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Autore

Eno Mucchiutti

Anno

2005

Luogo

Gorizia/provincia

Tempo di lettura

14 minuti

Dal palcoscenico ai campi di sterminio

Finalmente il 5- 6 maggio arrivarono le prime camionette americane ed i carri armati, debbo dire che al vedere la bandiera americana mi commossi fino alle lacrime, addio croce nefasta

Il giorno dopo i lavori cessarono nemmeno l'ombra di SS e di Kapò tutti spariti c’era solo qualche vecchio soldato territoriale a gurdare il campo (e si vedeva che avevano paura) c'era ancora qualche Kapò ma non portava più la fascia al braccio, erano taciturni e pensierosi, certo che s'avvicinava per loro un brutto momento, ora bisognava stare ben all'erta correva voce che l'idea nazista era quella di portarci tutti nelle gallerie di Ebensee e lì seppelirci facendo saltare le entrate ma certo qualcosa non funzionò, la fretta di scappare era tanta che tutti gli aguzzini erano spariti. Il mattino dopo tutti in platz appel e in tutte le lingue annunciarono: SARETE TUTTI CONSEGNATI ALLA CRI INTERNAZIONALE IO LANCIAI UN URLO di gioia subito zittito (regnava ancora la paura) ci abbracciammo: senza badare se erano russi, polacchi, francesi loro avevano sempre asserito che la guerra finiva domani finalmente avevano indovinato. Noi italiani avevamo programmato che appena liberi avremmo compiuto un massacro, tanto era la rabbia accumulata dentro di noi; ma non siamo fatti per questo non è la nostra indole. Però i russi ed i polacchi mantenerono la parola e non perdonarono. Ho visto dei Kapò ridotti in tale stato che si trascinavano per terra per giorni prima di morire, e nessuno gli avvicinava erano solo un mucchio di carne sanguinolento, uno spettacolo allucinante, c'era nella piazza dell'appello una grande vasca dopo alcuni giorni vennero a galla un mucchio di cadaveri. Finalmente il 5- 6 maggio arrivarono le prime camionette americane ed i carri armati, debbo dire che al vedere la bandiera americana mi commossi fino alle lacrime, addio croce nefasta. Iragazzi americanierano tutti ben piazzati ed equipaggiati, avevano passato prove tremende per arrivare fino a noi eppure al vederci vere larve umane avevano le lacrime agli occhi e ci salutavano, diversi carri armati divelsero i reticolati e poi proseguirono lasciando il campo libero (quella notte fu una notte tremenda scassinate armerie magazzini cucine viveri, furono accesi fuochi. da tutte le parti e a gruppi divisi da soli per nazionalità incominciarono a cuocere fritelle, patate, pane ecc. ogni gruppo era armato per difendere il cibo e guai avvicinarsi. Girare per il campo era pericolosissimo allora pensai Eno hai penato tanto è meglio che vai a dormire non si sà mai. Mi avevo procurato per difesa una grande accetta come arma di difesa (ma non ci fù bisogno d'adoperarla), stentavo a prender sonno ogni tanto si sentiva qualche sparo delle voci agitate. I pensieri si accavallavano non mi racappezzavo come c'è l'avevo fatta certo ero ridotto ad uno stato bestiale ma ero vivo, poi dormii un paio d'ore al mattino mi svegliai da solo senza sentire le urla bestiali che ci aizzavano e ci picchiavano. Nel campo mancava l'acqua ma pensai ora sono in buone mani e di qui non mi muovo. Mi recai all'entrata del campo a vedere arrivare i camion americani carichi di viveri, mi ricordo che un soldato sbucciava su di un camion una arancia e buttò le buccie con noncuranza a terra con un balzo le raggiunsi e le raccolsi al sentire quel profumo mi sentii vicino all'albero di Natale quando ero bambino e mi emozionai (ma le divorai in un attimo). L'inghippo lo trovarono gli americani quando aperti i locali del crematorio trovarono montagne di cadaveri ammucchiati perché il crematorio non funzionava da giorni e tutto era rimasto lì. Vennero requisiti tutti i feretri di Ebensee poi quando non c'erano più vennero costruite casse in semplice legno poi fosse comuni, portavano via i cadaveri con dei carri ricoperti da teloni (mi ricordavano i carri dei monatti dai Promessi sposi del Manzoni) Gli americani requisirono tutta la farina di Ebensee, ridarono l'acqua aprirono le doccie ci fecero portare tutte le coperte ed in vestiario nel piazzale e ci spruzzarono una polvere bianca che finalmente ci liberò dai pidocchi, seppi poi che questa polvere per noi benefica si chiamava D.D.T. . - Alla sera la prima distribuzione del rancio americano una vera zuppa con dei pezzi di carne e del vero pane, io abituato a mangiare erba che raccoglievo di nascosto quella zuppa era nettare, quel pane la manna del cielo, quella distribuzione fu molto movimentata e quasi tragica ed anche noi eravamo impauriti nel piazzale ove si svolgeva la distribuzione eravamo migliaia che appena viste le marmitte della zuppa cominciarono ad avanzare minacciosamente frà risse e spintoni; questo certo era previsto dagli americani che fecero avanzare alcune jepp con le mitragliere e incominciarono a sparare contro di noi certamente sopra le nostre teste, allora la massa indietreggiò e si mise in modo più ordinato ad aspettare, questa la prima distribuzione. Il giorno dopo venimmo divisi per nazionalità ed assegnato per ogni gruppo un blocco, provare la gioia di svegliarsi, alzarsi con calma fare una bella doccia calda (non quella gelata) vestire abiti puliti, ritrovare i pochi compagni rimasti parlare solo la nostra lingua non il dialetto del campo fatto da un intreccio di cento idiomi. Il mattino mi trovavo fuori dal blocco quando udii degli aerei passare a bassa quota pensai addio quì ci bombardano (non sapevo ancora che la guerra era finita) andai a vedere cosa succedeva; erano aerei americani che paracadutavano dei grossi involucri subito raccolti dai soldati. Dei carri armati erano stati trasformati in buldozzer ed abbattevano dei pini, in un attimo venne fatta una grande spianata dove furono erette delle tendopoli enormi quello era il nostro ospedale da campo. Arrivarono medici, crocerossine, si cercava di salvare più gente possibile ed anche qualche blocco venne trasformato in ospedale, ci furono fatti dei controlli medici pure con i raggi X distribuite vitamine, passavo quei giorni beandomi a vedere quanto accadeva.

[...]

Mentre il camion si allontanava dal campo mi volsi a guardare il lugubre camino del crematorio e pensai addio miei poveri amici povere vittime della pazzia Nazista; Iddio vi dia la pace eterna

Incominciavamo noi italiani a preoccuparci, nessuno si faceva vivo per il nostro rimpatrio. Ho saputo poi che la Delegazione Italiana aveva avuto notizie che ad Ebensee non c'erano superstiti italiani. Si respirava un’altra aria nel campo ma avvennero dei fatti gravi di sangue nel Campo. Gli americani avevano preso quasi tutte le SS in fuga travestiti anche da deportati pur di salvare la pelle, ma le SS sono facilmente riconoscibili dal tatuaggio della propria matricola sotto l'ascella. Questi SS ormai ridotti prigionieri venivano portati sotto scorta americana a fare le pulizie del campo obbligati ai più infidi lavori, sfuggivano i nostri guardi stavano ad occhi bassi ed erano molto impauriti; terrorizzati della nostra presenza. Entravano a gruppetti nei blocchi sotto l'occhio vigile della sentinella con il mitra pronta l'americano se nè stava tranquillo masticando l'inseparabile gomma, però volgeva volutamente le spalle e faceva l'indifferente, ho assistito personalmente all'entrata di gruppi di deportati russi, polacchi scalzi per non fare rumore velocissimi ed in un attimo giustizia era fatta, non c'era scampo per la SS nemmeno un grido nulla solo silenzio di morte. Per questi casi il Comando americano intervenne e ci lasciò un giorno digiuni avvertendo che la giustizia apettava a loro, noi potevamo solo denunciare. se c'era qualcuno o qualche ex vice Kapò, loro avrebbero giudicato. Un pomeriggio arrivò una jepp con un sacerdote italiano dell'Assistenza Pontificia che si trovava a Salisburgo rimase sorpreso a trovarci ancora lì, (eravamo ormai in giugno), spiegai a nome di tutti la nostra situazione, intervenne subito con il comando e ci promise che due giorni dopo al mattino presto arrivava con i camion per incominciare il rimpatrio prima tappa Salisburgo e così avvenne, quando salii sul camion (americano) avevo le lacrime agli occhi per la gioia e per il dolore per quanti erano rimasti lì per sempre. Mentre il camion si allontanava dal campo mi volsi a guardare il lugubre camino del crematorio e pensai addio miei poveri amici povere vittime della pazzia Nazista; Iddio vi dia la pace eterna Da Salisburgo passammo a Insbruch poi con il treno passammo il confine al Brennero sul pennone al confine sventolava la bandiera tricolore, provavo una strana commozione vi prestavano servizio i bersaglieri che ci salutavano con grandi gesti ormai tutto il mondo cominciava a sapere cosa era successo; in quei campi le voci correvano, la stampa la radio di tutto il mondo nè parlava anche con grande incredulità che possa essere successa una simole carneficina 11.000.000. di morti di tutte le età nei modi più atroci e perfetti. Ad ogni tappa ad ogni stazione madri che ci mostravano speranzose le foto dei padri dei figli con la speranza di avere qualche notizia ma purtroppo con esito sempre negativo. (confesso che poi a Trieste molti congiunti mi chiesero notizie del proprio figlio io risposi sempre negativamente ma io gli avevo visti morire in modi atroci come potevo dire ad una madre un padre si l'ho visto morire. Pensai forse spereranno ancora poi piano pia il dolore passerà. Non sò ancora se ho fatto bene ho se hò fatto male ma le mie condizioni in quei giorni non mi permettevano di ritornare indietro con il pensiero. Dopo molte peripezie arrivai a Treviso poi Udine avevo viaggiato tutta la notte su di un caro merci scoperto al chiaro di luna seduto frà il carbone che trasportava, e bontà dei ferrovieri che ci lasciavano. A Udine sbarcai frà i binari con la faccia nera di carbone e stavo lavandomi la faccia al collo avevo un pezzo di bandiera Hitleriana quando mi si avvicinarono con fare sospetto dei partigiani e partigiane chiedendomi in modo brusco di che battaglione sei? Con calma estrassi il documento americano e glielo diedi, rimasero di stucco un anno di campi di sterminio. Mi chiesero scusa e mi offrirono da fumare gli ringraziai e gli dissi purtroppo io non fumo, e avrei voluto incontrarvi tanti mesi prima, mi strinsero tutti la mano e se nè andarono pensierosi. Con una tradotta giunsi a Cervignano e per raggiungere Pieris il ponte ferroviario era interotto, m’incamminai a piedi il sole picchiava forte la strada era lunga la gente veniva trasportata con dei carri trainati dai cavalli s'intende a pagamento io non avevo un quattrino ad un tratto un carro si fermò ed il conducente ci disse salite sò da dove venite non voglio niente da voi, giunti a Pieris c’indirizzo dove avremmo trovato un posto di ristoro una sede del PCI che ci trattarono come ospiti di riguardo. Poi tradotta Pieris Trieste era ormai il 22 giugno 1945, ero partito da Trieste il mese di agosto 1944. Alla stazione c’era un centro di smistamento quì consegnai il giovane istriano Carlo Lizzul al quale avevo, fatto da balia per mesi e mesi. Uscii dalla stazione erano circa le 19 e mi avviai verso casa, mi sembrava un sogno camminare per le strade di Trieste ma più mi avvicinavo a casa piu mi prendeva un senso di sgomento e pensavo avrei trovato i miei genitori? mia sorella? ci sarà ancora la casa? Erano vivi; Mai avevo avuto notizie di loro tanto meno loro di me? Tutto il mio coraggio il mio concentrarmi per ritornare ora svaniva mi sentivo perso senza forze. Prima di svoltare l’angolo della piazza dove abitavo mi fermai non avevo più il coraggio di proseguire il cuore mi batteva forte, forte, avevo passato tante paure la morte sempre vicina ed ora mi bloccavo, mi si avvicinò una signora che mi chiese visto il mio abbigliamento: lei è un reduce vero? Poi mi disse io sono la moglie del macellaio quì vicino e da mè viene una signora che ha pianto per morto suo figlio e che non ha saputo nulla di lui. Oggi è felice perchè io ieri sera ho ascoltato dalla radio Svizzera il nominativo di suo figlio nelle liste della CRI internazionale; le chiesi signora ricorda il nome? Mi disse: Eno Mucchiutti, le dissi signora grazie sono io, e scappai quasi di corsa, la paura era passata. Svoltai l'angolo e da lontano vidi mia madre sembrava che m’aspettasse mai abbraccio fu più caloroso, poi trovai mio padre ancora più commosso, non vedevo mia sorella ma mi rassicurarono che era via per lavoro, la vidi alcuni giorni dopo. I miei mi chiesero dove sei stato? Cosa hai fatto? Perchè non ci scrivevi? Risposi: vi racconterò un poco alla volta. Quella notte dormii nel mio letto, la lunga parentesi era finita e già mi pareva un sogno lontano. Dovetti poi ricredermi purtroppo, mai più sono riuscito a dimenticare vedo i volti dei miei compagni rimasti lassù, vedo i Campi, i Blocchi, sento le urla strazianti non posso o forse non devo dimenticare, mi auguro che mai nessuno veda o provi quello che ho provato io. Oggi a 85 anni è ancora tutto chiaro nella mia mente e posso dire che la mia stata una vittoria sul nazismo.