Questo sito usa cookie di analytics per raccogliere dati in forma aggregata e cookie di terze parti per migliorare l'esperienza utente.
Leggi l'Informativa Privacy completa.

Logo Fondazione Archivio Diaristico Nazionale

Autore

Claudio Cimarosti

Anno

2001 -2006

Luogo

Milano

Tempo di lettura

6 minuti

Quello che desidero da Claudio...

Anche i vetri della finestra dove c'era la torta si erano rotti e le schegge cadendo vi si erano conficcate, creando una surreale ed insolita decorazione.

Prima della Liberazione c'erano stati gli anni di guerra e per noi la guerra era significata soprattutto i bombardamenti. 
Non ricordo esattamente la data del primo bombardamento su Milano, ma ricordo che era un giorno di festa della nostra famiglia ed, infatti, c'era una bella torta preparata dalla mia mamma appoggiata sul davanzale della finestra del locale portineria in viale Coni Zugna e pronta per essere mangiata di lì a poco. 
Improvvisamente suonò la sirena dell'allarme aereo e, com'era obbligatorio fare, si corse tutti in cantina, nel rifugio antiaereo. A quei tempi si correva in cantina soprattutto perché era un obbligo farlo (se non lo si fosse fatto qualcuno ti poteva denunciare alle autorità fasciste). Ma lo si faceva con scarsa convinzione, perché, fino ad allora, agli allarmi non seguivano dei bombardamenti veramente disastrosi. Quella volta invece, mentre eravamo in cantina, sentimmo passare molti aerei a bassa quota ed udimmo il forte boato di una bomba che doveva essere scoppiata a poca distanza. 
Da una ricerca che ho fatto su Internet, ho scoperto che il bombardamento di cui io ho questo ricordo deve probabilmente essere quello del tardo pomeriggio del 24 Ottobre 1942 (il 24 Ottobre è il compleanno di mia mamma: ecco la ragione della torta). Quando suonò il cessato allarme, tornammo all'aperto e trovammo il cortile coperto dalle schegge dei vetri delle finestre, che lo spostamento d'aria dello scoppio aveva mandati tutti in frantumi. Anche i vetri della finestra dove c'era la torta si erano rotti e le schegge cadendo vi si erano conficcate, creando una surreale ed insolita decorazione. La torta dovette essere buttata e non potemmo festeggiare quella ricorrenza: questa è la parte drammatica del mio ricordo, questa è la ragione che mi fa ricordare così bene tutto l'episodio. 

Diventò per noi bambini il primo dei "parchi giochi di guerra" che i bombardamenti ci regalarono: noi potevamo andare a giocare in quelle che erano state la platea, il palco con la buca del suggeritore, le cantine, le sale riunioni.

Da quanto leggo su Internet, probabilmente la bomba che noi avevamo sentito così vicina fu quella sul carcere di San Vittore. Ma, a quei tempi, a me sembra di ricordare che si parlasse di una bomba che era caduta sulla sede della G.I.L. (la Gioventù Italiana del Littorio), una bella costruzione che faceva da teatro e centro convegni e che sorgeva in mezzo al Parco Solari a poche centinaia di metri da casa mia. Sicuramente la G.I.L, e questo lo ricordo bene, era stata sventrata, ma non sono sicuro che questo sia avvenuto in quell'occasione. Diventò per noi bambini il primo dei "parchi giochi di guerra" che i bombardamenti ci regalarono: noi potevamo andare a giocare in quelle che erano state la platea, il palco con la buca del suggeritore, le cantine, le sale riunioni. 
Ma più spesso i bombardamenti avvenivano di notte. Si andava sempre a dormire con il terrore di essere svegliati e di dover correre nelle fredde cantine con qualche coperta addosso. 
Una notte, mi ricordo, suonò l'allarme e come al solito tutti gli inquilini si accodarono nelle scale che scendevano nel rifugio antiaereo. Il nostro rifugio, come la stragrande maggioranza dei rifugi di Milano, non era certo un rifugio efficiente e sofisticato come quello delle Case Fachini, di cui parlerò più avanti, ma nient'altro che la vecchia cantina, il cui soffitto era stato rinforzato con delle travi di legno e i cui finestrini erano stati protetti con sacchetti di sabbia. La nostra cantina-rifugio era particolarmente fredda, umida e male illuminata, ma quella notte non si accendeva neppure la luce e la gente si accalcava lungo la scala senza decidersi a scendere. Finalmente qualcuno si decise ed allora dal fondo della scala arrivò uno "splasch" ed una serie di imprecazioni. Era successo che si era rotto un tubo della fogna, la cantina si era allagata fino all'altezza di circa mezzo metro di liquami e di.... tutto quello che c'è nelle fogne e c'era stato un corto circuito che aveva fatto saltare la luce. 

Quella volta mio padre decise che non sarebbe più andato in rifugio. “Tanto -disse, ed aveva ragione- tanto nel rifugio in cantina si va solo a fare la fine del topo".

Il rifugio risultava assolutamente impraticabile ed uscimmo tutti in gruppo fuori in strada per cercare ospitalità nel rifugio di qualche casa vicina. Nel frattempo l'attacco aereo era iniziato, si cominciavano a sentire il rombo degli aerei, gli scoppi delle bombe, il crepitio della contraerea. Si vedevano le strisce luminose dei proiettili traccianti, ma quello che soprattutto mi impressionò e che ancora adesso mi rimane fissato nella mente, furono i bengala che scendevano lentamente dal cielo, appesi a piccoli paracadute, rompendo le tenebre della notte ed illuminando ogni cosa come fosse giorno. 
Ovviamente, tutti gli abitanti delle case vicine erano chiusi nei rispettivi rifugi, i portoni d'ingresso erano sprangati e, nonostante le nostre grida nessuno ci sentiva, isolati com'erano dai sacchi di sabbia che coprivano le bocche di lupo delle cantine. Dopo molto urlare e dare forti colpi sui portoni, qualcuno ci sentì e ci aprirono. Ma nel frattempo l'attacco aereo era pressoché terminato e dopo poco suonò il cessato allarme e potemmo finalmente andarcene a letto. 
Quella volta mio padre decise che non sarebbe più andato in rifugio. “Tanto -disse, ed aveva ragione- tanto nel rifugio in cantina si va solo a fare la fine del topo. Si ha più possibilità di salvarsi standosene nel nostro letto, al caldo”. Ed effettivamente da allora in cantina non ci andammo più.