Autore
Maria BrunettaAnno
1917Luogo
Pordnone/provinciaTempo di lettura
5 minutiVita vissuta
 4-II- I7
La stazione rigurgita di esuli e di soldati. Provo entrare nelle, sale d' aspetto. Un indecifrabile composto di odori eterogenei disgusta l’olfatto, mentre alla vista non s 'offrono spettacoli migliori. “Una madre, che ha perduto con il suo unico bambino la ragione, smania, urla, piange e ride. “Una malata, gli occhi dilatati le guance accese, si lamenta in un angolo” “Sette od otto bimbi sperduti, raccolti dai soldati, rosicchiano galletta ed ogni tanto chiedono della mamma” “una sgualdrina fa il chiasso con dei giovinastri” C’è chi piange, ch dorme, chi guarda instupidito, chi ha ancora negli occhi l’ossessione delle cose orribili vendute o provate. Ritorno fuori, vedo appoggiata ad una colonna la mia bicicletta e monto pazientemente la guardia vicino ad essa. Il nemico viene con i suoi velivoli ad incoraggiarmi. Il ballo delle bombe e della mitraglia è accompagnato dai fischi prolungati del treno in partenza per Milano, fermo al disco. Un silenzio cupo domina i viventi, che pregano. Nel pericolo tutti ricorrono a Dio, si battono il petto, supplicano la salvezza. E Dio concede la grazia poiché le bombe sbagliano il bersaglio ed una cade vicino alla locomotiva senza scoppiare. Alle nove giungo a Treviso. Corro da Vanzo dove trovo lo zio Giobbe e la zia Teresina e so che i fratellini sono partiti con Valentino alla volta di Bologna. Confortata, dimentica del sonno e della fame, fermo e prendo posto su un camion che si dirige velocemente verso Oderzo. Lungo la via riconosco gli impiegati municipali di Azzano e la famiglia del dr.Talotti sopra un autocarro mezzo rotto. A Oderzo inforco la bicicletta e via.......Dopo una decina di chilometri sono fermata da una colonna di grosso carreggio in fuga e nel tempo stesso avvertita che il nemico è vicino ed il ponte sul Piave sta per saltare. Un desiderio immenso di rimanere, di seguire la teoria fatalistica che informa la mia vita, un bisogno di vedere la casa natia, le cose care, i ricordi sacri, l’idea che rimanendo potrei salvare qualche cosa, la speranza di poter essere utile alla famiglia e alla patria, mi fanno proseguire ancora per qualche chilometro lungo la strada che si fa sempre più deserta.... ; poi il volo minaccioso dei corvi austriaci, il rombo di un ponte minato che salta, l’idea che potrei incontrare il nemico, che mi potrebbero uccidere per via, che la mamma a Ferrara vive trepidando, che papà m’aspetta a Padova, mi fa ritornare indietro. In fondo allo stradone diritto e bianco si snoda la colonna del grosso carreggio che procede lentissimamente. Pedalo per raggiungerla e a neanche un chilometro di distanza scoppia la gomma della ruota posteriore. Corro a piedi e dopo dieci o quindici minuti arrivo a prenderla. Un capitano m’accoglie nella carrozzella. I muli fanno tre minuti di cammino e due di fermata. Sono stanchissimi, vengono da Gorizia a marce forzate e digiunando. Il capitano dice che non arriveranno a passare il Piave a Fagaré e che prenderanno la via dei monti; forse saranno fatti prigionieri. Ad ogni modo mi assicura la sua protezione, la difesa mia anche a costo della vita. Bellissime parole che mi fanno venire la pelle d’oca. Un autocarro sarebbe la mia ancora di salvezza. Comincio il rosario.....sono all’ultima posta.....tef tef tef....eccolo.. arriva. Scendiamo tutti e due e ci mettiamo con le braccia tese in mezzo alla strada. È stracarico, ma ferma. Metto un piede sul predellino, il braccio attorno il collo dello “chaffeurs”. Pregato dal capitano un soldato sostiene la bicicletta..e via.. Alle tre sono di nuoco a Treviso. Alle nove parte un treno per Padova. Lo aspetto, è impossibile che possa proseguire in bicicletta. Treviso è irriconoscibile. Chiusi i negozi, chiuse le case. (Anche i Vanzo e gli zii sono partiti) Artiglierie e soldati per ogni dove. Esuli derelitti ammucchiati alla stazione. Non trovo da mangiare, poi non ho neanche coraggio di chiedere. Gironzolo in qua ed in là come un automa, stanca, istupidita per le tante emozioni provate. Infine non trovando nessun viso conosciuto, nessun negozio aperto, ritorno alla stazione e mi siedo là, sugli scalini polverosi, fra tanti disgraziati. E passano lente, monotone le ore, e sull’imbrunire, quando maggiormente si acutizzano i dolori, una pioggerella minuta che non bagna ma penetra fino alle ossa viene ad incorniciare degnamente la tristezza del quadro. Non alle nove ma alle una si mette in moto la lunga tradotta. Sono tutti vagoni bestiame mal puliti, adorni di poche rozze panche.
 
5-II-17
Sono arrivata a caricare la bicicletta fra le proteste generali, mi siedo lì fra i due ferri del telaio e guardo il groviglia delle membra umane avviticchiare nel sonno, nella stanchezza, illuminate da una moritura lucerna ad olio. Dormono quasi tutti. C’è chi russa, chi si dimena, chi ha un respiro che sembra un singhiozzo, chi sogna e chiama i cari lontani.