Autore
Carla CenacchiAnno
1970 -2012Luogo
Pontecchio (Sasso Marconi, Bologna)Tempo di lettura
5 minutiDall'Appennino alle Ande e ritorno
Mare, gente nuova, bei pranzi (niente piatti da lavare!), programmi dettagliati della vita di bordo, cioè giornate scandite da programmi scritti e appesi nella sala di incontro di tutti i passeggeri, banane in quantità già a Tenerife.
“Il porto è due dita più lontano di Barcellona” scriveva a casa, “ho fatto gruppo con altre ragazze sposate per procura e con due ragazzine che vanno a raggiungere la mamma in Venezuela insieme allo zio. Imparo lo spagnolo parlando con spagnoli”.
Ad ogni porto imbucava per casa a Pontecchio e trovava la lettera del Bacchelli che le diceva che la aspettava, che non vedeva l’ora del suo arrivo, che le aveva preparato una casina coi fiocchi! E trovava anche la lettera della madre: “Stai attenta alle persone che hai intorno, non dare confidenza a nessuno, sappiti comportare, non chiacchierare molto” e via di questo passo.
Non…non…non…Poi:
“Fai la comunione tutti i giorni”.
Ma le raccomandazioni della madre non potevano essere prese alla lettera tutte, perché la madre quel viaggio non l’aveva mai fatto e non sapeva prevedere i pericoli che c’erano. 
Dopo quindici giorni che era a bordo la “signora” decise di confessarsi, chiese a una suorina dove poteva trovare il Prete:
“Stai attenta, figliola, il prete è un uomo, un passeggero della nave e confessa solo nella sua cabina. Sta in calzoncini tutto il giorno a prendere il sole in piscina, e solo quando dice Messa la domenica, si veste coi paramenti!”.
Infatti, la prima domenica che la sposina aveva assistito alla Messa celebrata in coperta, aveva notato che la veste nera era molto svolazzante: ma in alto mare il vento era molto forte!
Carla immaginò Don Ottavio, il Prete della sua parrocchia, un sacerdone sul quale non c’erano dubbi di sorta, che portava sempre e solo una bella tonaca nera sui pantaloni lunghi ed aveva una carica e una simpatia fuori dal comune.
Ma in nave la cosa era diversa. Il caldo dei climi tropicali induceva chiunque a svestirsi, e perciò anche il prete poteva farlo; ma andare a curiosare in quella cabina per confessarsi, non le pareva corretto.
E così Carla pensò bene che quella suorina poteva aver mille ragioni per farla desistere dall’andarsi a confessare in una cabina; ma non lo scrisse alla madre.
Furono lunghi quei ventisette giorni di bordo, anche perché diventarono ventinove, dato che la nave aveva impiegato due giorni in più in un carico-scarico, imprevisto, di merci. Ma vide cose stupende! In particolare una delle sette meraviglie del mondo: il canale di Panama; e vide in diretta e da vicino il passaggio delle navi attraverso le quattro chiuse che coprono il dislivello dei ventotto metri tra i due oceani, l’Atlantico e il Pacifico. Lo scrisse e lo descrisse anche alla sua amica Bansi la quale lo trasmise alle altre nove compagne di classe; le fedelissime compagne con le quali aveva frequentato i quattro anni delle magistrali. 
Fu pieno quel viaggio, fu meraviglioso. La tristezza, l’angoscia, la paura del primo giorno furono presto sostituite dall’interesse per le cose circostanti. L’assenza dei famigliari non poteva sentirla, perché riceveva da loro lettere piene di dettagli sulla vita di casa, e lei riusciva a comunicare con la penna ogni sua emozione. […]
Certo si chiedeva spesso se mai avesse ritrovato lo stesso uomo che aveva lasciato andar via da solo, e in un paese sconosciuto. E lei avrebbe riprovato le stesse emozioni della ragazza che era in casa alla Longara?
Nei ventinove giorni del viaggio aveva avuto tempo e modo di pensare, di vedere, di guardare, di soffrire. Aveva visto visi nuovi, aveva parlato con altre ragazze sposate per procura, aveva tenuto in braccio bambini che viaggiavano con la mamma e che andavano ad incontrare il papà. Aveva raccontato storie di casa sua alle ragazzine che erano in camera con lei e andavano in Venezuela a raggiungere la madre.
Aveva seguito la scia che lascia la nave sul mare andando veloce veloce.