Autore
Carla CenacchiAnno
1970 -2012Luogo
Pontecchio (Sasso Marconi, Bologna)Tempo di lettura
7 minutiDall'Appennino alle Ande e ritorno
A primi di marzo la ragazza di Pontecchio partì. Andava ad imbarcarsi a Genova, sulla nave Antoniotto Usodimare e iniziava realmente uno dei tanti viaggi che con la sua fantasia aveva fatto.
Fu duro il distacco. 
Con le sorelle riuscì ad essere scherzosa e forse nessuna si accorse di ciò che stava succedendo veramente. Con i fratellini fu ancora più facile… dormivano tutti!
Era un gioco? Si stavano preparando per una delle tante loro rappresentazioni? Avevano fatto molte commedie in parrocchia: erano tutte e tre “attrici” e seriamente si preparavano, sotto la guida di Suor Plautilde e di Suor Rosina per la festa della parrocchia. Era una commedia anche questo saluto? O solo lo sembrava?
Salutare mamma Dina fu difficile, le venne un nodo alla gola che la riempì tutta e piangendo, le due donne si abbracciarono stringendosi forte e a lungo.
Davanti al padre non riusciva a staccare gli occhi dai suoi e non poteva muoversi. Suo padre, uomo di poche parole, guardandola con occhi d’acciaio le disse che, se il matrimonio andava male, la colpa sarebbe stata soltanto sua, se fosse andato bene, il merito sarebbe stato solo di quel tale che avrebbe dovuto sostituire tutti gli affetti, tutto il calore che lei lasciava, per andarsene a migliaia di chilometri di distanza: “ma se viene a mancarti la salute, scrivi la verità, per favore figlia e ti verremo a prendere!”.
Fu un abbraccio, prima con gli occhi, poi con le braccia, forte forte, non finiva più.
Caro Cenacchi! Aveva i goccioloni anche lui!
Lei trovò un posto dentro di sé a quelle care parole e diventò serena, addirittura allegra, non capiva più la tristezza del padre e quel vuoto negli occhi della madre.
Stava chiudendo la porta di quella casa per un grande punto interrogativo. Il suo letto, l’odore di casa, le parole con le sue sorelle, l’infanzia dei fratellini, la cornice della sua finestra e la porta di quella casa, tutto era stato infilato in fretta dentro la borsa del cuore.
Ci sarà poi il tempo di riguardare tutto per fare una scelta, ingrandire o rimpicciolire. Sì, ci sarà tempo!
Adesso l’urgenza di raggiungere l’amore e un sogno era più forte di tutto.
I vent’anni sono pericolosi. Sono cristalli: stupendi e fragili.
Tranne la gita scolastica fatta a Roma per l’Anno Santo del 1950, Carla non si era mai allontanata da casa. Quel giorno di marzo del 1953, dopo aver fatto in treno il tragitto da Bologna a Genova, la novella sposina si trovò sull’albergo galleggiante della nave Antoniotto Usodimare, a salutare Claudia sua sorella, Franco e la moglie Marta, che ora sventolavano un fazzoletto dalla banchina.
L’orchestra della nave suonava. Le sirene della nave ululavano e le figure, prima ben distinte dei suoi cari, diventarono un tutt’uno con la folla. 
Ricordò in quel momento di aver detto tante volte alla madre “quando sarò grande io viaggerò molto” e che la madre regolarmente le rispondeva “si, si, tanto sei fantasiosa che chissà cosa succederà al tuo domani, quando dovrai mettere i piedi per terra!!”
Carla non s’aspettava però che la realtà fosse così forte, dura.
Era questo un momento che non aveva mai immaginato: terribile, impossibile da accettare invece lo stava vivendo, soffrendo e non poteva tornare indietro.
La nave s’allontanava dalla banchina e lei s’accorse d’essere sola, in mezzo a tanta gente. La distanza fra la nave e la banchina si allungava, la folla ferma diventava sempre più piccola. Lei guardava avanti e mentre provava quelle irreali sensazioni, vedeva un puntino rosso: era la sciarpa colorata di sua sorella Claudia e sembrava una bandiera che sventolasse ancora. [...]
Un viaggio come una bolla senza tempo e senza spazio.
Poi il porto di Genova così chiassoso, così movimentato, così anonimo e freddo, con quella nave grande, grossa, così attaccata alla riva, al cemento.
Poi i saluti e il distacco da Claudia, l’abbraccio di Franco e di Marta, la tensione e la paura che si leggeva negli occhi di tutti quegli sconosciuti che aveva intorno.
Troppe cose, troppi cambi ed emozioni in un sol giorno.
La fatica ebbe il sopravvento e la obbligò a sedersi sul letto che, in quella cabina a più letti, portava il suo nome.
Si sdraiò. Pianse ancora, non più a singhiozzi ma lentamente, con la nostalgia di tutto ciò che già le mancava: la sua famiglia!
Si addormentò. 
Il brusio di due ragazzine che erano in cabina con lei la svegliò. Si presentarono, e la invitavano ad andare a pranzo, perché era già stato annunciato con un suono di gong.
La vita da grand’albergo era iniziata!
Si sentì sveglia e capace di approfittare di quel viaggio vero da vivere su di una nave vera.
Lo stava iniziando in quel momento e doveva scrivere a casa, ai suoi, tutto quello che vedeva intorno a lei, ma mai quello che sentiva, che provava in quel momento: avrebbe fatto soffrire suo padre e sua madre, forse un po’ meno le sorelle, i problemi di ogni ora che passava, le avrebbero distratte; ma suo padre e sua madre, che in quel momento stavano morendo per lascarla seguire un ideale, non dovevano essere rattristati, non doveva far loro sentire questo suo vuoto, questa sua tristezza, ma doveva cercare di essere per loro sempre piena di spirito e di allegria.
Sola, ma in viaggio di nozze.
Un viaggio come una bolla senza tempo e senza spazio.
Lungo momento di pausa, così lontano da quelle voci che da sempre avevano accompagnato la sua vita.
Il mare si lascia guardare: è un cielo rovesciato!