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Autore

Castrenze Chimento

Anno

2009 -2011

Luogo

Palermo/provincia

Tempo di lettura

7 minuti

L'odissea della mia vita

Ma come procurare da mangiare se non chiedere del pane alle persone del mio paese.

Mi ricordo che un giorno vidi arrivare mio padre. Si soffermò un giorno ed una notte, perché era un disertore. Era triste e disorientato, senza voglia di vivere. Era vestito male, aveva i pantaloni bucati, come pure le scarpe, i capelli lunghi la barba. Anche se avevo circa dodici anni cosa potevo dirgli se non quello di guardare e piangere, cosa potevo dire mio padre se non baciarmi e toccare il mio viso, le mie lacrime che scendevano sul suo e sul mio viso; amare ricompensa questo è il ricordo. Da quel momento in poi cominciai a pensare alla fuga da quel padrone e dove e quando e per trovare qualcuno della famiglia, come ripararmi dal freddo e dalla fame. Quante volte ho dormito in mezzo alla strada, dietro le porte del paese, privo di qualche coperta per coprirmi nelle notte di freddo, di pioggia e di neve, stando accucciato su me stesso e sentendo il freddo penetrare le mie ossa! Cosi penso a bambini che soffrono come ho sofferto io, cosi contemplavo le notti di buio e di ghiaccio, che si allungavano per vedere la luce del giorno. Sono certo che la luce della notte vedevo il mio corpo attorcigliato su se stesso e sono certo che il cielo ha fotografato il mio corpo; questo è il pensiero: è sempre stato al mio fianco. Dopo alcune settemane mi sono presentato da mia sorella Maria moglie di Cosimo Ganci, per chiedererle di ospitarmi a casa sua. Ma la loro disponibilità fu fredda perché anche loro non avevano pane per mangiare. Mia cogniato mi disse: “Se vuoi stare, stai, ma sappi che devi procurare da mangiare.” Ma come procurare da mangiare se non chiedere del pane alle persone del mio paese. Cosi mi presentavo alle persone più ricchi del paese come il signor Noci, il cavaliere Vincenzo ed altri famiglie benestanti. Potevo dormire sotto un tetto, ma sul pavimento e con qualche coperta piena di pulci e pidocchi. Spesso non avendo da mangiare, facevamo il digiuno obbligatorio!

Ogni sera tremavo al pensiero che i padri-padroni abusassero del mio corpo, e pregavo Dio affinché il Sole non tramontasse, per non vedere i loro sguardi e i loro visi.

Devo dire che mio cognato Cosimo non era uomo che prendeva delle iniziative, perché amava poco e ni[e]nte il lavoro, gli piaceva dormire e fare figli a mia sorella Maria. Il suo stile era quello di parlare e comandare, come, infatti, dopo qualche mese mi ha impiegato come garzone per accudire mucche e pecore dal Signor G. Mio cognato era un uomo di poco coraggio, perché era un poco di buono nel lavorare e non sapeva curare la sua salute, perché è morto di una malattia che poteva cuarire con un’operazione chirurgica. È stato ricoverato per ben tre volte all’ospedale Civico di Palermo e tutte e tre le volte quando gli dicevano che doveva operarsi, scappava dal reparto e si presentava da sua moglie. Cosi è morto con un’ernia che pesava più di venti chili, e con le gambe ed i piedi gonfi. Era un uomo che sapeva solo comandare e soprattuto su di me, perché mi vendette come garzone al Signor G., al quale aveva concesso il permesso di comportarsi nei miei confronti da padre padrone. Ecco come è stata la mia odissea. Ricordo che era il mese di marzo/aprile del 1947 o 1948 e da quel “padre” e da quel figlio dovetti subire la tortura e le angherie di ogni genere, perché dovevo sottostare ai loro desideri carnali: dovevo accarezzare il pene di entrambi, ogni qual volta rimanevo solo, correvo il pericolo di essere violentato sia di giorno sia di notte e questo nonostante il mio continuo rifiuto. Ogni sera tremavo al pensiero che i padri-padroni abusassero del mio corpo, e pregavo Dio affinché il Sole non tramontasse, per non vedere i loro sguardi e i loro visi. Come bene ricordo non abbiamo mangiato pasta e pane per più di un mese, e tre volti il giorno mangiavamo fave con latte e ricotta. Allora, abbiamo fatto seccare il primo frumento e lo abbiamo fatto macinare al mulino, così abbiamo mangiato il pane! Come era bello, gustoso e dolce! Quando pascolavo le mucche e avevo sete, prendevo la bustina militare, con la quale mi coprivo il capo, la legavo alla cintura del pantaloncino e la mettevo nel pozzo per impregnarsi d’acqua poi la trizzavo con le mani e mi dissetavo. Queste erano le mie pene di ogni giorno. Camminavo scalzo sotto il sole e la terra calda bruciava la pelle dei miei piedi. Quanti volte ho sofferto perché ero punto dalle spine e il sangue faceva la crosta sui piedi! Quante volte dovevo correre e inciampare sulle pietre! Quanto, quanto dolore, quanta disperazione e quante lacrime! In quella zona c’era una terra particolare, che si adattava per fare canali e ogni anno c’erano due famiglie, soprannominati “s[t]azzonare” che fabbricavano tegole di creta. Incominciavano la lavorazione nel mese di marzo per terminare ad ottobre. Costoro lavoravano di giorno e di notte, perché la notte scavano la creta e il giorno la pestavano con i piedi. Avevano due grossi forni per cuocere le tegole e, poiché a quei tempi non c’era lega, vedevo due persone che con un mulo e grossi sacchi giravano tutta la zona per raccogliere la paglia. La trebbiatura, in quegli anni, veniva fatta con i piedi delle mule, che si facevano girare tre o quattro ore al giorno, fino a quando diventava paglia. Ricordo che il figlio di G., S., nelle notti di luna piena si armava di moschetto e andava a rubare uva e altra frutta. Io, scalzo, lo dovevo accompagnare e questo era per me un dolore. Costui era perv[er]so e rigoroso, spesso mi pre[n]deva a schiaffi e mi dava calci sul sedere. Non sopportando più questa situazione, decisi di scappare. Un giorno di settembre del ’47 o ’48 sono scappato e mi sono nascosto in contrada “[Ragginora]”. Dopo qualche giorno vedo che lui mi cercava, ma io mi nascondevo dietro grossi massi di pietra e di cespuglio per non farmi prendere. Stava quasi per accorgersi di me, quando avvenne il miracolo. I suoi occhi sembravano pietrificati, perché mi passò accanto e non mi vide, questo è perché Dio è sempre stato con me. Egli si è rivelato sino dalla mia infanzia e per questo il signor S. mi perseguitava e non poteva vedermi, perché Egli è stato sempre il mio scudo, la mia salvezza nei momenti più difficili della mia vita. Questo è sempre stata la mia certezza, come sono certo che dopo 75 anni sto scrivendo la mia storia e questo è sempre stato il mio desiderio.