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Autore

Luciano Sansoni

Anno

1943 -1944

Luogo

Venezia

Tempo di lettura

5 minuti

Guerra 1939-1945

Ebbi notizia delle pretese dimissioni di Mussolini dalla radio la mattina mentre mi lavavo nella vasca del fangoso cortile della fattoria dove la mia famiglia si trovava sfollata.

Mi misi subito in contatto con un caro amico che aveva modo di partecipare alle riunioni segrete dei partiti antifascisti a Milano. Cosa che egli mi rivelò quando gli esposi il mio stato d'animo. Seguivo per mezzo suo gli sforzi della parte politicamente attiva del popolo italiano; mi appassionavo alle discussioni; mi piacevano sommamente i latenti dissensi tra i vari partiti.

Ero in questo stato d'animo, in questa situazione, quando sopraggiunse il 25 luglio. Ebbi notizia delle pretese dimissioni di Mussolini dalla radio la mattina mentre mi lavavo nella vasca del fangoso cortile della fattoria dove la mia famiglia si trovava sfollata.

Giusto quella mattina dovevo iniziare il Servizio del Lavoro, per il quale ero stato precettato, in una fattoria lontana qualche chilometro. Nella fattoria i braccianti giubilanti esultavano. Inforcata la bicicletta mi diressi a Lodi e nella piazza ebbi la percezione dell'ampiezza di orizzonte che si schiudeva davanti a noi tutti. Là, uomini si stringevano virilmente la mano e intanto si guardavano con una luce negli occhi che non avevo mai vista; qualcuno si abbracciava, qualche donna dava evidenti segni di commozione. Sembravano tutti liberati da un incubo, da qualche cosa che aveva loro tolto la gioia e il diritto di essere uomini nel vero senso della parola; sembravano perciò dei rinati alla vita. Io guardavo e capivo, capivo che quella era la fine del fascismo ma che l'Italia restava ed era migliore di quella di prima. Così guardai lieto e incuriosito gli operai che salivano sulle scale per abbattere i fasci littori e le varie "M" e simili altri simboli, mentre gli altri applaudivano e i soldati, col fucile in mano, lasciavano fare.

E' chiaro, ricordo di aver detto a un amico che, se perfino il gran consiglio del fascismo ha chiesto a Mussolini di lasciare i portafogli militari e la direzione della guerra, a quest'uomo bisogna far risalire la responsabilità dell'invasione del territorio nazionale. E' un inetto, come lo si vedeva dalla scelta dei suoi ministri, diceva la gente. Non ha avuto né il coraggio né l'acume di riconoscere i propri sbagli.

Ad aggravare la situazione si aggiunsero i grandi bombardamenti delle città settentrionali.

Consideravo ormai il fascismo, tutto il fascismo, come il peggior nemico anche dell'Italia. Non erano state delle parole o dei sillogismi astratti a convincermene; erano stati i fatti. Perciò la mia convinzione divenne subito solidissima. Pertanto le rivelazioni e gli arresti dei 45 giorni non presentarono per me carattere di novità. Quello era un problema esaurito, il mio problema era un altro e cioè: Perché la guerra continua? Intanto si parlava di Partiti, si promettevano le elezioni, si esaltavano la democrazia, il liberalismo e il comunismo; si gridava perfino: Viva l'Italia! Che assurda situazione era diventata la nostra! Ormai era chiaro che la guerra era perduta perché, fra l'altro, risultava che il numero e la potenzialità dei mezzi di cui il nemico disponeva largamente aumentavano continuamente.

I nostri mezzi, ormai in gran parte distrutti, erano stati fin dall'inizio di potenzialità e di qualità nettamente inferiori a quelli degli avversari a causa soprattutto delle superficialità, della insufficienza e della ingordigia (incredibili le speculazioni sulle forniture militari!) proprio di quei gerarchi che tanto cianciavano della gloria di morire per la Patria!

E allora, perché i nostri soldati dovevano continuare a morire senza che dal loro sacrificio ne derivasse qualche utile per la nazione? Non si sarebbe invece dovuto riconoscere coraggiosamente e lealmente che la guerra era ormai perduta? Ciò non era possibile perché i fascisti tiravano "a campà" ben sapendo che, facendo questo, avrebbero provocato la condanna del regime fascista.

Molti iscritti al fascismo stavano squagliandosi; la gente desiderava ardentemente che si arrivasse presto alla pace e gli operai erano in agitazione solo per questo.

Ad aggravare la situazione si aggiunsero i grandi bombardamenti delle città settentrionali. Assistetti, nella settimana "d'agosto" di Milano, ai bombardamenti con un numero impressionante di grosse bombe sganciate da centinaia di apparecchi, mentre mi trovavo nel posto dov'eravamo sfollati a circa 35 km. di distanza. Eppure, pur essendo a tanto notevole distanza, la violenza delle esplosioni era tale che porte e finestre delle case si socchiudevano. L'orizzonte sembrava tinto di sangue, lampeggiava tutto. Ogni tanto si alzavano fontane di fuoco. Era la desolazione per Milano, la capitale economica d'Italia. 13.000 case distrutte, 4.000 danneggiate gravemente sulle 36.000 della città. Qualcosa come 500.000 persone rimaste pressoché senza casa e, purtroppo, in gravi difficoltà perché la capienza dei luoghi di sfollamento, anche alla distanza di 100 km. e più, era esaurita.