
Roma, 1949. Tra le baracche del Mandrione nasce Claudio Foschini, da una madre “scarpara”(ladra di portafogli in gergo romano) e un padre che vende l’Unità alla stazione Termini (“lavoro di prestigio fra i poveri”). La sua infanzia assomiglia a quella di tanti bambini delle baracche romane, Claudio cresce nella miseria, ma il clima di solidarietà che regna all’interno della famiglia e della comunità di borgata danno speranza e persino gioia. Tra vicini ci si dà una mano, si passano le giornate insieme e s’inizia anche a fare le prime ragazzate in banda.
Poi è il tempo del collegio, inevitabile per le famiglie più povere, per garantire ai figli pranzo e cena. Ma la separazione dalla famiglia e l’educazione rigida del collegio lasciano delle ferite profonde nel giovane Claudio, che comincia ad essere abitato da un desiderio crescente di ribellione e vendetta. I primi furti li inizia a fare quasi per gioco, ma di lì a poco arriva al carcere minorile di Porta Portese. E da quel momento inizia una spirale vertiginosa fatta di carcere, furti, rapine, ancora carcere e molta droga. La vita si alterna tra dentro e fuori, più dentro che fuori, e nonostante il senso d’ingiustizia rispetto a ciò che Claudio vive come un destino, la reclusione è un momento di riflessione e bilancio, di memoria e proiezione. È così che Claudio riempie undici bloc-notes raccontando la sua vita, in modo onesto e autentico, lo fa per lenire il passare del tempo dietro le sbarre, ma anche per avvertire quei ragazzi che potrebbero essere attirati dalla stessa strada verso la facilità, solo presunta e mai goduta. La scrittura, così come il teatro in carcere, permettono a Claudio di assaporare l’inizio di un riscatto che però non avviene mai fino in fondo: a neanche sessantuno anni, un mattino di maggio del 2010, Claudio viene ucciso da una guardia giurata in borghese in una tabaccheria, durante l’ultima rapina.
Claudio Foschini, “ragazzo di vita” autentico, ci affida la sua vita rocambolesca con generosità e lucida incoerenza, offrendoci un ritratto “da dentro” della Roma borgatara di quegli anni.
La storia di Claudio ha vinto il PREMIO PIEVE SAVERIO TUTINO nel 1992 ed è stata pubblicata da Il Mulino nel 2013 con il titolo “In nome del popolo italiano”.

Attraverso una scrittura limpida, fatta di potenti folgorazioni poetiche e raffinate analisi politiche, Magda Ceccarelli offre una testimonianza d’eccezione sulla vita in tempo di guerra e sulla Liberazione di Milano.
La sua posizione unica all'interno della società dell'epoca le permette di auscultare tanto i sussulti dell’alta borghesia (secondo le norme della quale vive) quanto quelli del proletariato (cui si sente appartenere).
La convinzione politica, passione bruciante che la porta a sognare di combattere tra i Partigiani insieme al figlio, va di pari passo con l’amore per la famiglia e il desiderio di vivere insieme al marito, il pittore Raffaele De Grada, e i due figli, Raffaelino e Lidia, sempre uniti sotto lo stesso tetto.
Magda è al contempo poetessa e casalinga, militante e madre di famiglia, intellettuale e vivandiera per la Resistenza.
La sua vita incrocia quella di intellettuali importanti quali Guttuso e Vittorini, famiglie altolocate e resistenti straordinari come Venanzi, Ingrao, Pontecorvo, Agostoni e Curiel, ma anche contadini affamati e donne di servizio fedeli e nemiche.
E tra le sirene che annunciano l’inizio della guerra e la folla accalcata in Piazzale Loreto per assistere allo spettacolo “sconcio” dei cadaveri degli assassini, Magda matura una convinzione: “È bello vivere e soprattutto aver vissuto così. Aver portato un piccolo contributo, un sacrificio di lacrime e d’azione. Aver aiutato a vincere. Essere stati nel vero. Sempre, senza confusioni, senza incertezze, senza pentimenti. Aver visto chiaramente la strada e averla seguita. Essere stati onesti nella nostra fede.”
La storia di Magda ha vinto il PREMIO PIEVE SAVERIO TUTINO nel 2010 ed è stata pubblicata da Il Mulino nel 2011 in un volume dal titolo "Giornale del tempo di guerra, 12 giugno 1940 – 7 maggio 1945".

Milano, 1967. Raffaele ha ventidue anni, vive a Milano con la sua famiglia. Ha frequentato il liceo scientifico, ma non gli interessa proseguire gli studi, fa parte di un gruppo musicale (i Profeti), legge e si appassiona all’Oriente, come molti suoi coetanei.
Nell’autunno del ‘67, Raffaele decide di lasciare tutto e partire, alla ricerca di sé stesso e forse di una verità più grande, insoddisfatto della vita borghese che potrebbe permettersi a Milano, per lui troppo stretta. Così, mette in moto la Citroën 2CV e inizia il suo viaggio. Andare in India via terra è un’abitudine comune per la gioventù dell’epoca, ma Raffaele rivisita questa tendenza in modo profondamente personale: prima dell’India incontra l’Afghanistan e se ne innamora. Passa lì un lungo periodo, poi vi torna alla fine del viaggio, s’installa, vive di quello che può (e continua a chiedere soldi a casa), impara il pashtu, si converte all’Islam, che professa come religione di pace, fratellanza e felicità, diventa amico dei mujaheddin, vive in mezzo a loro, si trasforma in Raffiulah. Quando torna a Milano, ci torna senza cuore, ché il cuore da quel viaggio in poi l’avrà sempre fuori sede. Alcuni anni dopo conosce Jill, una ragazza australiana con cui condivide la passione per il Medio Oriente. S’innamorano, si sposano, si trasferiscono in Australia e hanno tre figli, senza mai rinunciare al loro vivere ardendo. Nel 1980 Raffaele torna in Afghanistan per documentare dall’interno la resistenza all’invasione sovietica. Fa avanti e indietro dall’Australia, dove vivono la moglie e i figli, ma dall’ultimo viaggio in Afghanistan non tornerà: morirà nell’autunno del 1983, schiacciato da un carrarmato sovietico. Sarà seppellito a Urgun dai compagni mujaheddin, con gli onori che si riservano ai martiri.
Le lettere di Raffaele hanno vinto il PREMIO PIEVE SAVERIO TUTINO nel 2005 e sono state pubblicata da Terre di mezzo nel 2006 in un volume dal titolo "Rafiullah".
La storia di Raffaele è stata raccontata a partire da marzo 2021 a Linee d’ombra, su Radio24.
Rafiullah è stata infatti la storia seriale, scritta da Mauro Pescio e narrata da Matteo Caccia, andata in onda ogni giorno in chiusura di puntata a Linee d’ombra.

Luisa nasce nel centro Italia da una famiglia contadina della provincia di Frosinone. Le piace leggere, vorrebbe studiare per trovare un lavoro, ma per non essere di peso ai genitori - che oltre a lei hanno altri quattro figli - si sposa. Giovanissima. Da quel momento Luisa comincia a perdere di vista sé stessa e i suoi desideri. Nando, il marito, è arido nei momenti migliori, brutale negli altri. Le infligge violenze fisiche e morali costanti. Giorno dopo giorno l’esistenza di Luisa si rimpicciolisce, fino a diventarle estranea. Il matrimonio non è per lei relazione, ma prigione. Luisa passa le sue giornate in casa, tutte uguali, scandite dai ritmi degli sforzi domestici e rurali: prepara la colazione, lava i panni, li stira, li rammenda, pulisce la casa, cucina per il pranzo e per la cena, lavora nei campi, cresce i figli. In una sera come tante altre, né brutta né bella, scoppia a piangere sotto la doccia: è sola e senza orizzonti, la sua infelicità è totale. Vorrebbe parlarne con qualcuno, ma il medico di famiglia è quello del marito. Riesce ad andare da una psicologa, di nascosto, perché è una perdita di tempo e lei deve pensare solo alla casa e ai campi. Vorrebbe comporre un numero, uno a caso, sarebbe pronta anche a confidarsi con uno sconosciuto per alleviare il suo dolore, ma il telefono non lo ha, perché Nando non lo ritiene necessario.
Gli anni passano e la vita le scivola addosso senza appartenerle. Luisa si protegge come può, tace, evita, vive in punta di piedi, ma l’istinto di salvezza non l’abbandona: affida le sue giornate prive d’amore e tutte uguali a un quaderno che porta sulla prima pagina la sua fotografia e il suo nome, perché quel quaderno, come lei stessa ammette, è la vera Luisa. Forse è proprio grazie a quel quaderno che, per fuggire all’ennesimo accesso d’ira del marito, Luisa scappa dalla finestra del bagno in una notte fredda di gennaio, in vestaglia e zoccoli. E in quel momento, con la notte come casa, inizia la sua vita.
La storia di Luisa ha vinto il PREMIO PIEVE SAVERIO TUTINO nel 1994 ed è stata pubblicata da Terre di mezzo nel 2017 in un volume dal titolo "I quaderni di Luisa. Diario di una resistenza casalinga".

Algeri 1952. Leo, un giovane italiano di Idria (oggi Slovenia), botanista autodidatta, integra un gruppo di ricerca francese che lo incarica di cartografare la vegetazione del territorio algerino della bassa valle dell’Oued Cheliff. Percorre il paese in lungo e in largo, le città di Algeri, Mascara, Saida, El Kheider, Garyville, Bou Alam, Aflou, Laghouat, Ghardaia, Djelfa, Boghari, Medea; ma anche il bosco di eucalipti di Hamadena, le lande del Bled Teferchat, i terreni argillosi del Sidi Abd El Kader Moul Gaa, le sabbie e la polvere d’Ourizane, le rocce rosse del Dahra, il territorio del Kudia bel Krarrouba, i boschi di tamerici e le caverne del Kef N’Soura, i campi paludosi di giunchi del Merdja Sidi Abed, il deserto del Sud Oranese.
Un giorno riceve una lettera da una giovane donna del suo paese, Miriam Colautti, amica di amici, che gli chiede consiglio per trovare lavoro ad Algeri. Leo intercetta il malessere della compaesana, accoglie il suo desiderio di evasione, ma le suggerisce di restare e di trovarsi una passione. Lei lo prende alla lettera: Miriam comincia a scrivere a Leo con regolarità, la prima lettera è cordiale, la seconda amichevole, la terza è una lettera d’amore.
Per tre anni Myriam e Leo si amano a distanza, attraverso un carteggio fitto di racconti, immagini, considerazioni sull’amore e sulla vita, tra Algeri e Udine. Leo ama l’Algeria, ma ama Miriam più della sua terra d’elezione, decide così di tornare in Italia per sposarla. Il ritorno ha però il gusto amaro del compromesso: Leo ottiene una posizione a Bergamo, lontano dal Friuli di Miriam e dalla luce d’Africa. La corrispondenza continua, l’impazienza si fa grande e con essa la consapevolezza dei limiti cui vanno incontro entrambi. Leo e Miriam riescono a sposarsi, ma Leo, affetto da una malattia rara, muore a 33 anni, nel 1961.
Miriam ha conservato le lettere di Leo per tutta la vita e le ha affidate all’Archivio di Pieve Santo Stefano nel 2008.
Le lettere di Leo hanno vinto il PREMIO PIEVE SAVERIO TUTINO nel 2008 e sono state pubblicate da Terre di mezzo nel 2009 in un volume dal titolo "La geometria dei sentimenti, Lettere d'amore".

È il 23 giugno 1992, a un mese esatto dalla strage di Capaci, migliaia di persone si radunano a Palermo in un corteo silenzioso e emozionato, per commemorare le vittime della strage. Accanto all’Albero Falcone, punto in cui culmina il corteo e nuovo simbolo della Resistenza palermitana, vi sono una pedana e un microfono, al quale si alternano oratori improvvisati. Antonina sente che è arrivato il momento di parlare, di liberare la voce, di fare luce sulla vicenda del padre, non può lasciarlo morire due volte. Antonina prende il microfono e ricorda Nicolò Azoti, sindacalista comunista che ha lottato per dare ai contadini delle condizioni di vita migliori, ucciso dalla mafia alla vigilia del Natale del 1946, mentre tornava a casa dalla moglie e dai figli. Per la prima volta Antonina ha dato voce alla sua storia, una storia della quale l’hanno obbligata a vergognarsi fin da bambina. Per la prima volta Antonina si è espressa, ha preso posizione, ha trovato il suo posto nel mondo: ha dato pubblicamente un nome a quel padre ucciso. Comincia il lento dovere della memoria, una vittoria personale per Antonina e la sua famiglia.
La storia di Antonina ha vinto il PREMIO PIEVE SAVERIO TUTINO nel 2004 ed è stata pubblicata da Terre di mezzo nel 2016 con il titolo “Ad alta voce. Il riscatto della memoria in terra di mafia”.
La storia di Antonina è stata raccontata nell’estate del 2020 a Linee d’ombra, su Radio24.
Ad alta voce è stata infatti la storia seriale, scritta da Mauro Pescio e narrata da Matteo Caccia, andata in onda ogni giorno in chiusura di puntata a Linee d’ombra.

1952. Antonio Cocco è un giovane studente al terzo anno di ragioneria. Vive a Venezia con la sua famiglia, una famiglia numerosa e unita. Ha una vita normale, fatta di giornate sui banchi di scuola, cene in famiglia, balli con gli amici. Un giorno però gli va male un’interrogazione e la prospettiva di un rinvio a settembre o, peggio ancora, di una bocciatura, lo umilia e gli fa compiere una follia. Scappa in Francia con un amico, senza documenti. Alla frontiera viene fermato dalla gendarmerie e si trova davanti a un bivio: tornare in Italia e affrontare il carcere oppure arruolarsi nella Legione straniera. La paura di procurare un dispiacere ai genitori facendosi arrestare, lo spinge ad arruolarsi. Da questo momento inizia una fitta corrispondenza con il padre, che tenta disperatamente di far liberare il figlio e di farlo tornare in Italia. Invano. Antonio morirà a soli vent’anni a Dien Bien Phu, in un giorno della primavera del ’54, mentre difende, suo malgrado, le posizioni dell’esercito francese durante la guerra d’Indocina.
Le lettere di Antonio hanno vinto il PREMIO PIEVE SAVERIO TUTINO nel 2017 e sono state pubblicate da Terre di mezzo nel 2018 con il titolo “Ridotta Isabelle. Nella Legione straniera senza ritorno da Dien Bien Phu. Lettere 1952-54”.
La storia di Antonio è stata raccontata a partire dall’estate del 2020 a Linee d’ombra, su Radio24.
Ridotta Isabelle è stata infatti la storia seriale, scritta da Mauro Pescio e narrata da Matteo Caccia, andata in onda ogni giorno in chiusura di puntata a Linee d’ombra.

Milano, 1872. Emilia è una nobildonna, vive a Brera con i cinque figli e il marito ostile, soprannominato da lei “L’Orso”. Federico A., è un ufficiale dei Bersaglieri, stanziato in Meridione per combattere il brigantaggio. Federico vive per un breve periodo a Milano e fa la corte a Emilia, osservandola dalla finestra. Lei resiste, poco, poi cede e inizia un fitto carteggio amoroso che accompagna una passione divorante, fatta d’incontri clandestini, parole d’amore scritte su ogni lato della carta da lettere a formare ricami, soggiorni in giro per l’Italia in alberghi d’infima categoria per nascondersi dagli sguardi indiscreti, distacchi strazianti dovuti al recapito tardivo di una lettera e riavvicinamenti assoluti non appena s’intravede la possibilità di ritrovarsi.
Emilia, cagionevole di salute, ma combattiva di spirito, vive di questa luce segreta sotto il tetto coniugale e non si perde d’animo, fino a che, esasperata dal marito, che la sottomette e del quale non è mai stata innamorata, riesce a chiedere e a ottenere la separazione legale. Dopo la separazione, Emilia e Federico continuano a vivere a distanza la loro passione, che li consuma fino all’ultimo colpo di scena: Emilia, dopo la malattia e la morte del marito, decide di porre fine alla loro relazione e Federico, umiliato e folle d’amore, si toglie la vita.
Le lettere di Emilia hanno vinto il PREMIO PIEVE SAVERIO TUTINO nel 1986 e sono state pubblicate da Rosellina Archinto nel 1987 in un volume dal titolo "Le parole nascoste".