Questo sito usa cookie di analytics per raccogliere dati in forma aggregata e cookie di terze parti per migliorare l'esperienza utente.
Leggi l'Informativa Privacy completa.

Logo Fondazione Archivio Diaristico Nazionale

Autore

Giulia Fabbri

Anno

1987

Luogo

Arezzo/provincia

Tempo di lettura

5 minuti

Ricordi di una fanciullezza

C'erano tante donne in quella parte di Paese, tutte vestite nella stessa maniera, abiti incolore semi-lunghi e fazzoletto in testa senza garbo. Ne uscivano ciocche di capelli spettinati, tanto il fazzoletto li copriva e poi doveva servire per il vento ed il sole.

Il corso a nord del Paese era la parte laboriosa, commerciale. C'era il Caffè subito dopo l'arco, sempre pieno di fumo e di uomini che giocavano a biliardo. Il negozio di alimentari dei Cascianini, dove Attilio faceva le Gazzose in certe bottigliette con la pallina, che spinta verso l ' interno faceva uscire l'acqua gassata. Il negozio del Pulci con i vecchi scaffali pieni di pezze di cambrì, etamina, canapa, pelle d'uovo e seta. La Salumeria del Simiti con la Giulia grassa grassa. Il Bongi nel negozio di mobili che venivano da Anghiari e che era stato un tempo di mio padre. Poi c'era il piccolo Ufficio del Dazio dove lavorava il babbo, prima di trasferirsi in una piccola stanza al piano terra della nostra casa. In cima al Paese, dopo l'asilo d'infanzia c'era la Scuola elementare, dove la signora Giulietta Olivoni insegnante, portava anche la sua figlioletta Adele (si faceva un pò tutto in famiglia allora). Infine, il giardinetto comunale con le siepi di bosso, dalle quali si prendevano i rametti per giocare a "Fuori Verde ". C'erano tante donne in quella parte di Paese, tutte vestite nella stessa maniera, abiti incolore semi-lunghi e fazzoletto in testa senza garbo. Ne uscivano ciocche di capelli spettinati, tanto il fazzoletto li copriva e poi doveva servire per il vento ed il sole. Avevano attaccati alle loro sottane bambini mocciosi e piagnucolosi ed uno in braccio. Nel pomeriggio si sedevano davanti alle porte di casa e lavoravano a tombolo. Mi piaceva guardarle intrecciare il filo attorno agli spilli con la capocchia, che avevano disposto in un certo ordine sul tombolo. Questo, era un grosso cuscino fatto ad ombrello aperto, sul quale scorreva veloce l'intreccio del filo, che manovrato dalle loro abili mani diventava trina. Qualche volta ricordo di averci armeggiato con le mie piccole mani inesperte ma non ricordo il risultato. Il tombolo, con i suoi piccoli pezzetti di legno al quale era legato il filo per tenerlo teso alla sua estremità inferiore e poterlo manovrare che noi bambini chiamavamo tombini, mi porta a pensare ... la nostra terminologia non sempre ortodossa ed i nostri giochi ci separavano dal mondo dei "grandi". Nel mondo dei "grandi” (adulti) che usano lo stesso linguaggio, quante volte il significato della stessa parola, viene interpetrato in maniera diversa e li separa?

Nella chiesa c'è un Cristo di legno nero a cui cresce la barba sul mento. Questo Cristo, si diceva, era stato trovato al posto di un vecchietto che non aveva voluto abbandonare il paese, quando questo era stato sommerso da una grande alluvione.

Ritorno in Piazza e sul sagrato della Chiesa, dove sto giocando a "nascondino” sento la carezza sui capelli di Don Bastonero l'arciprete che rientra svolazzando nella sua tonaca nera, nella Collegiata. Nella chiesa c'è un Cristo di legno nero a cui cresce la barba sul mento. Questo Cristo, si diceva, era stato trovato al posto di un vecchietto che non aveva voluto abbandonare il paese, quando questo era stato sommerso da una grande alluvione. Si pensava ad un fatto miracoloso. La chiesa....la messa di Natale a mezzanotte, il teporino caldo che veniva dai tanti ceri accesi e da tanta gente e fuori, la neve alta e candida con le sole orme di piccioni .... e lo strano rumore che facevano gli scarponcelli di vacchetta, fatti in casa da un calzolaio che rimaneva con noi tanti giorni, quanti erano i piedi da calzare. La Collegiata...tanti Rosari bisbigliati da donne senza età e senza civetterie, perchè la bellezza e la femminilità erano cose da nascondere, e tante preghierine particolari che la zia Sofia ci bisbigliava nelle orecchie perchè noi bambine le ripetessimo con le mani giunte, senza dimenticare nessun parente. Si diceva il nome di ciascuno e manca poco anche il cognome, perchè il buon Dio non si sbagliasse. Le feste, quelle con la lettera maiuscola ! A Natale la preparazione del Presepio in soffitta. Il cielo di carta velina azzurra con le stelline ritagliate dalla carta stagnola. Il castello disegnato su di un pezzo di cartone e poi ritagliato. I laghetti fatti con frammenti di specchi. La grotta di cartapesta dipinta con gli acquerelli in verde e marrone. Il muschio, gli alberelli ed i sassolini bianchi li avevamo raccolti noi da un altro Presepio, quello vero dove io vivevo, perchè Pieve così come è disposta lo è davvero. Quanta fatica per raccogliere quelle piccole cose e quanto freddo! Era sui quei greti scivolosi di neve che cominciavano a fiorire i geloni nelle mani e nei piedi e il cui prurito ci avrebbe tormentato fino alla primavera. Il Natale in Chiesa culminava al momento dell'Elevazione, quando il Bambino appariva sull'altare per venire poi deposto nella mangiatoia del Presepe. A casa ci aspettava il Ceppo e poi.. veniva la Befana. Le calze lunghe di lana appese al camino, piene di tesori: arance e mandarini, fichi secchi, caramelle e gianduiotti e torroncini e, se eravamo stati buoni, poco carbone. Qualche bambolina di pezza con i trucioli dentro, sarebbe arrivata con lo zio prete che veniva da Sansepolcro.