In Bicicletta
"Attraverso le viti di una bicicletta, si può raccontare la storia d’Italia".
Inno alla gioia. Elogio della fatica.
 
Estratto tratto dalla prefazione di Stefano Pivato al volume “In bicicletta”, pubblicato nel 2009 da Il Mulino. Antologia a cura di Stefano Pivato, Loretta Veri e Natalia Cangi. 
 
(Questo estratto è qui riprodotto con il gentile accordo dell’autore).
 
La storia della bicicletta, dei suoi riti e dei suoi miti, parte da lontano e, nell’immaginario degli italiani, inizia a far brecciaall’alba del Novecento. All’inizio del nuovo secolo, allorché la bicicletta aveva da poco fatto la sua comparsa sulle strade, unainchiesta svolta allo scopo di studiare i miti più rappresentativi nell’immaginazione popolare degli italiani rivela che la biciclettaevoca «movimento, corsa, velocità». È la conferma che nell’immaginario popolare la bicicletta viene considerata così comel’aveva definita il medico positivista Paolo Mantegazza: «il trionfo del pensiero umano sull’inerzia della materia. Due ruoteche poggiano appena al suolo e che possono sembrar ali [...] un prodigio di velocità e di eleganza». Dalla prima draisina,rudimentale antenato del velocipede, azionata dalla spinta dei piedi sul terreno e presentata a Parigi il 5 aprile 1818, la biciclettasi evolve nel corso dell’Ottocento attraverso forme sempre più perfezionate: dal primo modello azionato da una forza motricetrasmessa alle ruote, costruito nel 1840 dal fabbro scozzese Kirkpatrick Mac Millan, fino all’invenzione del pedale messo apunto dal francese Ernest Michaux nel 1855. Dai primi strani oggetti come il «mostro» del parigino Victor Renard costruitonel 1877, con una ruota anteriore alta tre metri (la granbi), la bicicletta assume una forma definitiva nel 1897 attraverso l’invenzione della ruota libera che permette di sospendere le pedalate per riposare. Definitivo, verso la fine dell’Ottocento, diviene anche il nome di quel mezzo meccanico che via via aveva assunto denominazioni fantasiose legate agli inventori di modelli sempre più perfezionati, o alle caratteristiche tecniche del veicolo: cavallo di legno, celerifero, velocifero, draisina, michaudina, velocipede, bicicletto e, finalmente nell’ultimo decennio del secolo, bicicletta.In Italia i primi «velocipedisti»fanno la loro comparsa verso la fine del 1860; nobili e stravaganti alto borghesi cavalcano rudimentali attrezzi meccanici fra lacuriosità e, talvolta, il panico dei passanti. Ma è negli anni Ottanta che, sia pure ancora riservata a ristrette élites, la biciclettaaumenta la sua diffusione. Lo conferma, oltretutto, il fatto che proprio nel 1885, a Milano, Edoardo Bianchi inizia laproduzione del primo «bicicletto» nostrano. Di lì a pochi anni la proliferazione dei fabbricanti testimonia la popolaritàcrescente del nuovo mezzo: Olympia (1893), Velo (1894), Maino e Dei (1896), Frera (1897), Lugia (1905), TaurenseLegnano (1906), Atala (1907), Torpado (1908), Ganna (1910).
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È varia la stratificazione delle motivazioni che spingono i diaristi a scrivere della bicicletta. Ma non c’è dubbio che un primo impulso nasca proprio da quel desiderio di rievocare l’infanzia e l’adolescenza e di portare queste età sulle due ruote anche inetà adulta. Una sorta di recherche provinciale che nella bicicletta sublima desideri, sensi di colpa e gioia dell’infanzia indefinitiva.
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Mezzo per ricercare la felicità o allontanarsi dalle delusioni della vita. Strumento di lavoro o utopica sublimazione delle imprese deigrandi campioni. Tramite dell’impegno politico o per procacciarsi il lavoro. La storia della bicicletta, e dei suoi altri innumerisignificati, sta in gran parte nelle Memorie che si pubblicano e che attraversano, non sempre consapevolmente, le vicende piùcomplessive del nostro paese. Come a dire, per concludere con Marc Augé, che parlare della bicicletta non significa solo evocare ricordi personali ma ripercorrere «un’epoca, un clima, una storia condivisa da milioni di altre persone».
TAPPE