato in mente di non voltarmi indietro a guardare ciò che lasciavo non sò perché sentivo che ciò mi avrebbe portato fortuna e soprattutto non volevo guardare ciò che più mi abbatteva, il camino del crematorio e di lì che erano usciti tanti amici e di lì che dovevo uscire anch'io ma ancora una volta ero uscito dalla parte giusta.