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Autore

Dante Crescioli

Anno

1991

Luogo

Arezzo/provincia

Tempo di lettura

9 minuti

I ricordi di un emigrante pievano

I ricordi tutt'ora sempre più prepotentemente vivi e presenti del tempo trascorso da ragazzo nel mio Paese hanno un incalcolabile e profondo valore di rispetto, ed emotivo.

Buenos [Aires] 15/1/91

I ricordi di Un Emigrante Pievano

A 26 anni dopo aver sopportato 5 anni di militare in guerra e, prigionia in Africa, il giorno 7 gennaio 1948 partii da Genova emigrando in Argentina. Oltre 13.000 sono i km. aerei e, quasi 15 le ore di volo che separano l'attuale residenza dal mio paese d'origine e, 43 sono gli anni ormai trascorsi da che mi allontanai.
Ricordi!!!!.... quanti!!!!.... quanta miseria si allora, ma anche quanta preziosa esperienza e rara astuzia imparata nel mio paese anche se a caro prezzo. Voglio dire che, almeno per me, nessuna scuola letterata o, tanto meno l'attuale presunta progressiva e migliore condizione economica di illudente benessere, potrebbero insegnare e giovarmi positivamente di più, quanto le povere restrizioni di quei tempi, mi regalarono in termini di scaltrezza, di capacità e di sopravvivenza. Sono nato a Pieve S. Stefano da modesta famiglia di Artisti operai nel 1921, furono nell'era i tempi in cui la vivace semplicità e l'onestà intuitiva risolveva con il sorriso sulle labbra e con rara modestia ogni problema sia duro che durissimo, sicuramente incoscienti, ma era, è vero, la prematura giovinezza. I ricordi tutt'ora sempre più prepotentemente vivi e presenti del tempo trascorso da ragazzo nel mio Paese hanno un incalcolabile e profondo valore di rispetto, ed emotivo. La loro interessante sintesi ha valore per me assolutamente superiore ad ogni altra cosa al mondo. Ciò è tanto vero che spesso ricorrendo nel pensiero, e pensando e ripensando, mi convinco sempre più che in generale l'uomo vero, l'uomo forte, l'uomo sicuro di se, l'uomo che sa vincere alle prese dirette con ogni più dura realtà, si realizza solo e quasi sempre con l'aver conosciuto quanto piu l'acuta sofferenza, l'esperienza di povere limitazioni di disponibilità economica, ma con grande forza d'animo e ferma volontà. Quello che è importante è arrivare a vincere ad ogni costo nella vita, ed io terno che non sia altrettanto efficace con condizioni di facile benessere, realizzato dalla volontà di altri prima di noi. La conoscenza delle proprie capacità e dei propri limiti, per esempio nell'affrontare e risolvere situazioni difficili, oltre che procurare soddisfazione e gioia a noi stessi, sprona la mente, ( senza scampo ) alla ricerca creativa di migliori soluzioni e, talvolta non è raro che si arrivi a risultati isperati. Non è detto per'altro che tutti i problemi che si presentano debbono per forza essere risolti nella ricerca di successi economici, è molto più importante sentirsi soddisfatti della propria onestà e della propria capacità, che vale oltre la ricchezza venale. La vita degli emigranti come bene si può immaginare non si presenta sempre tanto facile, certamente molto dipende, non tanto da una condizione psicofisica, quanto da una sicurezza di capacità di mestiere e di matura preparazione professionale. Io per esempio andai quasi per scherzo e, non partii all'avventura vera e propria in cerca di lavoro, ricordo che ne fui al contrario, contattato e richiesto con tanto di contratto accettato, da me firmato ad Arezzo prima della mia pazienza da Pieve. Tuttavia, diverso da come vige oggi in Italia, io ed altri fummo obbligatoriamente sottoposti a scrupolosa e rigorosa visita medica, e con tanto di ineccepibile documentazione completa di certificati penali e civili in perfetta regola, dopodichè, ciò non escludeva che tutto poteva presentarsi liscio, poiché sapevamo che problemi di vario tipo, quali il cambio di abitudini, di mentalità, di lingua e di emisfero.

La mia Pieve. La mia Pieve quella la cui originalità diversa da oggi non c'è più. Peccato che la Pieve si presenti ora ripetuta e più o meno uguale ad altri paesi e città.

Quella Pieve dei miei pensieri, quella Pieve dei miei occhi quasi allucinati e veggenti oggi non c'è più, è grazie ad essa che, nella mia giovinezza mi ha tanto insegnato. La mia Pieve. La mia Pieve quella la cui originalità diversa da oggi non c'è più. Peccato che la Pieve si presenti ora ripetuta e più o meno uguale ad altri paesi e città. I soliti scatoloni immotivati e lisci di cemento, che fanno con ogni dove, un tutto eguale, così come se tutti i viventi si chiamassero con lo stesso nome, perché in realtà nessuno ha alcun che di diverso, bensì la stessa fisionomia. Ma sapete signori miei cosa è, quale valore rappresenti l'identità particolare non ripetuta di una cosa? .... Ebbene quella Pieve dai colori stanchi ma caldi delle vecchie case cittadine, le docce spesso versanti l'acqua sporgenti dalle gronde dei tetti, tutti sbalzanti a linee, a piani e altezze diverse, i tre Archi, il colonnato Farmacia Baldassarri, Perugini, Gamberone ( negozio di cocci cotti e vecchio Trombone della Banda) il colonnato Olivoni con sotto la Barbieria di Bertino - Santi con il suo orologio della Torre Comunale il Vecchio ma bello palazzo Comunale, quello Ortolani, del Santini, del [Doge] nella Piazza Plinio Pell.ni. Ebbene quella Pieve era per noi unica e diversa, ora non c'è più. Quello è il mio paese nativo che oltre all'aver incantato e fermato nella mia mente il vero sentimento affettivo della sua [visione] mi ha anche regalato preziose esperienze di ogni tipo, scaltrezza, decisione, sicurezza, mestiere e spirito di sacrificio e, sebbene senza significativi titoli di studio, mi regalò, anche, relativamente al mio ambiente, la capacità, particolarmente all'estero, di non voler essere mai secondo a nessuno, grazie ai modi acquisiti di sapersi difendere anche furbescamente. Tutto ciò, ripeto, mi ha offerto grossi vantaggi, che, ... attenzione; ... guadagnati con che? ... con nulla, con la miseria sofferta in giovinezza e non certo per colpa di noi ragazzi, però sia detto chiaro a tutti, che, parallelamente alla stessa età, nessun giovane rispettabilissimo di oggi, può pretendere di insegnare nulla a quelli della stessa età di quel tempo,-sarebbe un sogno irreale,- e per tutto questo, che non è poco "Grazie, grazie a questo mio caro paese". La Pieve, la Pieve delle nostre mamme, dei nostri amici, da dove nelle strade a latere del corso principale era tutto un indaffararsi d'estate a strucchiare il vinco e d'inverno a spaccare la legna e dal Ponte Nuovo, Via Cellina alle Piazza delle Oche era tutto un sommesso vocio delle nostre donne, e della vendita con il carretto del triciclo con il gelato del Rucca, alle mele cotte della Delasia, nel trascorrere estivo di quelle gioiose giornate di Caluria, che cominciavano con la sveglia dei giochi, o canto del merlo della De Rosa, accompagnato e seguito dal rumoroso ritmo trionfante del Tamburo di Beppetto, e dal battere delle suole di Tonio di Cristo di Pero con il banchetto sulla strada di Via Cellina. Poi i giochi, i giochi erano tanti ed ognuno più bello e divertente dell'altro, cominciando dalla età più giovanile vi fu il gioco dei quattro cantoni all'asilo, poi il gioco della trottola a gara lungo tutto il paese, con relative fughe per i vetri delle finestre rotti, il gioco anch'esso stagionale ma intenso delle palline a pizzicotto, mirando da dieci passi di distanza, ai due soldi posti a ridosso di un muro, il salto in lungo della rana,spiccandolo dalla distanza di un punto fermo, e progressivamente aumentando sopra e oltre la groppa di quello che doveva star sotto a far da cavalletto. Il saltamontone che consisteva anch'esso nel saltare in groppa agli altri amici quanti più ne reggevano di peso e di numero. Le sdrucciaiole d'estate con lastroni sotto il sedere giù per la chiavica del Daga, addio pantaloni sempre rotti, il cappelletto, la nizza, le lastre con i soldi sopra il birillo, il battimuro con soldi o bottoni, sotto le logge del grano se pioveva, o sotto le arcate di piazza, negli spazi liberi dei portoni della Farmacia Baldassarri, Società Operaia Perugini, Gamberone. Il gioco delle bocce al campo alla Badia riservato alla domenica agli uomini più grandi che si giocavano un litro di vino con le palle fomite dalla Osteria di Pippo di Refe, poi a Zecchinetto. Inoltre si tirava in aria i soldi che, caduti in terra, per ordine di conta, ognuno, con un sasso picchiando sopra la moneta e riuscendo a rivoltarla diveniva vincita e possesso di chi tirava,(Testa o Croce- Sassolino). In questi giochi prevalevano nella fortuna, la capacità unita alla quotidiana perseveranza: Guerrino Camaiti, suo fratello più grande Amilcare, Pulenda il mutino Biancalani e Vinicio ed altri. (vedi Il pizzicotto originale del Quintino). Il giuoco più bello e famoso era quello della rulla che si svolgeva per noi ragazzi lungo il Campo alla Badia, ma per gli uomini grandi di età, lungo le strade paesane, non di rado era il Castellare e la Casina, strade che per la loro tortuosità di quel tempo, richiedevano discreta pratica di lancio. Ad ogni modo poiché molto spesso il tiro della rulla degli uomini veniva effettuato con forme di vero formaggio e, siccome non di rado queste sbattendo contro qualche scoglio o tronco d'albero e andavano in pezzi, noi ragazzi che seguivamo e aspettavamo l'inevitabile evento e ci si precipitava come avvoltoi alla ricerca ed al recupero dei pezzi.