Autore
Carla CenacchiAnno
1970 -2012Luogo
Pontecchio (Sasso Marconi, Bologna)Tempo di lettura
10 minutiDall'Appennino alle Ande e ritorno
Arrivò in Perù alle 11 di sera dei primi di aprile del 1953 dopo aver attraversato due oceani e un canale e affrontato i grandi cambiamenti che il distacco dalla famiglia le aveva imposto. 
Sbarcò al porto del Callao e cercò tra la folla un uomo che la riconoscesse e che lei riconoscesse.
Lo vide. Fu lui a raggiungerla e a darle il benvenuto in quella terra nuova e lontana così profumata di promesse cullate a lungo nell’attesa dell’uno e nel lungo viaggio dell’altra. 
Fu lui a darle, da quel primo momento, tutto il calore che aveva lasciato a casa, alla Longara, a Pontecchio.
Aveva un marito e un amante in quell’uomo, che la sapeva rendere felice e le permetteva di essere la stessa che era a casa sua, in Italia. 
Ogni cosa sgradevole o triste che succedeva, lei, con la sua fantasia, la colorava, ne vedeva il lato umoristico; commentava e comunicava a lui il suo buon umore, portava anche lui con lei a Pontecchio.
Diceva:
“Chiudi gli occhi, sei a casa tua, c’è lì tua madre, tuo fratello, cosa faresti o cosa diresti loro? E allora dillo forte, parla con tua madre, con tuo fratello, e vedrai che la cosa triste o la cosa sgradevole diventa subito diversa.”
E così era lui per lei: se aveva bisogno di babbo, lo chiamava Bak. Se aveva voglia di ridere e scherzare con Claudia 0 le altre sorelle, lo chiamava Bacchellino. Se desiderava parlare con la madre, lui era sempre lì, attento, premuroso: era tutta la sua famiglia numerosissima racchiusa in un’unica persona, in un pensiero. Era qualcosa di più, era suo marito! Erano due persone molto ben ingranate, molto unite, erano strette attaccate legate e si completavano a vicenda.
La vita di coppia era iniziata bene, e il susseguirsi dei giorni e degli anni a venire avrebbero detto il resto. [...]
 
 
Siamo nel 1959, il lavoro nella Trattoria comincia a dare i suoi frutti; il personale scelto da Bacchelli e messo a percentuale sul servizio, rende più libera la coppia.
Sandro, il primo figlio sta crescendo bene, ha un carattere vivace, allegro e ha sempre “un pallone tra i piedi”.
Ha cinque anni Sandro quando nasce la sorellina.
Franca, la seconda figlia, nasce senza complicazioni e senza fatica. Franca è bella, pesa 4 quas Kilogrammi. È stato un parto facilissimo avvenuto nella clinica El Hogar de la Madre.
Ricordando molto bene ciò che era successo con il latte materno al momento della nascita di Sandro, quella mamma non vuole allattare. Non vuole a nessun costo.
Anzi, si fa stringere una fascia sul petto e il latte “torna indietro”. Ha troppa paura di creare altri problemi, col suo latte. La bimba, a due mesi dalla nascita, muore.
“Morte improvvisa” dice il medico del pronto soccorso che ha in braccio la bimba e la mamma si sente colpevole perché in quel momento non è in casa, perché non sa cosa può essere successo, perché non ha voluto darle il latte.
Lei, la mamma, s’accorge solo tre ore dopo, ritornando dalla trattoria, quando è di nuovo l’ora dell’altro biberon, che la bimba non c’è più.
Una bimba così tranquilla, pacifica, non piangeva mai, non aveva mai fame, ma mangiava sempre con avidità e faceva il suo ruttino con molta calma, poi riprendeva a dormire tranquilla. È solo rientrando dal lavoro, quando la prende in braccio ed è sicura di doverla svegliare, che s’accorge invece che un braccino penzola, e il battito non c’è.
La madre urla, spalanca la porta con la bimba in braccio, è in strada, ferma la prima macchina che passa, chiedendo di essere portata all’ospedale lì vicino. Intanto la donna di servizio, che era lì in casa, che solo guarda e non capisce, va lei in negozio a dire al Bacchelli che la moglie è corsa in ospedale con la bimba. Lui la raggiunge ed è “morte precoce” la diagnosi che fa il medico del pronto soccorso.
Due genitori distrutti, avviliti, disperati, abbracciati portarono a casa quel fagottino ancora caldo. Lo prepararono per il funerale che avvenne il giorno dopo. [...]
 
Il 22 dicembre 1960, a Dio piacendo, nasce Carlo.
Nasce nella clinica di Lima “El Hogar de la Madre” alle 12 in punto e, anche lui come Sandro, senza troppa fatica e in perfetta forma.
Era un giovedì, giorno dei tortelloni in Trattoria e sulle dieci e mezza mentre finiva di riempire gli ultimi tortelloni, aiutata dai ragazzi del laboratorio Carla sentì una prima fitta alla schiena.
Si sedette stringendo i denti, poi ricordando si rilassò e, aumentando la respirazione, trattenendola poi lasciandola andare lentamente come già le era stato insegnato dalla levatrice che l’aveva guidata nel primo parto, capì che non poteva aspettare l’arrivo del Bacchelli uscito per una volata al mercato a ritirare della merce di cui c’era urgenza in trattoria.
Si fece portare da casa il valigino, fece fermare un taxi e diede l’indirizzo della clinica al taxista.
Dallo specchietto retrovisore l’autista seguiva il suo viso, cioè guardandola vedeva il susseguirsi delle contrazioni della signora troppo frequenti. Chiese se era il primo figlio e dopo aver saputo che era il terzo disse che occorreva accelerare.
Con il braccio fuori dal finestrino e il fazzoletto bianco in mano mise piede all’acceleratore ed arrivarono in clinica dove le infermiere la attendevano con il lettino pronto all’ingresso. Erano stati avvisati dalla trattoria che lei era in arrivo.
Ecco Carlo. È un bel bambino di quattro chili e mezzo, e la mamma, cosciente di essere sola, vuole vederlo, controllare che tutto avvenga in forma regolare: l’impronta del piedino, e il nastrino colorato con nome, data e ora, legato alla caviglia. Chiede il telefono, si fa aiutare dall’infermiera che la assiste a fare il numero della trattoria. Parla con il marito il quale le dice che poteva aspettare perché lui è arrivato appena lei è partita.
“No,” dice lei “perché il bimbo È già nato: è un maschio!”
Lui, il padre è felice: “come stai? Dimmi com’è?” ma lei sente che è anche seccato e deluso.
“Ma perché tu devi fare sempre tutto da sola?”.
“Non è vero, è andato tutto bene solo perché con me, vicino a me c’eri tu e tu sai che io non potevo aspettare! Ora ti abbraccio forte forte, ma mi devi lasciar dormire. Dicono che è una grossa fatica partorire. Sarà per questo che ho tanto sonno”.
Ma subito quel babbo felice è lì a condividere con questa mamma la decisione dell’allattamento.
Lei non si rifiuta di dargli il latte, ma fa in modo di dargliene poco poco del suo e di averne sempre pronto molto di quello in polvere. [...]
 
Carlo ha nove anni quando muore il babbo Bacchelli, Sandro ne ha quindici.
Di fuori sembra non sia successo nulla.
I lavori in campagna sono fermi, lassù a Rasiglio. Ci si penserà più avanti. A Lima la trattoria va avanti lo stesso, ma bisogna dare il cambio agli amministratori.
I ragazzini continueranno ad andare a scuola come prima, con nonna e zie e cugini.
Nessuno si ferma. Tutti guardano avanti, tutti sanno che Bacchelli non c’è più e la vita continua.
È tremendo come questa cosa invisibile che è la vita ti passi addosso così! Lei senza il “suo tutto” guarda il sole sorgere, il sole calare, poi la notte che arriva come niente fosse successo.
Si ripete le parole che lui le diceva quando era morta la bimba per rompere quel sipario di nebbia dove lei era finita: “L’inevitabile quando è lì non puoi farci niente, lo devi solo accettare e devi andare avanti”.
Lui gliele sta dicendo, lui le insegna a comportarsi anche adesso. E anche se lui non c’è più, tutto va avanti lo stesso. Come prima. No! Nooo! Noooo!!! Non può essere!
Ed invece è. L’inevitabile è lì e lei lo deve accettare. Basta, è così. I no! Tanti e urlati in silenzio.