Autore
Claudio LucianoAnno
1996Luogo
Roma/provincia; RovigoTempo di lettura
11 minutiPensieri a pedali
21 agosto, mercoledì
Dunque ci siamo. La sveglia ha suonato alle cinque e mezza, ma non dormivo più da un po'. La notte è trascorsa in una specie di dormiveglia che si è protratto per ore. Indugio per qualche minuto, poi lentamente scendo dal letto e incomincio a comporre in successione i movimenti mattutini: mi lavo, mangio in misura più abbondante rispetto al consueto, mi vesto e infine mi assicuro un po' maniacalmente di non aver dimenticato nulla sparso per la stanza. Chiudo la valigia e la porto in camera di Ivan e Remo. Ci salutiamo e ci diamo l'arrivederci tra qualche ora. Mi seguiranno in macchina partendo con più calma verso le nove. Scendo nel cortile interno e mentre prelevo la bicicletta dalla rimessa dove era custodita, incontro Pietro, il proprietario dell'albergo, con il quale si è stabilito in questi giorni un rapporto molto amichevole, quasi di complicità. Immagino che sia stata determinante la ragione che mi ha condotto fin qui, lui è infatti un agguerrito fondista con all'attivo, grande e comprensibile motivo di orgoglio, una partecipazione alla Vasalopet, la più famosa e lunga gara non competitiva di sci da fondo che si svolge ogni anno in Svezia. Tra fondisti e ciclisti esiste una parentela stretta in ragione forse della contiguità di queste due discipline, per la qualità dell'impegno fisico richiesto e magari anche per la filosofia che le ispira. Ricevo perciò volentieri i suoi auguri e ci salutiamo. Esco con passo lento da una città ancora addormentata e avvolta nella luce incerta del primo mattino. Attraverso la grande piazza Galimberti e senza svolte mi dirigo in linea retta verso Borgo San Dalmazzo da dove inizia la strada che risale la valle Stura fino al Colle del a Maddalena. I rumori ancora attutiti e la persistente penombra, rafforzano lo stato d'animo con cui faccio il mio esordio in questo giorno fatidico: mi sento piccolo, solo e indifeso, come se stessi andando verso una sorte che mi risulta insondabile e in qualche modo minacciosa. Tutto questo mi dà una strana leggerezza, potrei fare qualunque cosa di me e comunque nessuno se ne accorgerebbe, sono liberato da ogni legame e da obblighi verso chiunque. Sto assaporando il gusto agrodolce della libertà, senza più vincoli ma senza più radici. Quello che faccio è solo per me e tutto quello che alla fine me ne verrà, sarà solo in una parte molto piccola condivisibile e comunicabile; anche queste pagine non so se saranno in grado di restituirmi con luce retrospettiva le emozioni che consumo in questi momenti. Da Cuneo alla Maddalena sono 68 chilometri di salita per lo più molto distribuita, per un dislivello di circa 1400 metri. A San Dalmazzo metto il 42 e lo cambierò solo nelle discese. La ruota libera correrà lungo l'intera scala dal 14 al 28. Importante è che mantenga il rapporto che mi permetta il dispendio minimo e il massimo di economia. Oggi la strada sarà lunga anche senza voler pensare all'ipotetico traguardo di Pinerolo. All'altezza di Vinadio faccio una breve sosta per un caffé, poi riprendo per i restanti 30 chilometri fino al passo. Incontro qualche galleria, ma tutte fortunatamente illuminate, a parte la prima che mi obbliga ad una deviazione su un breve sterrato che ne consente l'aggiramento. Tra Pietraporzio e Bersezio sopraggiungono Ivan e Remo con la macchina.
Da qui in avanti si riveleranno il mio prezioso supporto. Gli ultimi chilometri presentano le pendenze più significative, con una serie di tornanti che conducono fin quasi al valico. Niente di proibitivo comunque, il 21 e il 25 sono più che rassicuranti e mi portano così al primo scollinamento della giornata. In cima la prima sosta. Mi rifocillo e bevo abbondantemente, anche reintegratori. Non sono affaticato. C'è il tempo anche per qualche foto, inclusa una, dovuta, affianco al cippo con l'effigie di Coppi. Per chi lo sente, qui si inizia a respirare la storia. Mi vesto per ripararmi dall'aria e da qualche spruzzo di pioggia. La temperatura è fresca ma non fredda. Inizio a scendere per portarmi di lì a poco verso il secondo colle, il più impegnativo con l'lzoard della cinquina che il programma prevederebbe, il colle di Vars a 2111 metri di quota. Raggiungo Gleizolles da cui si ricomincia a salire, prima lievemente, poi via via in modo sempre più deciso fino all'abitato di St. Paul da cui la strada si impenna negli ultimi 5 chilometri dell'ascesa con pendenze tra il 1 o e il 12%. Affronto la salita con la cautela che mi consigliano le recenti esperienze, fino al punto di assestarmi su un ritmo di pedalata ottimale che mi mette al sicuro dal rischio di saltare sulla distanza e rende lo sforzo mai insostenibile. Quando sono in cima al Vars è quasi l'una. Su queste rampe penso di aver reso al meglio delle mie attuali possibilità, rispondendo felicemente alle sollecitazioni che le pendenze dure imponevano. Mi sento bene e comincio a cullare l'idea di riuscire a superare anche l'lzoard in maniera altrettanto brillante, per poi lanciarmi su Briançon ad un'ora non troppo tarda. Sul Vars la sosta si prolunga un po' più che sul Maddalena. C'è un punto di ristoro dove con Ivan e Remo indugiamo in piccoli acquisti e per l'incalzare di alcune improrogabili formalità fisiologiche. Di nuovo fuori, dopo circa una mezz'ora, ricompio le operazioni di vestizione prima di affrontare la discesa. Nuvole imponenti e nere si stanmo addensando sulle cime e lungo la vallata. Scendo a velocità sostenuta fin dove la strada, in più punti molto dissestata, lo consente. Al culmine della discesa siamo a Guillestre da cui si dovrebbe ricominciare gradatamente a risalire verso l'lzoard. La scarsa attenzione alle tabelle con le indicazioni ci costa cara. Sbagliamo strada e per quattro o cinque chilometri ci dirigiamo verso la 'nazionale' che porta direttamente a Briançon. Ci fermiamo e invertiamo la marcia di nuovo verso Guillestre. Sono pochi chilometri di moderata salita che però hanno il fatale effetto di disunirmi. Sulla decina di chilometri in leggera pendenza che risalgono il corso del Guil incomincio ad accusare la stanchezza e si fanno sentire anche i primi morsi della fame. Comincia a piovere. Remo e Ivan mi aspettano con la macchina all'altezza della deviazione che con una svolta a sinistra propone gli utlimi 13 chilometri, i più impegnativi, verso l'lzoard. Mi ermo e dò fondo alle scorte di panini rimaste. La fame, almeno per il momento, pare sedata. Sento che l'lzoard lo raggiungerò solo col coltello fra i denti, saccheggiando le ultime riserve di energia. Mi ricompongo e dopo un quarto d'ora attacco la salita. Passo lento e regolare, 42/25 ma quasi subito mi affido al 28. La fatica c'è tutta e si fa sentire, comunque procedo.
Raggiungo Arvieux, da qui mancano ancora dieci chilometri. Poco dopo l'abitato inizia a salire un lungo rettilineo che porta all'inizio della serie dei tornanti. Supero, sempre più appesantito, anche l'ultimo gruppo di case in località Brunissard dove raggiungo uno stravolto ciclista su mountain bike, che al mio cenno di saluto risponde con una smorfia di dolore. Non lo rivedrò più. La pioggia si fa battente e quando affianco la macchina di Ivan e Remo sento che le gambe chiedono requie e mi fermo. I miei due compagni mi coprono con tutto quello che capita a tiro per ripararmi dall'acqua e dal freddo. Ci sono tutte le condizioni perché la fatica si tramuti in crampi e a quel punto sarebbe la fine. Risalgo in sella e infilo i primi tornanti. Saranno ancora sette o otto chilometri di strada con pendenza media dell'8%. Meglio del Vars se non fosse che sono ormai al lumicino. Un calvario che sarà interrotto da altre due brevi soste. Non posso mollare adesso, mi ripeto sempre meno convinto e a questo punto la presenza e l'incoraggiamento di Ivan e Remo si rivelano determinanti. Gli ultimi due chilometri sono un stillicidio di sofferenza che viene scandita ad ogni giro di pedale. Ma io sono tutto qui, una cosa sola con questo asfalto che mi spreme. Poco prima della vetta la strada degrada in una specie di avvallamento dove, fra guglie di roccia e pietraia, spicca una targa con i profili di Coppi e di Louison Bobet. E' uno spazio desolato che riempie l'anima, che racchiude distillate e purissime le emozioni che il ciclismo, la sua storia secolare e i suoi protagonisti hanno saputo rappresentare in gesti così - apparentemente ripetitivi e muti ma che sono in realtà canto e poesia di corpi, muscoli, occhi, respiro, di quel poco e di quel tanto che siamo. La strada torna ad avvitarsi pe tre, quattro volte ed ecco, dopo l'ultima curva, che tutto può tornare lentamente a placarsi su quel breve tratto pianeggiante diviso fra un'alta colonna di costruzione militare e di fronte, dall'altro lato della strada, un piccolo locale, ennesima cornucopia di souvenirs e chincaglieria variamente assortita. Ma c'è anche un angolo doverosamente allestito a ricordare il posto che l'lzoard occupa nella storia di questo sport. E' ben poca l'armonia dei movimenti che la fatica accorda al momento. Ancora storditi, le cose che si fanno sono le più ordinarie e a loro modo banali: una fotografia, l'acquisto delle cartoline, qualche battuta sopra le righe con i compagni. E' come se tornassimo a toccarci per ritrovarci tutti interi, trovandone conferma nella ripetizione dei gesti più usuali piuttosto che in altro. i sarà tempo per assimilare quanto questi attimi hanno fatto balenare alla coscienza e solo il silenzio si assumerà l'onere del commento. Sono circa dodici ore che pedalo, è tardi per raggiungere Briançon e non avrebbe d'altra parte nemmeno molto senso; mi sento ormai appagato. 'ultimo tratto di strada che l'indomani potrei percorrere fino a Pinerolo non aggiungerebbe più nulla a quello che oggi ho raccolto. Per la cronaca registro comunque di aver percorso 162 chilometri con 3600 metri di dislivello, il massimo da me mai coperto in un giorno. Pernottiamo in un rifugio a meno di un chilometro dal passo in un ampio semicerchio di montagne. Domani ripartiremo in macchina alla volta dell'Italia.