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Logo Fondazione Archivio Diaristico Nazionale

Autore

Cino Ghigi

Anno

1972 -1973

Luogo

Forlì Cesena/provincia

Tempo di lettura

6 minuti

Un anno in Estremo Oriente - dal jet alla bicicletta

Questi sacri edifici che esprimono un credo di tipo induistico-buddistasi assomigliano come gocce d’acqua, chiusi in gruppo da muri perimetrali entro cui si innalsano a forma di tabernacolo, ricoperti di foglie secche scurite dalla pioggia.

"SU E GIU' PER BALI I N BICICLETTA. (3/7 luglio).-  Mi son messo in testa di compiere il giro dell'isola col mio modesto mezzo, mentre quasi tutti lo fanno a bordo di confortevoli pullman; le distanze non sono enormi e i punti maggiormente significativi si trovano abbastanza vicini l'uno dall'altro. La visita sistematica richiederà una quindicina di giorni; il tempo non mi manca. Ho incominciato subito percorrendo 41 chilometri giusti giusti fino al villaggio di Bahgli verso la montagna; gli ultimi sei in continua salita, si sono snodati attraverso magnifiche risaie che danno il pane dei poveri e dei ricchi , e vari paesetti quali Batubalan, Tjeluk, Blahbatuch, dal nome ostico che si pronuncia com’é scritto; essi sono notevoli per i loro templi di pietra grigia e di mattoni rossi, finemente scolpiti. Questi sacri edifici che esprimono un credo di tipo induistico-buddistasi assomigliano come gocce d’acqua, chiusi in gruppo da muri perimetrali entro cui si innalsano a forma di tabernacolo, ricoperti di foglie secche scurite dalla pioggia. Ne avrei potuti contare centinaia lungo il tragitto se ne avessi avuto voglia. Per la verità in tanta dovizia e disposti in tal modo non ne avevo mai incontrati sul mio cammino. Il concetto dell'aggruppamento é mantenuto anche per le abitazioni, nascoste da alti recinti di terra seccata al sole, ognuno col proprio tettino di foglie affinché la pioggia non lo sgretoli. Uno ne può contenere perfino dieci, provvedendo a dare all'insieme un carattere di invidiabile comunanza e socialità. Bali é nota per un'organizzazione del genere. Dopo un caustico pasto nell'unica trattoria di Gianjar che ha provveduto a fornirmi per minestra più grani di pepe che chicchi di riso, passo la notte a Bangli (3/7). Qui credo di avere toccato il minimo assoluto nel presente viaggio con 450 rupie, appena un dollaro, per soddisfare appetito e sonno tutti in una volta, cioè metà nella cena e metà in una camera anche se dava sulla strada alla mercè dei curiosi che bussavano insistentemente alla finestra.

In Bali vive gente piuttosto povera non c’è che dire, ma ricca di spiritualità.

Bangli ha il proprio tempio chiamato Pura Kehen, ordinato su tre piani sovrapposti che lo distingue dagli altri; lo adornano portali di pietra i cui spaventevoli draghi e diavoli che vi sono scolpiti, hanno il compito di spaventare più gli spiriti maligni che il forestiero. Sarebbe degno di una città invece d’appartenere ad un misero paese. In Bali vive gente piuttosto povera non c’è che dire, ma ricca di spiritualità. Mi domando quanti sacrifici le sarà, costato edificare tanti luoghi di culto; sicuramente a detrimento del corpo. Proseguo la via verso il Nord dove c'é molto da vedere e pedalo accanitamente lungo le salite che non cessano. Mi par d’essere ritornato al mio individuale giro d’Italia di tanti anni fa in cui arrancai fin che v’era l’acciottolato davanti a me per le pendici dell’Etna. Stavolta affronto un altro vulcano; la strada arriva ben più su e ne costeggia il cratere, quello del Betur sul fondo del quale sta il lago omonimo: dall’altro appaiono in tutta la loro grandiosità sia l’uno che l’altro. Hanno ragione i balinesi a popolare di leggende e di fantasie un posto come questo. Dall’orlo si scende alla riva giù per una carrareccia ripida e polverosa, tanto che i freni non reggono. Debbo arrestarmi al villaggio di Buakan col suo bravo tempio a pinnacoli neri anche lui; più avanti sulla sabbia non si va. L’altro più importante di Ternjan potrei raggiungerlo in motobarca, però me lo impediscono e mi consigliano do tornare indietro certi dolori provocati dalla ragade (gli inglesi la chiamano con la proprietà della loro lingua, “fissure”) riaffiorata poco tempo fa, che speravo non dovesse progredire. Ne hanno indubbiamente accellerato il processo infiammatorio l’andare di continuo in sella ed i cibi piccanti che non ho potuto evitare.  Se le trafitture fossero arrivate prima non mi sarei calato nella voragine, per poi fare una estenuante camminata in su. Nondimeno mi ha servito a dare un’occhiata all’immane imbuto che mi circondava, d’epoca remota, dominato dalla mole vulcanica propriamente detta del Batur sui 1.700 metri d’altezza formatasi in periodi più recenti.  Lo riempie fin quanto basta l’innalzarsi di verdi pendii, uno specchio lacustre cangiante secondo l’ora, lo stato del cielo e l’infiltrazione dei riflessi.

Sarebbe la perfezione e l’ideale raggiunti in natura se qui si accompagnasse un clima adeguato. Invece vi fa un caldo cane, avviluppati come siamo da una calma atmosfera ardente ed in più da un certo odore di zolfo, possibile preludio ad essere scaraventati coi lapilli ad altezze vertiginose.

Insomma è questo uno splendido bacino craterico, quasi idilliaco, assai diverso dal suo pari giapponese del Fusiama che, subdolo, scompare a picco nelle viscere della terra, e dall’altro arcigno in Costarica chiamato Irazù che quando i soffocanti vapori ce lo consentono, si mostra in aridi dirupi di morte attorno ad un torbido limo giallo per lo zolfo. Nel breve piano che declina dolcemente verso il lago e che presta un po’ di spazio al villaggio, si coltiva con profitto sta un po’ di spazio al villaggio, si coltiva con profitto il suolo di lava ridotto a terriccio, fino al leggero rifluire delle onde. È un’accortezza che permette d’annaffiarlo affondando semplicemente i secchi nell’acqua. L’insolita zona largisce cavoli e pesci in abbondanza, per cui abbina l’utile al bello. Sarebbe la perfezione e l’ideale raggiunti in natura se qui si accompagnasse un clima adeguato. Invece vi fa un caldo cane, avviluppati come siamo da una calma atmosfera ardente ed in più da un certo odore di zolfo, possibile preludio ad essere scaraventati coi lapilli ad altezze vertiginose. Pelekan è il paesetto da cui la ricordata carrareccia si immette dentro la spenta cavità del Batur ed il punto di passaggio della rotabile diretta alla città di Singaradjia sulla costa settentrionale che intendevo raggiungere. Lì ho deciso ad accorciare il “tour” con un dietro front a causa del forte bruciore che mi tormentava, e pur restando nell’area dei vulcani, di pervenire almeno non lontano da quello dell’Agung, dove sorge il tempio di Basakih, ambedue a loro modo, i principali dell’isola. Trenta chilometri di scesa, un poco di pianura, altri 22 di salita fatta quasi tutta a piedi, poi il villaggio omonimo. Se da Pelekan fosse stata rimessa in uso la carrozzabile che vi andava direttamente distrutta da colate laviche del colosso, non c’era bisogno di ridiscendere a rotta di collo fino al mare per guadagnare di nuovo la montagna come un’espiazione.