Autore
Furio AcetoAnno
1943 -1945Luogo
Cuneo/provinciaTempo di lettura
9 minutiIn cammino per la libertà. Diario dal 25 luglio 1943 alla Liberazione
La sera, purtroppo, Franco corre ad informarmi che i tedeschi hanno attaccato la Val Pesio e che la Val Corsaglia è in allarme. Devo ripartire subito, con vera sofferenza. Ma mia moglie capisce che il mio posto è vicino ai miei uomini in questi durissimi momenti. Per rientrare scelgo la via più breve, anche se più pericolosa: scendiamo in Val Maudagna, e per Miroglio a Baracco, ove sostiamo per parte della notte dal Tenente Sasso. Da lui apprendo che i nemici sono riusciti ad occupare tutta la valle del Pesio, benché validamente contrastati dalla mia brigata che, dopo due lunghi giorni di combattimento, si è ritirata in val Ellero. Infatti a Pastello, giunto presso il Comando di Divisione, mi precisano che il mio distaccamento si è raccolto a Sant'Anna di Prea. Raggiungo quella borgata di poche case riunite presso una romantica chiesetta. Trovo sani e salvi i miei uomini, e Renato mi conferma di aver salvato tutte le armi, ma non zaini e rifornimenti di munizioni e viveri a causa dell'andamento dell'azione nemica, che non ha concesso il loro ritorno alla base. Subito vorrei andarci personalmente, ma sono sfinito per la lunga camminata. E dispongo l'invio di una robusta pattuglia, con armamento leggero, per provvedere al recupero dei materiali e riferire sulla situazione. Al rientro del pattuglione, apprendo che il nemico non ha raggiunto il gias, che risulta intatto, ma ha mitragliato il nostro bucato steso ad asciugare, sparando da lontano e non avvicinandosi. Poiché i tedeschi, esausti per la faticosa e cruenta operazione ed appagati per la conquista della vallata, non prendono altre iniziative e si ritirano verso gli abitati, noi contiamo presto di rioccupare le nostre posizioni. A Sant'Anna, in attesa degli sviluppi della situazione, curiamo l'armamento e l'equipaggiamento, e riposiamo molto. Sono diventato proprietario di Lupo, un grosso cane in cui prevale il pastore tedesco, al quale mi affeziono assai ricambiato. Un partigiano me lo affida dicendomi: «Il suo padrone è stato ucciso dai briganti neri.». Il 30 agosto, avendo confidato ad Aldo della nascita di mia figlia, si rallegra con me e mi convince a fare un "salto" a Frabosa Soprana. Alle prime luci dell'alba, accompagnato da Renato e dall'ormai fedele Lupo, raggiungo i miei, casualmente proprio il giorno del Battesimo. Ma purtroppo non posso essere presente nella chiesa del Serro di Frabosa, per non mettere in pericolo la parentela a causa di qualche spia. La zona è diventata infatti "terra di nessuno", perché i partigiani della Val Corsaglia sono appostati sui rilievi che dominano il paese, e qualunque pattuglia nemica può penetrarvi. Renato, dopo aver conosciuto Vìttorina, si apposta sul sentiero a monte per garantire la sicurezza, e noi due rimaniamo in casa. Ma il nostro tenero colloquio è turbato dalle prodezze di Lupo che, strappato il guinzaglio di cuoio che lo lega alla ringhiera del terrazzo, entrato in cucina, divora non solo la parte di torta rimasta ma anche i "funghi bulgari" per fare lo yogurt, con nostro grande disappunto, anche temendo i commenti dei familiari. Nella notte, io e Renato ritorniamo a Sant'Anna senza fare tappe, perché infervorati nei nostri discorsi; la conoscenza di mia moglie, il clima di famiglia, e la coincidenza della cerimonia, hanno ridestato in Renato ricordi tenerissimi e una infinita malinconia: mi parla dei suoi progetti, della speranza di costruire per i suoi cari un avvenire degno, migliore del passato. Aveva deciso dì salire in montagna, lasciando il posto sicuro nelle ferrovie, in aperto contrasto con le opinioni del cognato e della moglie, che avevano cercato di dissuaderlo fino all'ultimo. Lo ascolto con partecipazione, e gli confido le mie idee, in particolare la tenerezza che provo per mia moglie e per la nostra Mimma. La situazione militare dei nostri nemici peggiora sensibilmente; già dal 6 giugno gli alleati sono sbarcati in Normandia, faticosamente lottando per allargare la testa di ponte, e il 26 agosto con l'operazione Dragoon sono sbarcati anche in Provenza. Pur non svolgendo azioni offensive sul tratto di confine con l'Italia, la presenza alleata obbliga i germanici a presidiare i passi. Inoltre, le insistenti ed improvvise azioni di disturbo svolte da tutte le formazioni dei Combattenti per la libertà, nei più diversi punti delle retrovie impegna maggiormente gli occupanti che, per la deficienza di riserve, sono costretti a sguarnire o a ridurre i presidi ogni volta che devono costituire forze di manovra.  Come un grande mostro circondato, sferra potenti colpi di coda contro le zone partigiane, infliggendo talvolta dolorose perdite, o colpendo nel vuoto quando non riesce ad agganciare chi adotta una tattica elastica che, risparmiando le forze con la mobilità, si sottrae al logoramento.
A San Michele della Certosa di Pesio
Il 3 settembre rioccupiamo la valle del Pesio: attraversata la Pigna, scendiamo a San Bartolomeo senza prendere contatto col nemico, che ha ripiegato a Chiusa Pesio. Il mio distaccamento viene destinato al San Michele: una piccola cascina sulle pendici della Gardiola, a quota 1131. Si tratta di un solido fabbricato del '200, già grangia dei Certosini, con annesso un capace fienile disposto ad angolo sul lato nord est; al primo piano ci sono una grande cucina e una camera; al piano sottostante una capiente stalla e una legnaia. Un lungo "arbi", l'abbeveratoio per il bestiame ricavato da un tronco scavato, limita il cortile quadrato verso la montagna, ed è alimentato da un ruscelletto che poi si perde nel verde. Folti boschi circondano la cascina, ricoprendo le pendici del monte e aprendosi in brevi radure verso la Certosa di Pesio. La posizione è tatticamente eccellente, e mi consente di disporre, nei pressi della casa, un osservatorio con ampi campi di vista sulla vallata, da Madonna dei Boschi a Madonna d'Ardua, facilitando il nostro compito di controllo sulle provenienze dalla Mirauda e dal Marguareis. Tre mulattiere ci collegano alla sottostante cascina di San Giuseppe, a Certosa di Pesio ed a San Bartolomeo. Trascorriamo la prima notte nel fienile, e la mattina ci svegliamo tutti "intronati", come dice il Ferrua, per la scarsa ventilazione e la fermentazione del fieno; poi, l'aria fresca e le abbondanti abluzioni ci restituiscono energia per cominciare la sistemazione logistica. In mattinata sale da noi il proprietario della grangia, e, appreso il mio cognome, esclama: «Nella mia compagnia del 1° Alpini, in Libia... c'era un Sottotenente Aceto. Me lo ricordo bene. Io ero il trombettiere.». Gli confermo che si trattava sicuramente di mio padre, che proprio nel 1911 aveva partecipato a quella guerra. Al che, egli aggiunge: «Mi ricordo che dopo un combattimento è rimasto ferito da un capo arabo. Lui lo soccorreva. Sembrava moribondo. Mentre il Tenente gli dava da bere con la sua borraccia... quello gli ha dato una pugnalata nel petto. Lo ammazzava se non c'era la bandoliera!  Poi suo padre è tornato presto dall'ospedale. Per combattere ancora con noi. Gli hanno dato anche una Medaglia al Valore.». Mi commuovo per questo imprevedibile incontro e lo ringrazio per il suo ricordo, ed egli dice di usare liberamente quanto troveremo, e che gli rincresce non poter rimanere con noi. Gli assicuro che non faremo danni. Questo benvenuto mi suona di ottimo augurio, e raccomando ai miei uomini di trattare ogni cosa come se fosse la loro. La cascina in realtà è poco attrezzata perché ormai usata solo come alpeggio estivo. Per poter fruire della grande tavola, costruiamo subito delle panche di assi; poi, nel capace camino ancora fornito di marmitte collaboriamo quasi tutti per preparare il primo rancio caldo: un bollito di carne, e il brodo, senza gusti, tranne un po' di sale. Ci siamo portati da Prea grosse pagnotte di pane scuro, e mangiamo con grande appetito ed euforia. Essendo affluiti rinforzi, siamo aumentati di numero e devo rivedere la sistemazione per la notte. Sgombrato tutto il foraggio dal fienile, vi sistemo la maggioranza, sfruttando alcune balle di paglia, e occupo con altri cinque la stanza laterale per dormire sopra rudimentali lettini costruiti con rami di pino. Il mio distaccamento ha ora in forza quindici uomini, e l'armamento consiste in due pistole, due Sten, undici fucili 91 ed una mitragliatrice Fiat 35. Tra i nuovi c'è un giovane Allievo Ufficiale: Franco, impulsivo e coraggioso, che effettua con successo due azioni di pattuglia in pianura, sottraendo coperte e uniformi ai depositi repubblichini. È tanto impaziente di passare all'offensiva, che devo spiegargli quanto sia importante per la vita di tutta la formazione, garantire innanzitutto la zona di sicurezza.