Autore
Maria PaganiAnno
1986Luogo
Varese/provinciaTempo di lettura
5 minutiLa gioventù femminile saronnese nella resistenza
Un pomeriggio sono stata chiamata in casa della mia amica e il fratello mi disse che aveva un messaggio urgente da portare in una località nelle vicinanze di Milano, mentre la sorella doveva andare a Tradate e mi avrebbe accompagnato uno dei due che erano in casa sua. Convinta che l'assenza da casa fosse di poche ore, partii in bicicletta senza avvisare la mamma. Strada facendo questo giovanotto mi disse di chiamarsi Ferro I (nome di battaglia) e di osservare bene la strada perchè in avvenire dovevo sbrigarmela da sola. Osservando bene, feci notare che invece di prendere la strada per Milano, avevamo preso per Castellanza, ma questi mi disse di non preoccuparmi. Dopo un bel pò che pedalavo chiesi di nuovo dove mi stesse portando, ma egli imperterrito rimase muto. Non sapevo da quanto tempo si andava, quando ad un tratto vidi un fiume con un ponte bombardato: noi dovevamo attraversarlo su di uno zatterone. Sull'altra sponda attraversammo un paese, prendemmo una stradina ripida e andammo avanti così per un bel pezzo. Arrivammo in un posto con tanti alberi, c'era solo una osteria con l'insegna "Osteria del Bersagliere". Guardai l'ora: erano le 18 del pomeriggio. A quel punto Ferro I dovette dirmi che per ragioni di sicurezza mi avevano mentito, e che noi ci trovavamo a Cascinetta, al di là del Ticino. 
Quindi il percorso era: arrivare a Sesto Calende, attraversare il fiume, passare per un tratto Castelletto Ticino, prendere la stradina ripida e arrivare a Cascinetta all'Osteria del Bersagliere.  Purtroppo ritornare era impossibile, non si poteva rientrare in tempo dato il coprifuoco, ed in più aspettavamo la staffetta per la consegna degli ordini.  Mentre si aspettava ci hanno servito latte e pane bianco: dalla sorpresa non riuscivo neppure a ingurgitare un cucchiaio di latte, ma quelle persone capendo il mio digiuno, hanno fatto di tutto per incoraggiarmi.  Ad un certo punto vidi una pattuglia dirigersi verso di noi e al momento mi spaventai, ma Ferro mi disse che erano nostri compagni. Il primo che si presentò fu Ferro II e tendendomi la mano mi disse: "Ebe non farti prendere, perchè saresti la quinta staffetta che fanno fuori, ora fai parte della Brigata Carlo Rosselli". Gli altri in coro hanno fatto scaramanzie e tutti assieme hanno chiesto notizie di casa, e sentendo che tutto andava bene (anche se non era vero) in mio onore si sono messi a cantare le loro canzoni. Sempre cantando uscimmo all'aperto sedendoci sotto gli alberi.  Ad un certo punto mi chiesero se ero capace di sparare, vedendo che avevo con me una piccola Browning.  Alla mia risposta negativa i ragazzi rimasero male, sapendo il pericolo che correvo e Ferro Il mi insegnò ad usare l'arma per una eventuale difesa personale.  Prima del loro rientro ai loro rifugi, mi hanno accompagnata da una vecchina che mi ha dato ospitalità per la notte.  Sola che fui, pensai a casa, e mi prese il terrore di dover affrontare il giorno dopo mia madre.  Di mia madre ho sempre avuto paura, anche se non l'ho mai dimostrato, era una donna tutta d'un pezzo, carattere forte e mani che, quando sfioravano, lasciavano il segno.  Quindi si può dedurre come passai la notte.  Al mattino venne Ferro I a riprendermi e ci avviammo per il ritorno. A metà discesa cominciai a frenare, ma siccome avevo un freno rotto, frenava solo quello davanti, la ruota si bloccò ed io feci un capitombolo che ricordai per molto tempo.  Ma non bastava solo quello: arrivati ad Ubolodo, la bici si ruppe in due, per fortuna si andava adagio (avendo davanti una camionetta di fascisti) e proprio in quel tratto c'era un negozio di riparazioni di biciclette (Monticelli) così abbiamo potuto lasciare i rottami, Ferro è rientrato in bici, io a piedi. Arrivai a casa mia verso mezzogiorno, e in cortile c'era mia madre ad aspettarmi, (lei era stata avvisata alla sera dalla madre di Gerolamo che io non sarei rientrata, dando spiegazioni in proposito). Appena vicina a lei sono volati degli schiaffoni che hanno lasciato il segno.  Portandomi in casa di peso, mi urlò che ero la rovina di casa sua e che mettevo in pericolo oltre la famiglia anche quei ragazzi nascosti in casa nostra.  Per fortuna in cortile eravamo tutti uniti!