
Roma, 1943. Fedora vive nell’attesa. Suo marito, Ufficiale della Marina, è caduto prigioniero dei tedeschi a Venezia ed è stato deportato in un campo in Polonia. Per due anni, ogni giorno, Fedora affida a un diario le sue paure, le speranze, la fatica di sopravvivere in una Roma piegata dai bombardamenti, dal razionamento, dalla borsa nera e dalla costante angoscia per l’assenza di notizie. Ma anche dopo la Liberazione, la quiete tarda ad arrivare: l’epurazione degli ex fascisti, le tensioni sociali, le aggressioni e i furti fanno da sfondo a un dopoguerra tutt’altro che sereno. Solo grazie ai contatti con il Vaticano e la Croce Rossa, Fedora riesce a mantenere un filo di comunicazione con il marito. Nell’agosto del 1945, finalmente, può riabbracciarlo.

Ottobre 1943. Al settimo piano di un palazzo nei pressi della stazione Tuscolana, Corrado vive nascosto come un recluso. È tornato a Roma da Campobasso, dove ha lasciato moglie e figli presso alcuni parenti, nel tentativo di salvare il lavoro al Ministero delle Corporazioni e custodire la propria casa. È convinto che la guerra stia per finire, ma la linea del fronte a Cassino lo separa dalla famiglia, e di loro non ha notizie. Con l’orecchio sempre teso alla radio, Corrado inizia a scrivere un diario: un lungo racconto dei mesi dell’occupazione tedesca, che dedica all’amata consorte. Quando, il 4 giugno 1944, Roma viene finalmente liberata, interrompe la scrittura: è certo che presto potrà riabbracciare i suoi cari.
Da militare a partigiano, Orfeo rievoca, ormai pensionato, un momento cruciale della fine della guerra: l’arresto e la fucilazione di Roberto Farinacci, uno dei gerarchi più spietati del regime fascista. Catturato il 27 aprile 1945 mentre cercava di fuggire a bordo di un’auto Aprilia, Farinacci viene giustiziato il giorno seguente a Vimercate, dopo una sentenza emessa dal Tribunale del popolo. Nelle parole di Orfeo, la memoria di quei giorni torna viva: il fermento della Liberazione, il peso delle scelte, il senso di giustizia che si mescola alla tragedia. Un racconto che attraversa la storia.
Trentaquattro anni di vita (1906-1940) ricostruiti nel dettaglio, grazie a una predisposizione innata verso la scrittura di sé che lo aveva portato a disseminare agende di appunti e fatti, ancor prima di concepire sistematicamente la scrittura di un diario. Una pratica che Marcello avvia in un momento delicato della storia italiana, poco più di un mese dopo l’ingresso nella Seconda guerra mondiale. Da quel giorno e per i successivi 48 anni (1940-1988) non rinuncerà più a raccontare in prima persona la sua traiettoria personale e quella della sua famiglia, di antica nobiltà napoletana, legata in modo profondo alle vicende del Paese. Il padre Giulio, eminente figura di uomo politico, è tra i fondatori con Don Sturzo del Partito Popolare Italiano, Ministro durante i governi Nitti, Giolitti e Bonomi, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri dal dicembre 1944 al giugno 1945. Tra le molteplici pagine che raccontano le intersezioni tra la famiglia e la storia, spicca nelle memorie di Marcello il ricordo dell’incontro tra il padre e il Maresciallo Badoglio, un mese dopo l’insurrezione di Napoli. Di grande interesse anche la cronaca del giorno della Liberazione di Napoli dall’occupazione dei tedeschi, che Marcello racconta in presa diretta grazie alle informazioni che raccoglie e a quello che riesce a vedere con i propri occhi. Nel dopoguerra Marcello è destinato a ricoprire incarichi manageriali di primaria importanza. Già dalla metà degli anni ‘30, favorito da una doppia laura conseguita in ingegneria e in giurisprudenza, aveva mosso i primi passi nell’ attività lavorativa alla Società Meridionale di Elettricità, distinguendosi per capacità e rigore. È l’inizio di una carriera brillantissima che lo porterà nel 1956, e fino al 1964, a ricoprire l’incarico di Amministratore Delegato della Rai proprio negli anni della nascita, e della consacrazione, del mezzo televisivo. Dopo l’esperienza al vertice dell’emittente pubblica, sarà ancora alla guida di realtà di primo piano dell’industria pubblica e privata italiana e non solo: dall’Unione europea di radiodiffusione a Telespazio, fino all’Assonime.

Queste pagine portano la firma di un giovane partigiano milanese, Saverio Tutino, che diventerà il fondatore del nostro Archivio. Nel suo diario da partigiano annota le giornate di lotta contro il nazifascismo: il legame con i compagni, la tensione costante tra rastrellamenti, allarmi e combattimenti, e la speranza che culmina nella vittoria finale. Con la fine del conflitto, la sua scrittura si sposta sull'immediato dopoguerra, affrontando la necessità di ricostruire non solo il Paese, ma anche la vita civile. Le sue riflessioni sull'attualità, sul futuro e sull'importanza degli ideali si intrecciano con la sua attività giornalistica, offrendo un profondo spunto di riflessione sulla condizione dell'Italia del dopoguerra e sui valori che ne determineranno lo sviluppo.

Ada vive a Bolzano e durante la guerra ha diciotto anni. Tiene un diario nel quale racconta le difficoltà quotidiane: la paura, la fame, i bombardamenti e la disperazione di una città di lingua tedesca costretta a fare i conti, subito dopo l'armistizio, con la presenza dei tedeschi come nemici. Con il passare del tempo, il diario lascia spazio a un fitto scambio epistolare con la sua famiglia, segnato dalla separazione dovuta allo sfollamento. Le lettere riflettono la distanza fisica e l’ansia di un periodo drammatico. Il racconto si conclude con una riflessione sugli ultimi giorni di guerra e sulle prime fasi del dopoguerra, tutte vissute tra le strade di una Bolzano segnata dai conflitti.

Negli anni duri della guerra, Maria Rachele è una giovane studentessa di ragioneria. E' ancora adolescente, ma tra le pagine del suo diario emergono pensieri sempre più lucidi e maturi contro il regime: un antifascismo che nasce sottovoce e si fa via via più consapevole. Quando si ammala di pleurite, Maria Rachele viene ricoverata in una casa di cura, lontana dalla famiglia e dagli eventi che scuotono le strade. È lì che, dietro una finestra, vive la liberazione di Milano. Non può scendere in strada, ma gioisce con tutto il cuore quando i partigiani entrano in città e quando apprende che suo padre, anch’egli partigiano, è stato nominato commissario di un gruppo di gappisti: il passaggio all'età adulta e alla consapevolezza politica di una giovane donna durante la Seconda Guerra mondiale.

Ora per ora, giorno dopo giorno, Luigi — diciassette anni appena — annota tutto ciò che accade intorno a lui, in Val d'Ossola, negli ultimi sette mesi di guerra.

Claudio, ormai pensionato, ripercorre la sua vita nelle pagine di una testimonianza che scrive per poter parlare con la moglie, scomparsa pochi anni prima. Claudio si rivolge alla sua Armanda e pagina dopo pagina ritraccia la loro vita comune, ma anche gli anni trascorsi prima di conoscersi e, in particolare, l'infanzia, che Claudio vive a Milano negli anni della guerra e della successiva Liberazione, e della quale Claudio conserva un ricordo indelebile: il 29 aprile del '45 Claudio ha solo otto anni e il padre lo porta a vedere i corpi di Benito Mussolini, Clara Petacci e degli altri gerarchi fascisti esposti in Piazzale Loreto.

"Alce, Alce, Alce" è il messaggio che annuncia via radio lo sbarco alleato in Sicilia.
A intercettarlo è Ferdinando, telescriventista del genio militare di stanza a Messina. Attraverso le pagine del suo diario, Ferdinando ricostruisce quei giorni concitati: la fuga in Calabria, il caos dell’armistizio dell’8 settembre, il lungo viaggio verso casa e infine il ritorno a Brescia.

Luciano è un ragazzo quando l'Italia entra nella Seconda guerra mondiale. Frequenta il Politecnico di Milano, vuole diventare ingegnere. E' un antifascista moderato che decide, d'accordo con il padre, di rifiutare la chiamata alla leva della Repubblica Sociale dopo l'armistizio dell'8 settembre. Il suo diario nizia all'indomani della data fatidica: dalla clandestinità segue l’evolversi degli eventi fino a marzo 1944, quando, sentendosi braccato, decide di consegnarsi alla 5ª Legione di artiglieria contraerea a Varese. Dopo un periodo di addestramento tra Bologna, Varese e Milano, il padre orchestra un piano audace: permettere a Luciano di fuggire oltre il fronte, nascosto su un furgone diretto a Firenze.
È un tentativo rischioso, ma riesce. Nel giugno del ’44 Luciano è a Firenze, ancora occupata dai tedeschi e sull’orlo della liberazione. Vive da vicino i combattimenti e le settimane di attesa, raccontando paure, privazioni e episodi di guerriglia urbana. Tra i ricordi, anche la costruzione di un pozzo improvvisato nel cortile del palazzo per sopperire alla mancanza d’acqua.
Dopo la liberazione, il diario continua a dare voce a un’Italia ferita: miseria, vendette, e le cicatrici di un dopoguerra che fatica a trovare pace. Lo scritto si interrompe nel dicembre 1944.

L'autrice nasce ad Alessandria nel 1917 da genitori ebrei ed emigra con loro piccolissima a Parigi. A metà degli anni Trenta la famiglia torna a vivere a Torino dove diventa allieva del pittore Felice Casorati, nel cui studio conosce e frequenta molti intellettuali antifascisti. Le leggi razziali del 1938 si abbattono anche su di lei. Nel 1939 conosce e sposa in segreto uno dei fondatori di Giustizia e Libertà a Roma. Le rispettive famiglie non condividono l'unione e il clima ostile si ripercuote sui loro rapporti, che presto si deteriorano tra le mura domestiche, mentre resta forte il sodalizio politico. Ines e il marito sono insieme nella Milano bersagliata dalle bombe alleate, e poi di nuovo a Roma dove prendono parte attiva nella resistenza. E' testimone oculare degli avvenimenti più tragici che si consumano durante l'occupazione nazifascista di Roma, soprattutto a danno degli ebrei e dei partigiani, dal rastrellamento del ghetto all'eccidio delle Fosse Ardeatine, dove solo per una serie di circostanze favorevoli non cade vittima anche il marito. Nel frattempo il rapporto affettivo tra i due giovani ha perso ogni spinta e le loro strade si dividono in via definitiva. Ines trova rifugio in un convento di clausura, grazie all'intervento di Monsignor Hugh O'Flaherty, vescovo irlandese che ha giocato un ruolo di rilievo nel soccorso ai clandestini romani. Arriva il giorno della Liberazione. Nel dopoguerra Ines ricomincia da zero molte altre volte, senza mai perdersi d'animo e, anzi, collezionando successi, esperienze umane e professionali stimolanti: prima nella Croce Rossa Americana, poi presso il Consolato Francese, ancora presso la Lux Film, come giornalista e, infine, come assistente di un armatore italiano negli Stati Uniti, assistendo tra l'altro al primo trasporto di bovini dagli Stati Uniti all'Europa, nell'ambito degli aiuti del Piano Marshall. A coronamento di una vita avventurosa, nel 1950 trova l'amore con Sandro Bigliani, architetto torinese che sposa e con il quale ha tre figlie.

Folgore, figlio di un libertario, è perseguitato dal regime fascista per le sue idee. L’esilio è il destino della sua famiglia: prima la Svizzera, poi la Francia, dove la guerra lo sorprende ancora giovane.
Ma la distanza non spegne l’impegno: in terra francese si unisce ai maquis, combattendo tra le fila della resistenza. Quando torna in Italia è di nuovo in prima linea: prende parte alla lotta partigiana e, nel momento cruciale della Liberazione di Milano, è tra i membri del Comitato di Liberazione Nazionale.

Maria ha quindici anni quando viene accettata come staffetta per la brigata partigiana Rosselli. Nome di battaglia: Ebe. Da quel momento Maria opera nel territorio Saronnese. Trasporta ordini e qualche volta persone. In bicicletta va da Saronno a Sesto Calende dove viene traghettata con una barca sulla sponda piemontese del fiume Ticino, poi si inerpica per sentieri secondari fino in Val d’Ossola. Maria è emozionata dalla responsabilità che le è stata affidata e la restituisce alle pagine del suo diario, in ogni suo dettaglio: il percorso degli spostamenti in bicicletta, le paure e i disagi, ma soprattutto la speranza della fine della guerra, che nella fantasia dei ribelli significa ritorno alla libertà in un paese migliore.
La storia di Maria è presentata all'interno dell'antologia “In bicicletta”, pubblicata da Il Mulino nel 2009 a cura di Stefano Pivato, Loretta Veri e Natalia Cangi, e nell’antologia “Voci dalla guerra civile”, pubblicata da Il Mulino nel 2012 a cura di Luigi Ganapini.

A cavallo tra il vecchio e il nuovo mondo che si configurerà dopo la guerra, Mario Tutino offre un'analisi particolareggiata, lucida e sovente premonitrice degli avvenimenti politici italiani dalla notte in cui cadde il fascismo alla Liberazione. La dimensione pubblica s'intreccia con le vicende familiari. I due piani si sovrappongono: il figlio Saverio è prima esule in Svizzera, poi partigiano in un paese diviso e alla deriva, nel quale deve trovare un modo per sopravvivere, tra la leva obbligatoria di Salò e il movimento antifascista.
Dalle pagine di questo diario, scritte in tempo di guerra con assiduità e dedizione, traspare la passione di Mario per la gioventù partigiana, che identifica come la sola verà possibilità di rinascita dell'Italia.

Roma, 1926. Ivano nasce nella capitale da una famiglia antifascista di origine toscana. È figlio unico e vive con altri sei adulti, zii, nonni e un cugino più grande. La famiglia lo ricopre di attenzioni, premure, amore. Vogliono che il piccolo possa farsi una posizione nella società e per tutelarlo, in quel clima politico a loro così ostile, accettano che diventi Balilla. La mente di Ivano, ancora bambino, nella sua innocenza viene plasmata dagli schemi del regime. Il diario ripercorre l’itinerario del suo coinvolgimento inconsapevole e analizza i meccanismi volti a generare l’adesione dei giovani al fascismo. Poi attraverso le amicizie, le letture, gli amori e soprattutto la musica, che arriva dall’America insieme alle truppe liberatrici, Ivano scopre che al corredo nero da Balilla e al rigore delle parate, preferisce i suoni morbidi del blues. La rottura avviene in un istante, nell’istante esatto in cui sente per la prima volta la tromba di Louis Armstrong. Il suono di quella tromba lo incita alla rivolta.
Da quel momento Ivano inizia il suo percorso di liberazione personale e quella ribellione sotterranea propria alla gioventù, con il tempo, assume una dimensione politica. Ivano approda al comunismo, proprio quel comunismo da cui i genitori avevano voluto proteggerlo per garantirgli un futuro.
La storia di Ivano ha vinto il PREMIO PIEVE SAVERIO TUTINO nel 2016 ed è stata pubblicata da Terre di mezzo nel 2017 in un volume dal titolo "Balilla blues".

Piero ha dodici anni quando scoppia la Seconda guerra mondiale e ne ha quindici quando affianca i partigiani nella lotta clandestina contro il fascismo e l'occupazione tedesca.
Nell’ottobre del ’43, dopo l’armistizio, assieme a un gruppo di compagni antifascisti raggiunge la Val Trompia e si aggrega alla divisione Fiamme Verdi, poi brigata Perlasca. Sono in trentatré e occupano la stalla e il fienile di due baite di montagna. Il nome da battaglia di Piero è “Massimo” ed è il più giovane del gruppo.
Non essendo in obbligo di leva e quindi libero di circolare, gli vengono assegnate pericolose missioni come staffetta tra Brescia e Milano. Durante una di queste viene infatti arrestato e riesce a fuggire rocambolescamente, scampando così alla deportazione in Germania.
Nelle sue memorie, intitolate La pecheronza dal nome che nella redazione dell’Unità avevano dato alla telescrivente, il cui suono ricordava il ronzio di un’ape, Piero, con scrittura schietta e ironica, ripercorre vivacemente la sua vita.

Severina, quinta figlia di un'ex filatrice e di un cantoniere, affida alle pagine del diario l'infanzia e la giovinezza nelle campagne della provincia di Cremona.
Per aiutare la famiglia che durante il ventennio fascista, come molte altre famiglie italiane, vive in grandi ristrettezze economiche, impara il mestiere di sarta, ma non abbandona la sua passione: lo studio, che si concede solo di notte, di nascosto.
Allo scoppio della guerra le condizioni di vita della popolazione peggiorano, i tedeschi e gli squadristi seminano il terrore. Chi non aderisce al Partito non trova lavoro, o viene licenziato.
Contraria a questo regime si mette in contatto con alcuni socialisti del Comitato di Liberazione Nazionale ed entra nella Resistenza, contro la volontà della sua famiglia.
Incarcerata dopo un rastrellamento descrive le dure condizioni della detenzione prima a Cremona, poi a Bergamo, dove viene detenuta in una struttura sporca e senza servizi, sede del Tribunale speciale che decideva per le fucilazioni o le destinazioni ai campi di concentramento, dove Severina riesce, seppur con grande difficoltà, a sopravvivere alla fame e al freddo.
Ma quando la Liberazione è ormai imminente, un messaggio radiofonico dal Comitato di Liberazione Nazionale ordina la scarcerazione dei detenuti.
Severina partecipa con altri ex detenuti alla Liberazione di Bergamo, conclusa con la fuga dei tedeschi e dei fascisti.
Severina diventa un'eroina agli occhi dei suoi compaesani.
La storia di Severina è presentata all'interno del volume "1945, l'anno della rivolta", pubblicato da Giunti Gruppo Editoriale, Diario Itlaiano n 13 nel 1995, nell' dell'antologia “Voci dalla guerra civile”, pubblicata da Il Mulino nel 2012 a cura di Luigi Ganapini ed anche nell’antologia “La vita è un sogno”, pubblicata da Il Saggiatore nel 2016.

Attraverso una scrittura limpida, fatta di potenti folgorazioni poetiche e raffinate analisi politiche, Magda Ceccarelli offre una testimonianza d’eccezione sulla vita in tempo di guerra e sulla Liberazione di Milano.
La sua posizione unica all'interno della società dell'epoca le permette di auscultare tanto i sussulti dell’alta borghesia (secondo le norme della quale vive) quanto quelli del proletariato (cui si sente appartenere).
La convinzione politica, passione bruciante che la porta a sognare di combattere tra i Partigiani insieme al figlio, va di pari passo con l’amore per la famiglia e il desiderio di vivere insieme al marito, il pittore Raffaele De Grada, e i due figli, Raffaelino e Lidia, sempre uniti sotto lo stesso tetto.
Magda è al contempo poetessa e casalinga, militante e madre di famiglia, intellettuale e vivandiera per la Resistenza.
La sua vita incrocia quella di intellettuali importanti quali Guttuso e Vittorini, famiglie altolocate e resistenti straordinari come Venanzi, Ingrao, Pontecorvo, Agostoni e Curiel, ma anche contadini affamati e donne di servizio fedeli e nemiche.
E tra le sirene che annunciano l’inizio della guerra e la folla accalcata in Piazzale Loreto per assistere allo spettacolo “sconcio” dei cadaveri degli assassini, Magda matura una convinzione: “È bello vivere e soprattutto aver vissuto così. Aver portato un piccolo contributo, un sacrificio di lacrime e d’azione. Aver aiutato a vincere. Essere stati nel vero. Sempre, senza confusioni, senza incertezze, senza pentimenti. Aver visto chiaramente la strada e averla seguita. Essere stati onesti nella nostra fede.”
La storia di Magda ha vinto il PREMIO PIEVE SAVERIO TUTINO nel 2010 ed è stata pubblicata da Il Mulino nel 2011 in un volume dal titolo "Giornale del tempo di guerra, 12 giugno 1940 – 7 maggio 1945".

Antal attraversa gli ultimi mesi della guerra con lo sguardo vigile di chi ha vissuto la storia da dentro, intrecciando il proprio percorso umano e intellettuale con le grandi svolte del Paese. La sua è una riflessione lucida e profonda: un’analisi critica degli eventi che hanno segnato la fine del conflitto, ma anche una testimonianza emotiva che alterna l’esplosione di gioia per la Liberazione al turbamento profondo provato davanti alle immagini di Piazzale Loreto.

Pietro ripercorre le tappe della sua vita dal 1917 al 1945. Ufficiale dei carabinieri pugliese, richiamato sotto le armi dopo la disfatta di Caporetto, trascorre al fronte l'ultimo periodo di guerra, terminando il servizio militare a Modena, dove riceve l'avviso dell'inclusione nell'Arma dei Carabinieri. Negli anni Trenta presta servizio come Tenente nel Dodecanneso e in questo periodo si sposa con una giovane del suo paese, che gli dà due figli. Rimane a Rodi fino allo scoppio della guerra, quando riceve l'ordine di rimpatrio. La guerra lo coglie in Albania da dove, nel luglio del 1943, torna in licenza. Pietro attraversa la storia: la caduta di Mussolini, lo sbarco in Sicilia degli Alleati, l'armistizio e la formazione del Regno del Sud che liberato si oppone agli Italo tedeschi. Qui Pietro è distaccato nel Contingente dei Carabinieri alle dipendenze della V Armata per il controllo del territorio assieme agli Alleati: di questo periodo descrive la distribuzione dei viveri alla popolazione e il successivo trasferimento a Roma, dove lo raggiunge la famiglia.

Aprile 1945. Umberto ha vent’anni e veste la divisa della X MAS. È a Genova quando la città viene liberata e, come molti altri militari della Repubblica Sociale, finisce prigioniero degli Alleati. Inizia così un nuovo capitolo della sua giovane vita: non più guerra, ma l’attesa, la reclusione, il tempo sospeso dei campi allestiti dagli americani tra San Rossore, Coltano e Tombolo, nel comune di Pisa. Umberto documenta tutto con sguardo lucido, proseguendo il diario iniziato tra le macerie del capoluogo ligure. Mesi lunghi, incerti, scanditi da abitudini nuove, da convivenze forzate, dalla speranza del ritorno. Quando, nell’ottobre del 1945, può finalmente rientrare a casa, il mondo è cambiato — e lui con esso.

Nato a Saluzzo in provincia di Cuneo nel 1921, nel 1942 frequenta la scuola di Cavalleria a Pinerolo. Nel ’43 si sposa con Vittorina poco prima della caduta di Mussolini: l’epilogo dell’8 settembre è già nell’aria e Furio viene richiamato con il suo Reggimento, il Lancieri Vittorio Emanuele II, a difendere Roma. Quando scatta l’occupazione nazifascista Furio partecipa alla fragile difesa di Roma, portando in salvo lo stendardo del reggimento. Ma il Regio esercito si dimostra incapace di una resistenza organizzata. Posto di fronte al bivio generazionale sulla scelta da compiere, Furio espone le sue perplessità. Passando attraverso non pochi tormenti, alla fine sceglierà di non aderire a Salò e di passare alla lotta partigiana, tornando tra le sue valli piemontesi, intorno a Boves dove agisce una delle prime bande di ribelli e dove è attivo anche il fratello Ezio. Per Furio è la decisione più coerente con il suo percorso di vita. Ma Aceto sa anche che le vie che portano a scegliere una parte o l’altra sono le più disparate e che ogni caso va preso in esame singolarmente. Come dimostra un incontro fortuito che, dopo essere entrato in clandestinità, ha con un suo ex commilitone passato con i repubblichini, e al comando d’una pattuglia in procinto di arrestarlo. . È il preludio di una stagione di sofferenze ma anche di grandi entusiasmi, che Furio vivrà da comandante partigiano tra le valli del cuneese e dell’astigiano, fino a guidare la Brigata dell’Ordine come vice-comandante nella Liberazione di Savona dell’aprile ’45.
La storia di Furio ha vinto il PREMIO PIEVE SAVERIO TUTINO nel 2021 ed è stata pubblicata da Terre di mezzo nel 2022 con il titolo “La via della libertà. Storia di un ufficiale che divenne partigiano”.

Paolo è partigiano sulle montagne emiliane e racconta, giorno per giorno, le vicissitudini attraversate fino alla liberazione di Bologna.
Il suo diario ci offre una descrizione nitida del viaggio verso i giorni della Liberazione e restituisce un percorso descritto dovizia di dettagli e analizzato con lucidità.
Quella di Paolo Berti Arnoaldi Veli è una tra le tante azioni di memoria custodite dall'Archivio.

Egizia, giovane fiorentina, avvia il suo diario nel giorno in cui festeggia il diciottesimo compleanno, nel luglio 1943. È una ragazza matura, lavora e si guadagna da vivere, vorrebbe concedersi più tempo per le gite, i divertimenti, le amicizie e gli amori, come confida al suo diario. La guerra però incombe e le procura il dolore più grande della sua vita quando la madre muore sotto le bombe. Un lutto straziante, unito alla casa ridotta in macerie, all'incertezza che si fa sempre più forte e a un conflitto che non accenna a terminare. Quando finalmente la guerra finisce, ecco una stagione di progressiva riconquista della normalità, a partire dalle piccole cose che sono per lei così preziose.