Autore
Dante CrescioliAnno
1991Luogo
Arezzo/provinciaTempo di lettura
4 minutiI ricordi di un emigrante pievano
Giochi a parte vi era anche da considerare il lato appetito che era sollecitato dal nostro vorace stomaco, non dava grande spazio di tranquillità neppure ai passerotti. Sebbene tormentati da neve e ghiaccio siberiano,da ricordare che a quei tempi la neve alla Pieve si misurava in metri; tanto è vero che per far passare le bestie per la benedizione in S. Francesco il giorno di S. Antonio e, i carri allegorici del Carnevale (poveri e alla meglio), con le maschere, la neve veniva abbarcata a ridosso dei muri e dei portoni, non di rado succedeva che occorreva operare piccoli tunel nella neve per entrare o uscire dalle case e poter camminare nel corso principale. E queste non sono chiacchiere, ma verità. Succedeva, infatti, che per acchiappare e dare la caccia a qualche passerotto, in attesa si usava giocare a cappelletto sotto i rami degli abeti dei giardinetti pubblici che si stendevano parallelamente a poca altezza da terra fino ad altezze elevate a forma conica, ma che con i loro abbondanti rami e aghi rendevano sotto libero dalla neve brevi spazi di terra che a noi serviva per giocare a carte o a cappelletto e agli uccelletti per pasturare e cercare cibo, ed era proprio li che nascondevamo le tagliole e le faine. Insomma pur di ricercare fonti di arrangiamento per vivere, non si badava ad alcuna sofferenza, tanto è vero che tremanti, praticamente quasi scalzi e poveramente o insufficientemente vestiti, tutti infreddoliti passavamo li sotto intere mattinate, tremendamente invernali in attesa che qualche passerotto rimanesse incastrato nelle traditrici trappole da noi ben poste e mimetizzate. Cosichè anche se magro e raro, tuttavia qualche arrostino dal sapore selvatico e salmastro, ogni tanto ci Scappava. Poi c'era il lato un po' più discutibile il lato arrangiamenti: Di solito, comunemente in ogni tempo ed in ogni società a torto o a ragione, specie dalla classe operaia, non sempre, e a dir poco, il Proprietario, il padrone è sempre ben visto. Si tratta, e si giustifica in qualche modo, dal fatto della reazione non facilmente accettabile, di quella parte del popolo che lavorava forte e seriamente, ma che soffriva pesantemente di carenze di ogni tipo. Onestamente però bisogna anche dire che non sempre sempre è così. Intendiamoci è vero che i cosiddetti signori di quei Tempi certo non godevano di spiccato altruismo verso di chi lavorava per bene, quando il lavoro raramente ve ne era. Questo loro egoismo era in quel tempo concepito da essi e comunemente accettato, come naturale modo di vivere, perciò è necessario saper valutare la logica con prudenza. Infatti esisteva anche il vivere e lasciar vivere. A quei tempi per esempio alla Pieve non esistevano altre fonti di calore, alternative alla legna, il freddo invernale così forte, si può dire che, raramente si è ripetuto, tuttavia nessuno di noi comprava la legna e, tutti si scaldavano con quella che praticamente si rubava nelle macchie dei proprietari che, bisognava ammettere chiudevano benevolmente un occhio o tutti e due, lasciando perlomeno che i nostri focolari scaldassero le nostre modeste case- così altrettanto succedeva per quanto veniva rubato dai campi, uva e tutto ciò che ci riusciva a prendere, senza che alcuno presentasse denuncia. Un altra buona fonte di sostentamento, dallo stesso sapore di quanto sopra esposto, era la stagione delle castagne. Usava allora, il mercato delle castagne e cereali vari, che si svolgeva ogni lunedì sotto le Logge del Grano. Freschi e scelti marroni e ottime pistolesi, buone castagne secche, e altrettanto buona farina dolce, nonché grano, fagioli, noci, e ogni tipo di altri prodotti anche da seminare. Il problema era che noi ragazzi non avevamo un solo centesimo in tasca e, se questo vi era in qualcuno di noi, la capacità furbesca consisteva nel far aumentare il suo valore e moltiplicare il suo potere d'acquisto dieci-mille volte.