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Autore

Furio Aceto

Anno

1943 -1945

Luogo

Cuneo/provincia

Tempo di lettura

8 minuti

In cammino per la libertà. Diario dal 25 luglio 1943 alla Liberazione

Con monarchica fierezza, euforia, animazione, brindiamo alla fine del "regime"; siamo entusiasti di sapere chiuso il pesante capitolo del fascismo, dei "due eserciti".

Pordenone, 25 luglio 1943

Domani festeggeremo il primo mese di matrimonio; stasera gli amici ci hanno invitato al circo equestre; usciamo in gruppo dall'albergo Moderno presso il quale alloggiamo. Io e Vittorina al primo piano nella bella camera con salottino che ha il balcone proprio sopra l'ingresso principale. Nello stesso albergo, al piano terreno funziona il circolo ufficiali del mio reggimento Lancieri di Vittorio Emanuele II, trasferitosi dalla guarnigione di Bologna e facente parte della V Brigata della Divisione di Cavalleria corazzata Ariete. Sono con noi i miei colleghi, sottotenenti Guerra, Fotticchia, Guzzi, Stampacchia, e Montanari con la moglie. A circa metà dello spettacolo ci giunge, sussurrato, "l'ordine di scuderia" di rientrare subito al circolo. Apprendiamo così le ultime notizie da Roma: la caduta di Mussolini e la nomina del Gen. Badoglio a capo del governo. Con monarchica fierezza, euforia, animazione, brindiamo alla fine del "regime"; siamo entusiasti di sapere chiuso il pesante capitolo del fascismo, dei "due eserciti". Il Re ritorna ad essere l'unico comandante in capo come da Statuto. Nel brindisi qualcuno rompe il bicchiere alla moda russa. Mia moglie esclama: «Finalmente respiriamo l'aria della libertà. Quanto sospirata.». Nella notte dormiamo poco, nonostante la stanchezza della giornata, e al mattino sono convocato a rapporto. Il comandante del reggimento, il Ten.Col. Raby, sollecita brevemente l'opportunità di vigilare e tenere gli uomini alla mano, e si appella al nostro senso del dovere nella gravità del momento. Non mi entusiasma: rimpiango il Col. Dardano Fenulli, che lo ha preceduto, e ora, generale, comanda la nostra Brigata. Egli soleva parlare al reggimento riunito in occasione della Messa festiva nella caserma di Bologna. Il suo eloquio, sempre efficace e illuminato, puntualizzava la situazione con una intelligenza ed una sensibilità che avevano reso l'unità una grande famiglia, animata da un senso di coesione che era raro trovare altrove. Nelle sue frasi si fondevano armoniosamente patriottismo e fedeltà al Re, e ognuno di noi trovava conferme e sostegno ai propri sentimenti in quella eccezionale personalità. Ora, invece, quanti interrogativi! Pare di essere a rimorchio degli eventi. Per fortuna i Lancieri sono nella maggioranza seri, disciplinati, animati da un fortissimo spirito di corpo; questo, se nei quadri deriva anche dalla tradizione, nella truppa è l'effetto dell'azione di comando equilibrata, ispirata, umanissima del colonnello Fenulli. Fino a ieri, noi godevamo della spensieratezza propria della nostra giovane età, ed insieme della coscienza di ottemperare con fedeltà ai nostri doveri. Ieri mattina il collega Fotticchia, al mio arrivo al circolo per la colazione, mi confidava simpaticamente di aver notato in città una nuova ragazza: «Favolosa, un po' altera, notevole per stile ed avvenenza.». La fanciulla, dall'abito verde acqua, si era sottratta dal suo insistente pedinamento entrando in un negozio e facendo perdere le sue tracce. Lo Stampacchia, che lo aveva incontrato in bicicletta, annuiva sorridendo. Ad un tratto il Fotticchia era ammutolito, arrossendo e dicendo: «Ma è qui, è qui! Purché non venga a protestare!». Voltandomi, nel vedere Vittorina, rompevo il silenzio imbarazzato dei miei interlocutori, dicendole: «Vieni, ti presento questi cari colleghi.». Ricordo ancora le loro espressioni stupite; poi, con lo spirito e la galanteria che li distinguevano, il primo ci aveva offerto l'aperitivo, e il secondo ci aveva invitati al circo equestre: «...in riparazione dell'involontaria insistenza e della gaffe... perdonabile? Spero.».  Tutto era finito così signorilmente, e io m'ero sentito molto fiero di avere una sposa tanto ammirata. Beata gioventù, credevamo di aver terminato un periodo critico. E invece le più grandi prove non erano ancora cominciate.

Quanti dubbi nel nostro animo, ci impensieriscono le notizie incerte ed allarmanti provenienti da altre regioni. Nel pomeriggio, l'ansia e la disperazione di doverci dividere ci conducono ad una decisione certamente avventata.

Partenza per il Lazio

È giunto un ordine sibillino: partiremo domani per una ignota destinazione del Lazio. La caduta del fascismo comporta gravi preoccupazioni, e lo Stato Maggiore Esercito intende rinforzare la disponibilità di grandi unità presso la capitale, anche in considerazione della vicinanza della Divisione Corazzata "M"², formata da militi ed artiglieri e dotata di carri armati germanici. Nella mattinata del 27 luglio abbiamo caricato sui pianali ferroviari i carri armati, gli automezzi, le munizioni e gli altri rifornimenti logistici. La mia cara, intanto, prepara per la spedizione ai miei suoceri un baule con le mie migliori divise e parte del vestiario, che, con due cassette d'ordinanza e il cassone selleria, con la mia sella inglese di cinghiale, partiranno per il Piemonte. Quanti dubbi nel nostro animo, ci impensieriscono le notizie incerte ed allarmanti provenienti da altre regioni. Nel pomeriggio, l'ansia e la disperazione di doverci dividere ci conducono ad una decisione certamente avventata. . . Io ho 22 anni, Vittorina 21, ci sembra intollerabile perderci, separarci nuovamente. Questo dopo aver dovuto aspettare per anni di sposarci. Raggiungiamo così alla stazione ferroviaria il convoglio, poco sorvegliato in un binario laterale. Riusciamo ad allontanare l'amico Brancaccio con una scusa, nonostante la sua perplessità per la nostra presenza. Vittorina entra nel mio carro armato, arrampicandosi con l'aiuto del fedelissimo pilota, il lanciere Esposito. Prima ha indossato una tuta blu da carrista e calcato un casco sui riccioli annodati. Comincia così un viaggio interminabile per la mia sposina, priva di ogni confort, con pochi viveri che saltuariamente io o il mio Serg.Magg. Rebizzani, riusciamo a portarle durante le soste. Il tormento peggiore lo soffrirà per l'assalto delle zanzare nel caldo torrido, nella notte in sosta a Padova, e nel rimanere quasi sempre chiusa nella ferraglia per quasi quarantotto ore. Ad ogni sosta del convoglio, con la scusa di controllare il personale di guardia, lascio il mio comodo scompartimento di prima classe e mi avvicino al mio carro: vorrei esserle di qualche aiuto e consolarla, non riesco a riposare mentre lei è così sacrificata. La mia assiduità è notata dai superiori che commentano benevolmente sull'eccesso di zelo del "Portastendardo". Infine, transitando a Firenze, con mio vivo disappunto, il "Gufo" (appellativo attribuito da "radio gavetta" all'Aiutante Maggiore in I del Reggimento) osserva con sarcasmo il mio attaccamento eccessivo ai mezzi del mio plotone; il commento mi turba e sospendo le visite fino al calare della notte. Il viaggio sembra eterno e le notizie contraddittorie sulla situazione politica interna ci portano a temere che ì tedeschi non accettino la destituzione di Mussolini e che la milizia si sollevi con l'aiuto dei nazisti. Nella lunga notte a Padova numerosi convogli di corazzati germanici erano in sosta a pochi binari di distanza ed i loro "musi duri" non avevano facilitato alcuno scambio di manifestazioni cameratesche. Anzi una certa tensione serpeggiava nell'animo nostro e dei lancieri. Prima dell'alba del terzo giorno di viaggio, eccoci a Civita Castellana, dove laboriosamente scarichiamo carri e automezzi sull'unica rampa terminale, onde formare una colonna avente destinazione Rignano Flaminio. Colgo il momento propizio per aiutare Vittorina a raggiungere la sala d'aspetto, ove attenderà il primo treno per Roma. Le risorse peculiari del suo carattere, vincono la mia incertezza, ma non annullano la mia ansia per lei, sola in questo viaggio in momenti tanto difficili. Il nostro commosso saluto è un «arrivederci a Rignano... con l'aiuto di Dio!». Ritorno mesto al mio plotone ormai disposto in formazione di marcia dal solerte Rebizzani: sei carri armati in testa, seguiti dagli autocarri, dai motocicli e motocarrelli. Alle ore 8.30, con fierezza e commozione, risalgo lo schieramento reggimentale reggendo il "mio" Stendardo, raccolto nel suo fodero grigioverde, per prendere posto in testa alla colonna sulla seconda autovettura scoperta. Un ultimo squillo di tromba dà il segnale della partenza, dopo gli onori regolamentari ed il "montate" degli equipaggi sui mezzi.