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Autore

Eno Mucchiutti

Anno

2005

Luogo

Gorizia/provincia

Tempo di lettura

8 minuti

Dal palcoscenico ai campi di sterminio

Il campo sempre più pieno, il cibo sempre piu scarso c'era una strana calma, ma bastava un nonnulla per scatenare gli aguzzini;

 

Nella stube incominciarono tra me ed il medico (pseudo) degli screzi: pretendeva che mentre distribuivo la zuppa ne serbassi per lui la parte migliore e se c'era qualche osso dessi tutto a lui, immaginarsi con tutti gli occhi addosso degli ammalati e affamati io mi rifiutai e per minaccia mi disse domani quando viene la visita di Musikant ti dimetto e così fece. Musikant mi toccò i muscoli e disse: buono per il lavoro, salutai tutti i miei amici e tornai al blocco 17.

[...]

Finalmente venne l'ordine della sospensione del lavoro, pensai Eno ci siamo, stà in guardia più che mai, quei giorni no sò perchè mi cambiarono di blocco e li non conoscevo nessuno ero spaesato, conobbi un rumeno un caro ragazzo che mi aiutò ad ambientarmi si chiamava Marius parlava bene l'italiano che mi guidò ed aiutò nel nuovo ambiente. Dopo alcuni giorni venni di nuovo preso in forza al blocco 17. Tutta questa massa che girava per il campo era impressionante, una mattina solita conta e tutti al lavoro ma a piedi, niente treno, uno sfacelo; temevo nell'entrare nelle gallerie che ci blocassero ma c'erano pure loroSS e Werrnacht, e certo non potevano far saltare le entrate, trasportammo tutto il giorno tronchi, rotaie, e finalmente fatti rientrare sempre a piedi; per la strada si vedevano colonne di profughi in fuga certo i russi erano ormai vicinissimi, passavano camion carichi di feriti e pensai ci siamo ormai c'è l'ho fatta. Invece dovevo passare ancora delle prove durissime. Il campo sempre più pieno, il cibo sempre piu scarso c'era una strana calma, ma bastava un nonnulla per scatenare gli aguzzini; un mattino ero in giro per il campo in cerca di notizie quando suonò l'allarme aereo, bisognava rientrare immediatamente nel proprio blocco guai circolare per il Lager, mi trovavo troppo distante dal blocco così mi gettai nella buca più vicina, le sentinelle scendevano dai mirador e sotto avevano una buca in cemento con il coperchio e li si chiudevano. In un attimo a bassa quota arrivarono i Mig russi e incominciarono a mitragliare tutti i mirador delle sentinelle attorno il Lager, vedevo chiaramente la stella rossa sulla fusoliera (come avrei voluto volare via con loro) e ci salutavano con la mano mai avrei pensato la paura che avrei passato un attimo dopo. Cessato l'allarme mi precipitai nel blocco e rimasi di sasso, tutti erano allineati  e stati appena contati e ricontati tutti gli occhi erano puntati su di me, l'unico mancante all'appello ero io! il terribile capoblocco mi fece cenno di avvicinarmi mi chiese dove ero stato un poco in tedesco un poco in russo ed un poco di polacco cercai di spiegarmi ,mi guardò torvo ed incominciò a venire verso di mè mi dissi addio Eno ora ci siamo questo ti massacra era a pochi passi da mè, in quell'attimo arrivò lo schraiber Fellner (che sapeva che non ero prima presente: chiamando a gran voce Eno, Eno; il capo blocco si fermò e chiese notizie di me a Fellner, Fellner gli spiegò che ero stato tanto tempo al Revier ammalato che ero rientrato da poco, gli disse che ero un artista lirico italiano, come per incanto la belva si ammansì e sorridendo mi disse: ah tu singer italienisch singer, singer (canta canta) le gambe mi tremavano ero ancora impaurito ma trovai la forza di cantare mi ricordo che cantai la canzone mamma l'uditorio tutto aveva gli occhi lucidi e dovetti ripeterla assieme ad altre canzoni. La belva mi diede la mano e mi disse: morgen essen domani io ti darò da mangiare. Pensai senza Fellner sarei stato spacciato e questo quì domani nemmeno si ricorda di me.

In piena notte finalmente arrivammo a destinazione, fatti scendere il pavimento del vagone era seminato di cadaveri le gambe mi sorreggevano a malapena.

L'indomani era lui che distribuiva la zuppa venne il mio turno e mi guardò in modo benevolo, andai a mangiarmi la zuppa e stavo per andarmene e vidi che mi faceva dei cenni di avvicinarmi un poco titubante mi avvicinai e la belva sorridendo mi versò un enorme razione di zuppa. Mai avrei pensato che quel delinquente avesse ancora un pò d'anima. Ancora una volta Fellner era stato il mio angelo custode. Per Melk era arrivato l’ordine di sgombero, i russi erano vicini decisero con una visita sommaria, chi poteva camminare partiva a piedi e via danubio gli altri con un trasporto via ferrovia; Ancora una volta Fellner riuscì a mettermi nella lista per il treno. Il viaggio fu una tragedia, stipati in un carro bestiame e tutti inginocchio perché nessuno potesse gurdare l'esterno, le gambe si intirizzivano, chi cadeva veniva soffocato dagli altri ogni tanto il trasporto si fermava e ad ogni fermata salva un SS a distribuire delle robuste razioni di botte con il calcio del fucile per imporre il silenzio alle grida di aiuto ed ai lamenti dei morenti rompevano teste braccia, io ero riuscito a mettermi proprio nell'angolo così almeno ero lontano dagli assalti delle belve, ogni galleria che il treno infilava mi alzavo per sgranchirmi le gambe. In piena notte finalmente arrivammo a destinazione, fatti scendere il pavimento del vagone era seminato di cadaveri le gambe mi sorreggevano a malapena. Lessi sulla stazione la scritta EBENSEE, pensai per mè questo è pure il capolinea, qui non mi conosce nessuno, è finita! Contati e ricontati c'incaminammo verso il campo, vedevo le luci abbastanza lontane, a proposito (dell'illuminazione di questi campi, quando venivano le incursioni aeree notturne avrebbero dovuto essere illuminati secondo le convenzioni internazionali per preservare i prigionieri dai bombardamenti, invece venivano spente tutte le luci per nascondere al mondo intero l'orrore e la vergogna di quelle fabbriche di morte. Seppi poi che il tragitto a piedi del resto dei deportati di Melk si svolse in modo tragico; giorni e giorni di cammino poi su barconi sul Danubio, chi cadeva sfinito veniva finito sul posto quando arrivarono erano sfiniti e decimati. Finalmente arrivammo all'ingresso del campo, solitiSS con i cani molti kapò per prenderci in consegna e prima cosa ci avviarono per fare la doccia in quel momento voleva dire entrare nelle camere a gas e finirla, mi guardai in giro non c'era via di scampo, i reticolati con la corrente erano lontani mi dissi Eno è finita! avevo lottato, sperato, resistito mesi con la morte accanto giorno per giorno fame freddo, botte malattie ed ora tutto si risolveva solo un ultima preghiera e sentirmi quasi felice di finirla. Scappo dalle fila e una scarica di mitra mi stende o arrivo ai reticolati e mi fulmino questo avrei fatto pur di non entrare nella camera a gas. In quel momento arrivò un SS confabulò con un ufficiale, e la colonna venne smistata in un grande blocco e spediti a dormire. Erano già due giorni che non mangiavo ma nemmeno ci pensavo, un attimo prima ero sulla soglia della morte, ora ero disteso su quelle tavole, ma ancora in vita. Al mattino ci svegliarono le urla dei kapò, ci presero i vestiti e lasciati solo in camicia, vidi che il blocco era recintato e di lì certo non di usciva, si poteva stare all’aperto, mezza zuppa al giorno, un minuscolo pezzo di pane che pane non era e basta. Stavo all'aperto appoggiato al recinto quando vidi passare un deportato con la sigla IT sul triangolo rosso lo chiamai era un anziano del campo che subi mi disse/Guarda che ti trovi nel blocco della morte: o muori di fame o ti gasano, qui il campo è saturo e i casi di morte a centinaia, posso solo suggerirti che quando vengono a cercare se c'è gente in buono stato per lavorare cerca d'infilarti, altrimenti quì è finita per tè, guarda siamo presto alla fine ma pure loro, resisti forse c'è la fai, ci abbracciammo mai più l'ho rivisto; graz amico sconosciuto.