Autore
Luciano SansoniAnno
1943 -1944Luogo
VeneziaTempo di lettura
5 minutiGuerra 1939-1945

Noi milanesi avevamo provato qualche bombardamento dall'aria fra cui quelli famosi del 24 ottobre 1942 e del 15 febbraio 1943.
Nel corso del primo mi trovavo in un cinematografo del centro con alcuni amici quando suonò l'allarme. Impensierito per le mie sorelle sole in casa con la nonna settantaduenne molto impressionabile (i miei genitori si trovavano fuori città) piantai in asso gli amici e mi misi a correre a più non posso verso casa, sfuggendo alle pattuglie dell'U.N.P.A. ed assistendo alla caduta di grosse bombe, a crolli e ad incendi di edifici, calpestando rottami di ogni genere specialmente vetri e tapparelle. Dopo Corso Vittorio Emanuele, Corso Venezia e Corso Buenos Ayres traversai, fra l'altro, le macerie fumanti di Piazzale Bacone e arrivai ansante a casa, in Piazzale Piola, dove fortunatamente trovai che la mia casa non aveva subito danni.
Il secondo allarme mi trovò invece a casa e mi procurò la poco piacevole emozione di avvertire lo scoppio pressoché contemporaneo di tre grosse bombe su di un grande edificio situato di fronte a casa mia. Riuscii in tempo e con fatica a spegnere due spezzoni incendiari che, perforato il tetto, erano penetrati nella nostra soffitta e poi aiutai qua e là, come tutti gli altri.
Questi furono dunque i miei primi incontri con la guerra, incontri che determinarono i miei familiari a sfollare vicino a Lodi.
Rimasi dunque solo a Milano con i miei studi di ingegneria e fui iniziato così ai misteri della vita domestica e della cucina.
Mio padre seguiva le sorti della sua banca della quale diversi servizi erano stati pure "sfollati" ma era spesso in viaggio nella sua qualità di Ispettore viaggiante.
Al sabato si trattava di ricongiungerci con la famiglia per il riposo domenicale veramente necessario perché si doveva viaggiare, pigiati fino all'inverosimile, "stivati" sarebbe meglio dire, in carri bestiame che facevano parte di lentissimi treni.
Al lunedì, alle 4 del mattino, dopo qualche chilometro a piedi, si ritornava nelle stesse condizioni, magari entrando dal finestrino o rimanendo in piedi sul predellino o su di un respingente o su qualche altro appiglio. Tali faticosi viaggi mi posero però a intimo contatto con il popolo schietto, perfezionando il mio “meneghino" che mi permetteva di cogliere l'espressione dei veri sentimenti del popolo costretto a sopportare gravissimi sacrifici.
La situazione alimentare era spesso insostenibile; il popolo lo diceva ma che poteva fare?
E, ciononostante, ben pochi pensavano che si sarebbe abbandonata l'Africa anche se le nostre truppe erano arretrate fino alla Tunisia. I soldati che ritornavano da quei posti restavano sbalorditi quando riscontravano tanta ignoranza e incoscienza della gente sull'andamento della guerra.
I fatti evidenti, rappresentati dalle pur mitigate frasi dei bollettini, venivano oscurati o deformati da una valanga di notizie, calunnie, ipotesi, promesse, minacce e vane parole, così da rendere babelica la lettura dei giornali.
Finché giunse il "ritorneremo in Africa" di Mussolini, che mi sorprese in pieno. Dunque, la china, che ci si faceva credere una dura salita, era una discesa che conduceva fatalmente a un precipizio? Ricordo che gli ambienti studenteschi erano in fermento: quei pochi che erano sulla buona strada indicavano i veri responsabili; i passivi si rassegnavano presto; gli attivisti, gli energici volevano fare qualche cosa. Era chiaro che solo il popolo avrebbe sopportato le conseguenze di una sconfitta di una Italia fascista. Infatti non si pensava, al solito, di distinguere la sconfitta dell'Italia da quella del fascismo.
Strano che in una simile paradossale situazione io sia arrivato a prendere una assurda soluzione. Infatti suggestionato da qualche amico, feci domanda di essere arruolato in un corso di allievi piloti! Ciò feci ad insaputa dei miei genitori ma, come avrei dovuto prevedere, mio padre mi negò l'autorizzazione. Mio padre aveva come sempre ragione e i fatti cominciarono a convincermi che avrei commesso un grave errore.
Si era in maggio. Si iniziava e proseguiva l'attacco alle coste italiane. In treno incontrai dei soldati e marinai che tornavano di là e parlavano chiaro: quella era la guerra di Mussolini ed essi non volevano essere macellati perché "quello lì" non aveva il coraggio di riconoscere che era stato sconfitto. Soprattutto non volevano combattere al comando di ufficiali che detestavano e che avevano prestato giuramento ad un uomo che si era imposto con la sopraffazione.
Evidentemente i soldati erano stati traditi come veniva tradito il popolo tutto. Ora però non riuscivano più a mascherare le loro malefatte. Avevo finalmente ben aperto gli occhi sulla situazione dei nostri poveri ma tanto bravi soldati mandati così malamente allo sbaraglio.