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Autore

Giulia Fabbri

Anno

1987

Luogo

Arezzo/provincia

Tempo di lettura

4 minuti

Ricordi di una fanciullezza

Il mio piccolo paese é quello della mia memoria e per niente al mondo accetterei di vederlo cambiato in qualche cosa di diverso, di più efficiente e moderno.

"Mamma stai su, non ancora .... dobbiamo parlare, devo conoscerti....” Cominciò così, da un muto monologo con mia madre che in un letto di ospedale si lasciava morire, il mio ritorno a quel piccolo fazzoletto di terra dove lei mi aveva partorito. Un desiderio struggente di tenerezza, di ricordi della mia fanciullezza che non mi ha più abbandonato. Per conoscere l'identità di mia madre mai svelata, la mia identità. Mi sono chiesta e mi chiedo tuttora quanto possa influenzare sulla vita di una persona il luogo dove nasce. Io sono stata sradicata dal mio paese quando avevo 6 anni e le piccole povere cose di quel tempo, mi hanno accompagnato sempre. Il mio piccolo paese é quello della mia memoria e per niente al mondo accetterei di vederlo cambiato in qualche cosa di diverso, di più efficiente e moderno. La polvere, lo smog, il cemento sono di un 'altra terra, di un pianeta dove io mi sento confusa e soltanto nel mio piccolo paese, così come l'ho lasciato, io posso ritrovarmi. I miei ricordi nascono dalla Piazza della Collegiata, piccolo palcoscenico creato dalla mano gigante di uno scenografo che ha allineato le piccole case, incastrandole fra loro per fare corona attorno alla Chiesa e al suo piccolo campanile. Di notte, vi ha aggiunto una piccola falce di luna dietro il campanile perché il cielo azzurro cobalto era poco illuminato dalle piccole stelline lucenti ...Da qui nascono e cominciano ad animarsi i suoi personaggi e io, bambina, comincio a guardar, a pensare, a conoscere. Le case erano piccole, povere, ma per dare loro una certa civetteria c'erano tendine bianche alle finestre e qualche vaso di geranio e poi, bastava il piccolo porticato degli Olivoni a dare un certo tono alla Piazza. Io sono nata in una di quelle piccole case. Ma solo oggi io dico che era piccola, allora era per me tanto grande! e come non poteva esserlo, se vi nascevano tanti bambini, se c'era un focolare tanto grande da contenere il grosso ceppo di Natale dal quale uscivano i cartocci pieni di dolci ai colpi dati dal babbo con l'attizzatoio? Se c'era un albero di ciliegio cresciuto fra le pietre della terrazza che dava sul Tevere, nato, si diceva, dal nocciolo di una ciliegia gettato dallo zio prete che come mio padre era nato e cresciuto in quella casa? (fra le vecchie cartoline del paese che ne illustravano il panorama c'era la mia terrazza con il ciliegio, lo ricordo bene). Quanta tenerezza nel ricordarlo...Nella Piazza della Collegiata c’era tutto: La farmacia con il signor Eugenio, il barbiere, la merceria con l'Andreina, il Caffè con l'Ines, la macelleria con la piccola Irene mia compagna d'asilo, il negozio di stoffe dove c'era la Bibi, il Ristorante dove c'era la Edilia dai capelli rossi, il "circolo" dove si riunivano gli uomini a giocare, il dottor De Luca un magro e distinto signore con baffi e capelli bianchi, il negozio di scarpe della zia Sofia che aspettava il giorno di mercato per vendere qualche scarpencello ai contadini che scendevano a Pieve per vendere o comprare le loro bestie. Come era bello per me! Seduta su un piccolo sgabello, assistevo con apprensione le mosse della zia che apriva le scatole bianche e solo quando qualcuna di queste era passata nelle mani rozze del contadino che usciva dalla porta, mi mettevo tranquilla. Povera zia, io sapevo che ce la metteva tutta per convincere il brav'uomo all'acquisto. Si ergeva dalle sue gramaglie di vedova ed anche il "Voi" che usava nel contrattare la sua merce, non sminuiva il suo garbo nel convincimento: la qualità ed il prezzo erano ottimi....Io intanto, ingannavo il tempo fissando con attenzione un manifesto con uno strano scarpone giallo che era appeso al muro.