Autore
Castrenze ChimentoAnno
2009 -2011Luogo
Palermo/provinciaTempo di lettura
6 minutiL'odissea della mia vita
Le sofferenze della mia infanzia, il disprezzo e l’abbandono dei miei genitori e il grido dei miei fratelli e sorelle. Inizio dalla mia nascita per volere del Dio Creatore. Ecco come ricordo il mio essere della memoria nel cammino della mia infanzia e questo è il primo ricordo della visione di quando avevo cinque anni. Ero vestito di bianco e vedevo in una grande estensione di terreno una villa con viali ricchi di fiore di qualsiasi genere e colore. Tutto era bello e, guardando, era felice. Ma il dolore e il pianto della mia vita sono nobili e sinceri, perché man man che io crescevo si susseguono le mie disgrazie: i miei genitori cominciano a litigare. Si c’è fame e miseria e loro giorno dopo giorno non riescono a sostenere il peso della famiglia e dei figli, perché siamo tanti e il più grande dei figli maschi era mio fratello Ciro, morto nella guerra del 1939. Questo è quello che ricordo di lui. Allo stesso modo ricordo che i miei genitori cominciarono a litigare e questo significava che il loro amore cominciava a sgretolarsi: non c’era pace tra loro due. Loro non pensavano alle sofferenze di noi figli e questo era il tormento d’ogno giorno. Certamente sentivo che urlavano e si picchiavano con tutte le loro forze fino al punto di vedere i loro visi pieni di sangue. E noi figli che piangevamo e il nostro cuore era straziato e le lacrime bagnavano i nostri visi. Questo erano le nostre sofferenze e le nostre angosce e ci tenevamo abbracciati fra noi. Mia sorella Maria, la maggiore delle figlie, mi teneva in braccio, mi baciava e mi asciugava le lacrime che, lente, scendevano dagli occhi. Il mio pensiero era divastato, perché avvertivo il distacco dentro il mio cuore e non mi sbagliavo perché non passarono molti giorni che i miei genitori si separarono. Siamo rimasti soli e abbandonati! Sendivamo il triste tormento della solitudine come peccore senza pastore. Ero scalzo e triste per la sventura che se era accanita contro di noi, come se il cielo ci soffocava e ci lasciava senza respiro. Cosicché mia madre, che si chiamava Angela Talamo, ci lasciò e se ne andò con un altro uomo. Quest’uomo si chiama Antonio e proveniva da Gratteri. Era venuto ad Alia, il mio paese, da pochi, all’incirca intorno al 1940. Devo affermare che era vedovo e, per come mi ricordo, aveva una figlia e un’anziana madre. La figlia è sposata ad Alia con il Signor M. e, per dire il vero, costui faceva parte della mafia di Alia e fu lui che fece uccidere i due banditi Guercio e Ferrarello.
Questi due banditi erano conosciuti ad Alia, perché come ben ricordo negli anni 50 ebbero uno scontro a fuoco con i carabinieri del paese. A quei tempi le forze dell’ordine andavano a caccia di due banditi e quando avvenne lo scontro a fuoco, i carabinieri si trovavano nello zona chiamata “Vacco” e i due stavano in quella chiamata “Passo del bambino”, dalle parti di Montemaggiore Belsito; le due fazioni nemiche erano uno di fronte all’altra! Devo affermare che questo Guercio mi ha lasciato un ricordo, l’ho conosciuto in persona perché eravamo nella proprietà di un certo Signor Francesco, proprio al centro della zona “Vacco”, e li c’era e c’è ancora oggi una casa diroccata. Ricordo che mi ha fatto salire su un pezzo di muro e, siccome era armato di moschetto, ha preso la mira e mi ha sparato in mezzo alle gambe. Ricordo che ero scalzo e che era estate. Certo la mia paura è stata cosi grande che sono caduto, mi sono fatto addosso la pipi e la cacca e sono scappato in un appezzamento di terreno coltivato ad olive e mandorli, il Signor Guercio poiché correvo ed ero spaventato, continuava a sparare con il moschetto dei colpi in aria, mentre io chiedevo aiuto e chiamavo la mia mamma. Ero cosi spaventato che non sentivo dolore, perché sia le pietre sia la terra non mi faceva male né impressione. Ero stanco, piangevo, avevo fame e paura, perché iniziava a fare buio e la notte si avvicinava. Il mio pensiero ed il mio dolore vagavano come se il mio spirito vedesse lo sguardo dei miei genitori. Questo sentivo, come si mi porgessero le loro mani e asciugassero le mie lacrime. Cosi la notte calò su tutto il mio corpo, mi corcai sulla nuda terra, ma il mio animo era sconvolto, pieno di rabbia verso il crudele destino del disastro dei miei genitori, fa notte, le stelle e il cielo sereno davano forza al mio carattere, mi spingevano ad alzarmi e camminare per derigermi verso il paese: dovevo incontrare qualcuno dei miei genitori. Incontro mio padre, il quale non appena mi vede, mi abbraccia, asciuga le mie lacrime e mi stringe forte forte al suo cuore. L’istinto ed il pensiero paterno è quello di prieoccuparsi di farmi mangiare, ma con molta difficoltà, perché non aveva come sfamarmi perché non aveva pane, mi disse di attendere qualche minuto per andare a chiedere una fetta di pane; come se fossi stato il figlio prodigo, solo che il padre del figlio prodigo era ricco, il mio era povero! Si fece sera e non sapeva dove passare la notte per dormire, perché le stelle! Ci siamo allontanati dal paese per circa un chilometro, siamo che avevo paura, si tolse la giacca, mi copri, mi abbracciò e mise sul suo petto per farmi sentire il suo calore. Queste sono cose che non posso dimenticare! [Eppure] sono trascorsi 75 anni e non sono mai andato a scuola per l’odissea della mia famiglia. Mentre si consumava l’odissea della mia infanzia, mia madre dava alla luce altri figli il suo uomo Antonio. Ricordo bene che il primo figlio di Antonio si chiama Giuseppe, il secondo Santo e la terza Rosa. Costoro sono tutti figli di Antonio, ma portano il cognome di mio padre, cioè Chimento. Devo fare presente che la separazione dei miei genitori si è verificata al principio della seconda guerra mondiale tra il 40 e il 41.