Autore
Carla CenacchiAnno
1970 -2012Luogo
Pontecchio (Sasso Marconi, Bologna)Tempo di lettura
8 minutiDall'Appennino alle Ande e ritorno
Da quella cena “da Giuseppe” aveva scoperto in quegli occhi, in quel suo modo di parlare, la capacità, la chiarezza, la fiducia che lui sapeva inculcare negli altri, in chi lo ascoltava. Parlarono di tutto, stavano iniziando a conoscersi, ma lei era già presa dalla sua calma, dai suoi principi, dalla sua vita vissuta in quel pezzo di mondo così vicino alla casa di lei, ma così lontano dal suo mondo di ragazza abituata a trascinare altri con parole lette, copiate, mai sue.
Per un momento quella sera, lei chiuse gli occhi, ed ebbe paura per un istante che si vedesse che tremava: desiderava ardentemente raggiungerlo nel luogo della mente in cui lui già viveva. Lei godeva di questa conoscenza, di questo essere lì con lui. Lo sentiva vicino e lontanissimo, quel suo desiderare di partire lo portava ancor più lontano da lei… mentre invece lui voleva che lei andasse da lui, con lui, per lui.
Quella sera durante la loro fuga segreta, prima che Bak la riaccompagnasse a casa dalla sorella Carmela, avevano trovato un modo di comunicare, un progetto solo loro, che lassù in canonica non sarebbero riusciti a fare, perché impossibilitati a parlare apertamente di sé stessi.
Nell’ottobre del 1952 il Bacchelli partì solo promettendo di scrivere ai suoi una parte della verità che avrebbe incontrato laggiù oltre l’equatore. A lei sola, al fermo posta di Bologna, avrebbe scritto le verità assolute che avrebbero potuto impaurirla o farla desistere dal suo proposito di raggiungerlo.
Le lettere erano descrizioni di paesaggi e di abitudini nuove e diverse, mescolate ai sentimenti e alla nostalgia, nostalgia grande, forte, procurata dal distacco dalla famiglia e dalla propria terra.
Un giorno arrivò anche una missiva in busta grande e speciale: era la procura che l’uomo lontano mandava al vecchio amico di famiglia perché lo sostituisse in chiesa il giorno del matrimonio.
Arrivarono i documenti, ma il padre negò la firma. Il motivo fu subito chiarito.
“Vedi figliola, sei minorenne ed io debbo andare in Municipio a dichiarare che ti autorizzo a sposare e a partire, ma se domani tu ti troverai male, per un qualsiasi motivo, puoi sempre rinfacciarmi che io, più vecchio che conosco la vita più di te, non solo non ti ho avvertita, ma ho anche firmato perché tu te ne andassi da casa. No, no, no! Quando avrai la maggiore età, i tuoi 21 anni, potrai decidere tu per te, senza bisogno di firme, e sarai tu l’artefice e la responsabile delle tue decisioni.”
Carla e il Bacchelli, dopo sei mesi e 75 lettere d’amore, si sposarono per procura. [...]
Il matrimonio per procura si celebrò il 31 gennaio 1953 di mattino alle ore 7.
Franco, l’amico delegato, avrebbe fatto da sposo e lei sarebbe andata per sempre in moglie al Bacchelli lontano.
Fu un matrimonio fra i più strani. 
Franco l’aspettava a Bologna davanti alla chiesa della sua parrocchia. Lei arrivò col padre in motocicletta, da Pontecchio. Aveva un bel cappotto nuovo e teneva in mano il cappellino con la veletta: lo avrebbe messo entrando in chiesa!
Solo una delle sorelle, Carmela, assistette a quella “cerimonia”, perché abitava a Bologna. Le altre sorelle erano a casa con la mamma, o perché piccole o perché dovevano aprire il negozio.
Non c’era musica in quella chiesa, eppure lei aveva nelle orecchie tutti i violini, gli organi e tutte le campane del mondo. Vedeva fiori dappertutto mentre entrava in chiesa sottobraccio a Franco, e lei sembrava tanto piccina, vicino a quell’uomo alto, che la portava all’altare e che sostituiva il suo uomo lontano. Non c’erano invitati che guardassero la sposa, solo Marta, la moglie di Franco, da dietro una colonna spiava: “Ma possibile che mio marito debba sposarsi anche quella là?”
Era l’una dopo mezzanotte in Perù e lo sposo era seduto su un letto con la corona del rosario al collo, le lettere di lei sul comodino e una bottiglia di champagne con un solo bicchiere sul vassoio. Per lui il matrimonio era avvenuto il giorno che aveva spedito il documento- delega autorizzando l’amico fraterno a sostituirlo davanti al sacerdote.
Non c’erano fotografi al momento dello scambio degli anelli: solo gli occhi di Marta registravano tutto, perché non era facile per lei accettare che suo marito ripetesse gli stessi gesti con un’altra donna davanti a un prete.
A Carla sembrava invece una cosa meravigliosa e col pensiero era un po’ in chiesa e un po’ a sedere su quel letto là in quella casa di Lima.
– Lei, Bacchelli Demetrio, qui rappresentato da Rossi Franco, vuole prendere in moglie Carla Cenacchi qui presente?
– Sì.
– E lei Carla Cenacchi vuole prendere come marito Bacchelli Demetrio, qui rappresentato da Rossi Franco?
– Sì.
Finì la Messa, la sposa fu abbracciata dai presenti ed insieme entrarono tutti nel bar vicino a bere il caffè e a mangiare un cornetto: non c’era altro tempo perché Franco doveva andare in ufficio, Marta a scuola e i due testimoni, lo zio Vittorio, fratello del babbo, e Achille, il nipote, pure dovevano andare al lavoro, così come babbo Adelmo e la sorella Carmela.
La sposa rimase sola. Corse al fermo posta a ritirare una lettera che le era stata scritta giorni prima: serviva a tenerle compagnia perché era la lettera di suo marito.
Auguri, regali, forse li ricevette anche questa sposa, ma lei era già via col pensiero, perciò non era in grado di cogliere niente dei particolari materiali che la circondavano, non coglieva altro che i visi tristi della sua grande famiglia.
Non ci fu pranzo, non poteva esserci festa in quella casa in quel giorno in cui si era fissata davanti a un Prete la data di partenza di quella figlia, che già era cresciuta e voleva andarsene tanto lontano, là dove era già il suo cuore!