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Autore

Liliia Samara

Anno

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Luogo

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Tempo di lettura

4 minuti

Una vita al massimo

Mia sorella mi ha detto una volta “chi vola alto cade basso” proprio cosi successo a me. Volevo tanto, ma tanto tanto avere un figlio, ma non riuscivo a rimanere incita...

Nel 2009 diventai Vice direttore generale, mi piaceva molto il mio lavoro, come capo ero severa, ma non cattiva direi giusta. La mia squadra di lavoro era diventata la mia seconda famiglia e io mi prendevo cura di loro, come mi aveva insegnato mia mamma, cercavo di aiutarli sempre nelle loro difficolta e proteggerli dai possibili errori e danni. Quell’anno mi sentivo come se fosse uno scalatore in cima della montagna, o un atleta che ha vinto una medaglia d’oro al Olimpiadi, ero felice e molto orgogliosa di me. Per completare il quadro il 12 febbraio 2010 mi sono sposata con un bravo ragazzo, almeno cosi pensavo. Ma la mia gioia non è durata per molto. Mia sorella mi ha detto una volta “chi vola alto cade basso” proprio cosi successo a me. Volevo tanto, ma tanto tanto avere un figlio, ma non riuscivo a rimanere incita, era un incubo continuo tra medici e analisi, medicine e cure ormonali, ma non funzionava niente. Credo che in quel periodo della mia vita più di me soffriva mia mamma, non sopportava il mio dolore e le lacrime, mi sosteneva e incoraggiava, mi stringeva forte e con delicatezza spiegava, che la vita è dura e non sempre va come vogliamo noi, non sempre posiamo cambiare o accelerare le cose, certe volte tutto ciò che si può fare è pregare e sperare, e niente di più. Ero arrabbiata anche con Dio perché non mi dava il figlio che desideravo cosi tanto, mi accontentava sempre, ogni mia preghiera era stata ascoltata, avevo tutto, volevo solo un figlio. Quando sentivo che qualcuno abortiva o abbandonava i figli non capivo, perché il mondo fosse così ingiusto, uno ha ma non vuole, e altro vuole ma non può avere. Mi sentivo incapace, impotente per me erano i sentimenti nuovi mai provati prima. La mia battaglia con l’infertilità era interrotta a novembre 2010, mori mio padre, cinque giorni dopo aver avuto ictus, ero con lui in ospedale quando ha fatto il suo ultimo respiro. È stata una esperienza surreale, vedere come cambia il colore della pelle, la sofferenza spari dal suo viso e volto cambiò, diventò pacifico perfino mi sembrava sorridente. Ha sofferto tanto, perché i suoi organi digestivi erano rimasti paralizzati, non riusciva più neanche deglutire il cibo, non camminava e riusciva muovere appena una mano. Tremavo a vederlo in quello stato e mi si spezzava il cuore non avevo pace, cercavo le medicine che potessero aiutarlo, ma certe volte non ce niente da fare e le cose vanno come devono andare.

Dopo il suo funerale sono tornata in ufficio, lavoravo come un robot, non ero più me stessa, mi vestivo di nero e non parlavo, se non era proprio necessario. Mi ero chiusa nel mio dolore e preferivo soffrire e piangere in silenzio. Dopo sei messi mi sono ripresa un po’ della perdita, ma si ammalò mia mamma, soffriva di ipertensione ero spaventata a morte di poter perdere anche lei, per fortuna dopo qualche settimana è stata dimessa dall’ospedale e tornò a casa. Vivevo un periodo difficile ogni cosa che accadeva era peggio del precedente, lo stress, la paura, il dolore e la sofferenza mi hanno resa molto vulnerabile. Avevo trascurato in quel periodo tutto il resto della mia vita anche me stessa, sentivo solo bisogno di stare vicino a mia mamma, il solo pensiero di dover affrontare un giorno sua morte mi provocava malessere, mi mancava il respiro e non potevo trattenere le lacrime. Mia mamma per me era tutto, da quando se ne è andata ho dentro di me un vuoto, come se fossi un corpo senza anima.