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Autore

Andrea, Lorenza

Anno

1977 -2004

Luogo

Arezzo/provincia

Tempo di lettura

5 minuti

Mio dolce sasso di fiume

"Esci fuori e assumiti le tue responsabilità, accetta la tua paura ma io non l'accetto!"

9 febbraio '81

 

Cara Lorenza,

guardando con attenzione il tuo disegno di cui parlavamo ieri sera mi sono reso conto

che è giunto il momento di dire finalmente la verità: Sono proprio come mi hai raffigurato: con lo sguardo diffidente e spaventato. Da un bilancio spietato con me stesso traspare molta falsità e disonestà. Non ho mai voluto ammettere fino in fondo di essere INSICURO, FRAGILE, SPAURITO e ho sempre recitato la parte del leone a parole, forte solo della costruzione difensiva del mio narcisismo che per 26 anni ho strenuamente consolidato. Ma ora basta, il "castello incantato" non lo è più, ogni piccola scossa rimbomba, risuona con fragore all'interno e ne fa scricchiolare le pareti. Sta crollando e io con lui! Tu hai sempre visto nel giusto sin da quando criticavi il mio essere parolaio, la mia incoerenza ma io ero così SPAVENTATO da non poterlo ammettere. Ti spiego cosa intendo per "spaventato". E' uno che ha ereditato dalla vita (dell'infanzia) una grande paura, una incertezza interiore, un terrore degli istinti, dei sentimenti e soprattutto degli affetti, dell'amore. Per affrontare la vita esterna (lontano dalla madre) non ha altra scelta che costruirsi una poderosa e resistente torre da dove diffidare di chiunque e di qualsiasi cosa esterna e da dove, col tempo, manipolare gli altri affinché non facciano troppo del male avvicinandosi oltre il limite di guardia. All'improvviso sei arrivata tu come un turbine, una meteora (mi viene in mente il fulmine della carta "la Torre" dei Tarocchi) che ha infranto di colpo la parete interna della torre (la mia "paralisi" del 5-12-77 e tante altre successive non erano solo sessuali). Mi hai mostrato prepotentemente che esisteva la vita, gli affetti, l'interesse per l'altro, la possibilità dell'amore. Io dovevo pur difendermi e ho sfoderato l'unica arma che sapevo usare: la dialettica verbale. Ho costruito palazzi, castelli che ti ho propinato e ai quali tu non credevi sin dall'inizio; ma io avevo PAURA, solo PAURA e non cattiveria. Forse tu nel tuo intimo l'avevi capito altrimenti non avresti raccolto tutte le mie esche. Ti regalai persino i narcisi per non regalarli, sin da allora, a me stesso; ti parlavo di statua, di piedistallo, di certezze programmate e tu di istinti programmati. Abbiamo imbastito un intreccio inestricabile di proiezioni reciproche sviluppatesi in tutte le loro caleidoscopiche forme e modalità. Dovevamo, in fondo, CONOSCERCI e per questo è necessario forse SCONTRARSI. Tu, d'altro canto, avevi la tua torre costruita certo su altre basi e per altre necessità ma non per questo meno arroccata. I tuoi "drammi-karma" del POTERE MASCHILE e della LIBERTA' INDIVIDUALE FEMMINILE si scontravano e intrecciavano con i miei dell'ABBANDONO e del DESIDERIO-PAURA del POTERE. Era inevitabile farsi del ma le per crescere insieme su queste basi ma anche farsi del bene così come è stato. Tu hai dato vita pian piano al tuo seno esterno ed interno, alla tua "micidiale" dolcezza repressa, alla tua femminilità inespressa e io ho continuato a difendermi (con sempre minor forza fortunatamente) nella mia logorrea cedendo qualche rara volta di fronte a evidenze schiaccianti. Vedi io avevo più paura di te: è tutta qui la differenza: è questo il nocciolo del problema. Non volere ammettere di essere fragile e insicuro, di avere bisogno di uno stimolo costante esterno per andare avanti mentre dentro si sente che è così e mentre l'altro continuamente con la "dialettica feroce (e salutare) dei fatti" te lo ricorda, è molto difficile e comporta necessità di affilare fino in fondo le proprie armi. Ricordo infinite volte che col coraggio della paura di essere smascherato e scalfito ho ribaltato situazioni irreparabilmente compromesse. Perché questo? Perché avevo bisogno di difendere la mia torre fino a vederla crollare e per farlo dopo 26 anni forse 3 anni sono anche pochi. Tu mi hai messo sempre di fronte a me stesso su questo punto dicendomi: "Esci fuori e assumiti le tue responsabilità, accetta la tua paura ma io non l'accetto!" E' questo forse che mi ha impedito di farlo fino in fondo: la mancanza di una garanzia per me di cui, in fondo, la MIA paura ha diritto per morire finalmente. Il non. saper cosa trovare, l'essere indifesi di fronte all'amore dell'altro, smarrito di fronte a certe tenerezze, a certi gesti inaspettati (ultimo quello di sabato e + 'in generale l'accettazione della mia depressione), disattento nel ricambiarli perché troppo concentrato a difendersi. Ma, Lorenza, sono arrivato ora a un punto con me stesso di maggiore serenità in cui finalmente non mi vergogno più di ammettere questo, non voglio più nasconderlo: SONO FRAGILE, SONO INSICURO ma SONO IO, SO CHI SONO E COSA POSSO OFFRIRE >> me stesso così