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Autore

Mario Tagliacozzo

Anno

1943 -1944

Luogo

Roma

Tempo di lettura

10 minuti

Ricordi della campagna razziale (1938-1944)

In quello stesso periodo fu pubblicato il primo numero di una rivista che affrontò il problema razziale, mentre Interlandi sul "Tevere" cominciava più violenta la sua campagna contro gli ebrei.

In maggio poi tutta Roma era festante per il prossimo arrivo di Hitler; si ripuliva e si abbelliva, mentre le strade si arricchivano di festoni, di bandiere, di luminarie, di fontane luminose, si montavano impalcature, si imbiancavano facciate. Tutta la città era in festa e si preparava al grande avvenimento. Furono giornate di confusione, di riviste, di spettacoli all'aperto e di movimento continuo, mentre il lavoro si arrestava. L'amicizia tra Italia e Germania si cementava sempre più e noi non potevamo gioirne, perché prevedevamo che da questa situazione a noi non poteva venire del bene. In luglio una prima pubblica manifestazione apparve sui giornali ad opera di un gruppo di professori universitari e di intellettuali e fu poi ricordato come "il manifesto della razza". Era un primo segno dei tempi e ne restammo sbalorditi. In quello stesso periodo fu pubblicato il primo numero di una rivista che affrontò il problema razziale, mentre Interlandi sul "Tevere" cominciava più violenta la sua campagna contro gli ebrei.  A mezzogiorno il marciapiedi davanti al caffè Aragno e la Piazza San Silvestro erano invase da strilloni che offrivano il giornale con il velenoso articolo della giornata. Ricordo benissimo quel mese di luglio 1938: i miei erano in campagna in Ancona e così pure era fuori la famiglia Massarani.  Ci incontrammo con Renzo ogni giorno per far colazione insieme alla Campana od alla Barchetta e spesso finivamo per mandar giù dei bocconi assai amari, quando, mentre ci sedevamo a tavola, ci venivano a porre sotto il naso l'articolo di Telesio Interlandi.

[...]Verso il 20 di agosto un fatto nuovo: il censimento. Le schede c1 raggiunsero anche nei piccoli centri e su su sino ai comuni dell'Alto Adige e del Trentino, dove molti ebrei erano in villeggiatura. Lasciammo Moena alla fine. di agosto, ci separammo da Olga a Bologna e raggiungemmo Ancona, dove io mi fermai un paio di giorni per la solita visita. Ai primi di settembre ero a Roma e qui, lontano dai miei, appena tornato al mio lavoro, mi colpi come un fulmine la notizia, appresa dai giornali della sera, dei primi provvedimenti contro gli ebrei che colpivano con la perdita della cittadinanza gli stranieri che l'avevano acquistata e che vietavano agli Italiani gli studi e l'esercizio dell'insegnamento. Lontano dai miei, sentii anche più duramente la gravità del momento e le lettere di Virgola e mie, pur attraverso un velo di serenità, fecero chiaramente trapelare tutte le nostre preoccupazioni ed il pensiero costante per i figli nostri...  Immaginavamo che i provvedimenti non si sarebbero arrestati a quei segni premonitori e temevamo il peggio, avendo davanti agli occhi la tremenda visione di quanto era avvenuto in Germania. Desiderai più sollecito il ritorno dei miei a Roma, per trovarci tutti riuniti nel caso di qualunque eventualità; non sapendo dove ci saremmo potuti arrestare. Intanto i giornali cominciarono sempre più a parlare di ebrei ed a poco a poco la denominazione ebrei si trasformò in quella di giudei.  Se questa denominazione trae la sua origine etimologica dallo storico regno di Giuda, è in effetti un popolare dispregiativo dedotto dal nome di Giuda Iscariota, e come un dispregiativo fu poi sempre ritenuto durante tutto il periodo della campagna razziale. Di giorno in giorno i quotidiani misero sempre più in cattiva luce gli ebrei, quasi che da un momento all'altro essi si fossero macchiati di tutti i delitti possibili ed immaginabili. Questa parte del popolo italiano, che tanto poco aveva sempre dato da fare alla giustizia, sembrava quasi che da un'ora all'altra avesse accentrato in sé ogni delitto. Lasciamo stare la storiella del prefetto meridionale che chiede l'invio di ebrei nella sua provincia per poter incominciare la campagna razziale, ma è certo che dai prìmi dì settembre ì giornali di tutta la penisola ebbero un nuovo argomento da sfruttare e su di questo largamente si accanirono.

Infine, malgrado la distanza, finimmo per emancipare i piccoli, mandandoli a scuola da soli in un gruppetto, cosa che in tempi normali non avremmo certamente fatta.

Sorse intanto il difficile problema del parlare ai ragazzi, che sino ad allora erano stati da noi tenuti all'oscuro di quanto temevamo, poiché avevamo procurato nascondere loro la gravità del momento per tenerli il più a lungo possibile lontani da ogni preoccupazione.  Quando però, con i provvedimenti scolastici proprio i ragazzi vennero colpiti, non fu più possibile tacere e fu giocoforza parlare e spiegare. Toccammo allora con i figli argomenti storici e religiosi, cosa che non avevamo mai fatta in tanti anni, per essere sempre vissuti lontani sia dall'ambiente religioso sia da ogni cerimonia o festa della nostra comunità ...  A loro ignari completamente di queste tristi malvagità del mondo spiegammo quanto avveniva e quanto sarebbe potuto accadere, chiarendo le cose e nello stesso tempo procurando di non impressionarli e di non turbare i loro animi innocenti. Contemporaneamente, mentre già cominciavamo a pensare al da farsi in un più o meno lontano futuro, ci preparammo a studiare il problema scolastico, che era il primo che ci si presentava e che aveva per noi un duplice aspetto: Roberto aveva già frequentato l'anno precedente la prima ginnasiale al Mamiani, mentre Guido era stato promosso alla quarta elementare. Poiché intorno a noi da tutti veniva dibattuto lo stesso problema, cercammo di mantenerci in contatto con altri, per procurare di organizzare qualcosa insieme. Ricordo ancora qualche riunione in casa mia, ma subito apparve che non era possibile avere suggerimenti da altri, perché tutti erano quanto mai disorientati ed incerti. Sin dai primi giorni vedemmo qualcuno partire, altri ricorrere al battesimo per poter far frequentare ai figli le scuole religiose, ma di questo argomento parlerò in seguito. Facemmo prendere intanto qualche lezione privata a Guido insieme con Laura ed Andrea Massarani, ma il problema di Guido fu assai presto risolto completamente, perché furono istituite sezioni speciali di scuola elementare, separate dai corsi regolari e cominciarono a funzionare di li a poco. Erano limitate a poche scuole della città, perché, essendo l’insegnamento elementare obbligatorio per tutti i cittadini, il governo non poteva sottrarvisi.  La scuola di Guido era in Via Boezio, abbastanza lontana dalla nostra casa e funzionava, come le altre sezioni ebraiche, durante il pomeriggio. Fummo costretti a modificare le abitudini del bambino, a farlo mangiare prima da solo e ad accompagnarlo alla scuola. In un secondo tempo riunimmo un gruppetto di bambini, che furono accompagnati a turno da una delle mamme. Infine, malgrado la distanza, finimmo per emancipare i piccoli, mandandoli a scuola da soli in un gruppetto, cosa che in tempi normali non avremmo certamente fatta. Quando qualche volta Guido andò anche da solo, ci accorgemmo che il piccolo non faceva  la strada  più  breve e tranquilla che gli avevamo  indicata, ma la cambiava per passare lontano dalla sua vecchia scuola di Via Monte Zebio: la sua sensibilità non gli permetteva di incontrarsi con i vecchi compagni e con la sua maestra ...Guido, per  il  momento,  era  cosi  sistemato,  mentre  più  grave  si presentava il problema di Roberto di soluzione assai più difficile, perché era stato dichiarato che scuole medie e superiori non sarebbero state concesse. Ma qui assai rapidamente sopperì la capacità organizzativa ebraica e le scuole medie poterono funzionare già nel corso del mese di dicembre in ampi locali al Celio, assai rapidamente sistemati ed adattati alla bisogna.

[...]

I primi provvedimenti che vennero emanati nel settembre toccarono il campo della scuola e quello della cittadinanza che, concessa agli stranieri ebrei, veniva revocata con le nuove disposizioni. Sandro fu colpito dal provvedimento della cittadinanza e decise conseguentemente di partire con tutta la famiglia prima che maggiori complicazioni relative ai passaporti potessero ostacolare la sua partenza, giacché si temeva che la perdita della cittadinanza portasse il conseguente ritiro del passaporto italiano. Da apolidi sarebbe stata assai più difficile l'emigrazione. Zia Ada era ad Ancona e corse a Firenze per salutare i partenti. Andarono tutti a Parigi, dove in breve Sandro seppe organizzare il suo lavoro. Questa partenza ci fece molto effetto, ma non restò isolata nella nostra cerchia, perché in breve vedemmo partire molte altre famiglie e tra queste già in novembre la famiglia della nostra amica Bianca Ottolenghi, che si imbarcò per l'Argentina. Questa partenza fu molto dolorosa per noi (e per Roberto e Guido che erano molto amici di Giuliano e Nicoletta), ma più ci fece effetto il loro battesimo, che fu il primo intorno a noi.  Molti altri ne seguirono successivamente, anche tra gente che ci accostava, specie nell'ambiente intellettuale e più elevato, mentre il ceto più basso si mantenne maggiormente attaccato alla religione.  Molti si battezzarono e partirono, altri si battezzarono e restarono, credendo di aver così salvata la situazione. Nel primo caso fecero il loro danno, togliendosi cosi la possibilità di essere aiutati all'estero, per quella causa stessa che aveva motivata la loro partenza e l'abbandono del suolo natio. Nel secondo furono colpiti egualmente dai provvedimenti successivi, poiché noi si erano resi conto che la campagna era razziale e non religiosa. Nella stessa condizione di Sandro si trovarono anche molti altri stranieri, che avevano acquistata da anni la cittadinanza italiana e che partirono in breve tempo insieme con molti italiani già nel corso del l 938, mentre moltissimi altri si affrettarono a chiedere i passaporti. Nel corso del mese di ottobre vi fu l'obbligatoria dichiarazione di razza, che fece seguito al censimento dell’agosto, cosi in lunghe file ci ritrovammo all'anagrafe per le necessarie pratiche.