Autore
Iria ParlantiAnno
1998Luogo
Pisa/provinciaTempo di lettura
4 minutiDesideravo una bicicletta
Vorrei raccontare ai ragazzi di oggi, ai quali non manca fortunatamente nulla, i miei crucci di ragazzina per arrivare ad avere una bicicletta ed anche la grande soddisfazione quando la ricevetti in regalo. Credo di non aver avuto gioia più grande in tutta la mia vita, neppure quando abbiamo comprato la prima automobile, nonostante pensassi, nella mia giovinezza, che soltanto i signori potevano essere in grado di comprarsi la macchina. Questo è avvenuto dopo sposata: avevo già i ragazzi grandicelli, lavoravamo sia io che mio marito, insomma i tempi erano cambiati ... Sono nata nel 1935, erano anni di miseria un po' per tutti ed anche in casa mia c'era un clima di ristrettezze. Da piccola, quindi, non potevano certo comprarmi una biciclettina, i soldi si spendevano per le cose necessarie. In casa, prima della guerra, ne avevamo due, una da uomo e una da donna, ma i tedeschi ce le portarono via. Ricordo ancora quando i soldati la strapparono di mano a mia madre e il tira e molla che lei fece. Poi naturalmente dovette cedere. Rientrati dal passaggio della guerra non avevamo i soldi per comprarla. I miei zii, invece, erano riusciti a nascondere una delle loro biciclette così mia cugina, girando intorno casa con qualche capitombolo era riuscita ad imparare ad andare in bicicletta. Avevo imparato anch'io e, quando le chiedevo di farmi fare un giro, me la prestava volentieri perché eravamo anche buone amiche, ma sua madre, che stava dietro le persiane, appena mi vedeva prendere la bicicletta, mi sgridava e mi faceva scendere perché la bici era di sua figlia e non mia. Intanto gli anni di miseria continuavano e in casa mia comprarono una bicicletta usata da uomo per mio padre e mio fratello che a quel tempo andava a Pontedera a lavorare in un negozio di parrucchiere per uomo. I miei genitori lavoravano come mattonai, un lavoro stagionale che li costringeva ad andare in Piemonte presso una fornace di laterizi che produceva mattoni e tegole, naturalmente fatti a mano. Era un mestiere veramente pesante che per fortuna è andato scomparendo: si lavorava dal mattino, prima che sorgesse il sole fino alla sera, quando era ormai buio.
Il lavoro era faticosissimo, a cottimo e durava per circa cinque mesi, nel periodo estivo. Anche i ragazzi piccoli davano il loro contributo secondo le proprie forze e questo non perché i genitori volessero sfruttare il lavoro dei figli, ma perché durante l'inverno difficilmente riuscivano a trovare qualche lavoro e in quei pochi mesi dovevano mettere da parte quanto serviva per sopravvivere fino alla successiva primavera. Ed ora ritorniamo alla bicicletta. Sono arrivata all'età di quindici anni senza che in casa ci fosse stata una bicicletta da donna. L'anno precedente le mie amiche avevano avuto la possibilità di comprarsene una nuova e tutte le domeniche andavano un po' in giro con quella oppure potevano andare al cinema a Pontedera, spostandosi da La Rotta dove abitavamo in quel periodo, ed io che ero a piedi rimanevo sola a casa. Immaginatevi quanto era grande il mio desiderio per la bicicletta! Quando a primavera partimmo per andare a lavorare in Piemonte, cominciai a chiedere a mio padre di comprarmela a settembre, finita la stagione dei mattoni. Lui non mi disse mai di no, però metteva sempre davanti tutte le difficoltà: "Speriamo di avere la salute per lavorare. Speriamo che il tempo sia buono ... ". Lavoravamo all'aperto e quando pioveva, oltre a causare disastri, stavamo anche fermi ..."Speriamo di guadagnare e poi vedremo. Se, arrivati a fine stagione avremo risparmiato trecentomila lire allora ti comprerò la bicicletta che. desideri tanto". Potete ben immaginare con quanta lena lavoravo! Tutte le mattine scrutavo il cielo per vedere se era nuvoloso e pregavo perché non piovesse.