Questo sito usa cookie di analytics per raccogliere dati in forma aggregata e cookie di terze parti per migliorare l'esperienza utente.
Leggi l'Informativa Privacy completa.

Logo Fondazione Archivio Diaristico Nazionale

Tratto da

Da lecco a Porto Empedocle riavvolgendo il nastro della vita

Autore

Gaetano Castelli

Tempo di lettura

16 minuti

In bicicletta - edizione 2024

Leggi il mio diario
MARTEDI 4 GIUGNO DA PRIZZI A PORTO EMPEDOCLE

MARTEDI 4 GIUGNO DA PRIZZI A PORTO EMPEDOCLE

 

Alle 7.30 sono in casa di Nicoletta, la tavola è già pronta con un buon caffè fumante e ci mettiamo subito a parlare pacatamente. Nicoletta mi dice che lei nella vita ha dovuto lottare molto, che è separata e ha due figli all'estero. Da qualche anno ha perso il suo lavoro di insegnante in una scuola finanziata dalla Regione Sicilia con fondi europei per la formazione di giovani nel campo delle attività turistiche. Nicoletta insegnava una materia legata alla storia e alle conoscenze agroalimentari del territorio. Mi dice che ha sofferto molto per la perdita del suo lavoro soprattutto nel primo periodo quando improvvisamente si è trovata a casa senza più un ruolo nella società. Alla depressione che l'aveva colta, ha reagito ristrutturando la stalla di famiglia per ottenere i requisiti necessari per partecipare al bando regionale che ha individuato i luoghi di accoglienza per i pellegrini che vogliono intraprendere il cammino della Magna Via Francigena. Mi dice che è stata una scelta vincente anche se il flusso di turisti non è molto intenso, ma riesce ad arrotondare le entrate proponendo agli ospiti cibi locali e tradizionali preparati e consumati nella cucina di casa sua e che sono sempre molto graditi. Purtroppo, non ho potuto assaggiare le sue specialità perché ieri sera aveva un impegno a cui non poteva assolutamente mancare. Ci lasciamo con un caloroso saluto. Salto sulla mia bici e mi avvio verso la statale che mi porterà prima a Santo Stefano Quisquina dopo a Cianciana e Raffadali e come ultima tappa di questo mio viaggio, al mio paese di origine, Porto Empedocle che si trova a circa 13 Km a sud di Agrigento. Dopo Prizzi, inizia subito una lunga discesa che mi porta verso Cianciana che si trova a 390 metri d'altezza. Pedalo pochissimo e mi godo il paesaggio e l'aria tiepida che mi dà un grosso sollievo dopo la sensazione di freddo che ho avuto da quando sono arrivato a Prizzi. La strada è molto ben tenuta e naturalmente c'è pochissimo traffico, perciò, senza alcuna fatica arrivo a Cianciana. Qui mi fermo perché attirato da un profumo che mi ricorda l'infanzia e capisco che proviene da un forno che vende i panini con le panelle che sono un tipico e semplice cibo siciliano da strada fatto con farina di ceci acqua e prezzemolo. Senza pensarci due volte mi fermo e compro un panino che mangio subito e immediatamente dopo ne compro un altro perché non si sa mai cosa incontrerò più avanti ed è quindi buona regola per chi viaggia in questi posti portare sempre con sé del cibo e una scorta d'acqua. Prima di partire chiedo ad un signore che sta comprando il pane se la strada per Raffadali presenta qualche difficoltà e la risposta in puro dialetto siciliano è "neeenti, tutta scinnuta è" che sta a significare che la strada è in discesa e non presenta alcuna difficoltà. Ringrazio e sempre godendomi la discesa arrivo fino alla confluenza con il fiume Platani che è uno dei corsi d'acqua più importanti della Sicilia. Qui il paesaggio diventa di una bellezza particolare, tutta la valle del fiume e le montagne circostanti sembrano identici a uno di quei film western ambientati in Arizona. L'acqua del fiume è di un colore cristallino e stormi di corvi neri si buttano a precipizio sul pelo dell'acqua per poi risalire in aria, in un continuo vociare, per andarsi a posare sugli alberi maestosi che si ergono sulla riva. In lontananza si vedono volteggiare alcuni grossi rapaci che non riesco bene a identificare. Completamente rapito mi fermo a contemplare il luogo facendo qualche video e foto e rimango ancora una volta impressionato da tanta bellezza. Lascio a malincuore la valle e continuo, ma mi accorgo subito che la strada comincia a salire sempre di più e in lontananza si intravede il classico nastro d'asfalto che va sempre più in alto. La lunga discesa per qualche attimo mi ha fatto dimenticare che mi trovo in un territorio montagnoso e collinare, perciò, mi concentro sulla strada e ricomincio a spingere sui pedali. Il sole comincia a scaldare l'aria e il paesaggio intorno a me è completamente privo di qualsiasi forma di presenza umana. Dopo aver percorso circa 3 km tutti in salita incontro due tecnici dell' A.N.A.S. che stanno facendo controlli stradali. Mi fermo soprattutto per scambiare qualche parola e loro, con la solita gentilezza insita nei siciliani, mi offrono dell'acqua e si offrono anche di accompagnarmi in paese. Chiedo quanto dista Raffadali e mi dicono che ci vogliono ancora 10 km, tutti in salita. Mi viene quasi un mezzo colpo, meno male che ho comprato il panino con le panelle e ho acqua a sufficienza, perché mi dicono che durante tutto il percorso non c'è alcuna possibilità di trovare cibo e acqua. Sorridendo in maniera ironica, ma soprattutto per sdrammatizzare mi dicono che potrò incontrare "massimu quacchi scursuni" che vuol dire che tuttalpiù potrei incontrare qualche serpente. Riprendo indeciso se fermarmi sotto un albero per far passare le ore più calde o continuare. Ogni posto che vedo in ombra mi sembra quello giusto e in questa continua indecisione vado sempre più avanti e vedo le prime case del paese di Raffadali.

Avverto che il clima sta cambiando, si sente l'aria di mare e in lontananza comincio a scorgere una striscia di colore blu che si perde all'orizzonte. Provo una forte emozione, non mi sembra vero che sto per concludere questa impresa.

Alcune persone che stanno facendo lavori stradali mi dicono che sono arrivato alla periferia di Raffadali e che il centro del paese si trova a 2 km di distanza. Mi guardo intorno e mi sembra ci sia stato un esodo o una catastrofe. Le costruzioni sono diroccate, in alcune manca l'intonaco sulla facciata, in altre dal tetto spuntano i tondini di ferro dei pilastri di cemento e molte di queste case incompiute si susseguono per un lungo tratto deturpando visibilmente il paesaggio. Mi rendo conto di trovarmi ancora una volta davanti al solito abusivismo edilizio concentrato nelle periferie delle cittadine siciliane. Arrivo al centro del paese e mi fermo a fare una sosta in un posto a metà tra il bar, la trattoria, il self-service e il ristorante dove sono esposti cibi di tutti i tipi a prezzi molto bassi. Compro un arancino e mi siedo. Subito dopo addento il panino con le panelle che ho comprato a Cianciana. Al mio fianco ci sono due ragazzi intenti a guardare un computer portatile che hanno con loro, ma capisco che sono io la vera curiosità del momento. I due ragazzi sono colpiti dalla bicicletta, che è visibilmente attrezzata per il cicloturismo; vogliono sapere da dove vengo e dove vado. Quando rispondo che sono partito da Lecco non credono alle loro orecchie. Questa incredulità e originata dal fatto che in Sicilia la bicicletta è un mezzo di trasporto usato poco. Per muoversi il mezzo più usato è l'automobile che però viene utilizzata principalmente per brevi spostamenti interni ai paesi stessi. Anche il traffico commerciale sulle strade di collegamento è limitato a causa di una economia poco sviluppata. Tutti questi fattori spiegano anche il pochissimo traffico che si incontra appena si esce dai centri abitati. Saluto i ragazzi e riparto. Vorrei arrivare al mio paese al massimo nel tardo pomeriggio. Attraverso Raffadali e noto che dai balconi dei piani alti delle abitazioni pendono corde con attaccati all'estremità sacchetti di spazzatura pronti per il ritiro del giorno successivo. Le stesse corde serviranno a tirare su i cesti di vimini con le mercanzie che sono vendute dagli ambulanti di passaggio. Lascio definitivamente il paese e dopo ancora qualche chilometro di salita inizia la lunga discesa che mi porterà a Porto Empedocle. Avverto che il clima sta cambiando, si sente l'aria di mare e in lontananza comincio a scorgere una striscia di colore blu che si perde all'orizzonte. Provo una forte emozione, non mi sembra vero che sto per concludere questa impresa. Spingo forte sui pedali anche se sono in discesa, come preso da una gioia infantile. In alcuni momenti, quando mi trovavo completamente solo sulle strade interne delle Sicilia, avevo come l'impressione di non arrivare mai e adesso invece che sono quasi arrivato non riesco a farmi passare questa sensazione d'incredulità. Lascio la strada che mi porterebbe ad Agrigento e imbocco una strada secondaria che passa per la frazione di Villaseta per poi arrivare direttamente a Porto Empedocle. L'aria è decisamente calda e dai grossi cactus, agave, fichidindia, e piante grasse che vedo intorno a me, capisco di essere in un clima sub tropicale. Attraversando Villaseta leggo su un cartello "casa natale di Luigi Pirandello" e mi viene in mente che da bambini, nel nostro errare alla scoperta di chi sa che cosa, passavamo davanti a quella casa chiedendoci chi potesse mai essere questo Luigi Pirandello. Pedalo ancora per qualche chilometro e arrivo a Porto Empedocle. Cerco subito l'abitazione di zia Sara e arrivo direttamente sotto il suo balcone. Impossibile descrivere la faccia di mia zia nel vedermi arrivare sotto casa sua con una bicicletta carica di due borse da viaggio. Ha un'espressione che è un misto d'incredulità e di rimprovero e dopo avermi dato più volte del pazzo ha concluso la sequela di rimbrotti con la sua tipica espressione "tu sì stunatu di bummi" che identifica una persona lesionata nel cervello a causa dello scoppio delle bombe. È una frase molto usata dalle persone della sua generazione che hanno vissuto l'infanzia durante la Seconda guerra mondiale e che molto probabilmente sono rimaste traumatizzate da quegli scoppi. Le do un forte abbraccio e subito dopo arriva anche mia cugina Tiziana che vive con lei insieme al figlio Corrado. Sistemo la bici nel loro garage e salgo subito a salutarle e a parlare con loro. Dopo mi danno le chiavi dell'appartamento che ho prenotato e che si trova accanto alla loro casa. Ci diamo appuntamento per la cena.

Avevo circa 9 anni quando chiesi a mia mamma come fossi nato e lei mi rispose che aveva scritto una lettera ad un ufficio competente e dopo qualche settimana era arrivato il postino portando un pacco da Palermo e dentro il pacco c'ero io.

Mentre mi aggiro per l'appartamento non riesco quasi ancora a credere di essere arrivato al mio paese; chiamo subito Autilia e dopo faccio una doccia. Il tempo di rimettermi e mi incammino verso la via principale del paese per incontrare i miei amici d'infanzia Giovanni e Salvatore detto Totò. Ci siamo dati appuntamento in Via Roma, soprannominata da tutti noi "a marina", che si trova nella parte storica del paese, così chiamata perché conduce verso il porto e verso i lidi marini. L'incontro è come al solito molto emozionante, con Giovanni abbiamo fatto insieme le scuole elementari e medie mentre con Totò solo le scuole medie. Come capita in queste situazioni, i discorsi toccano vari argomenti, ma il fatto che ci emoziona di più è sempre quello di essersi conosciuti da piccoli, di aver vissuto insieme esperienze molto intense, facendo, come tutti i ragazzini che si rispettano, grandi scemenze, e dopo tanti anni ritrovarsi sessantenni, ma con la stessa voglia di stare insieme che ci legava un tempo. Giovanni è diventato un funzionario dell'INPS; era uno dei più bravi a scuola e il più educato della compagnia anche perché era figlio unico in una famiglia di insegnanti che ci tenevano molto sia allo studio che alle buone maniere. Totò è diventato un impiegato della Provincia. Totò con lo studio non ci andava molto d'accordo, ma poteva contare sul nostro supporto che consisteva nello spiegargli innumerevoli volte le lezioni che si facevano a scuola e durante il compito in classe lanciargli di nascosto dai professori pallottoline di carta con scritto il tema d'italiano o l'espressione di aritmetica. Ma in verità era lui che sapeva più cose di tutti noi, infatti era il nostro maestro di vita e soprattutto di educazione sessuale. È stato lui a spiegarci nei dettagli come nascevano i bambini e soprattutto quello che succedeva quando si decideva di averli. lo all'epoca vivevo nella confusione più totale. Questo aspetto della formazione di un adolescente non era assolutamente preso in considerazione sia dalla scuola e men che meno dalla famiglia. Dovevi scoprire tutto da solo confidando nella sapienza di qualche amico più erudito di te. Avevo circa 9 anni quando chiesi a mia mamma come fossi nato e lei mi rispose che aveva scritto una lettera ad un ufficio competente e dopo qualche settimana era arrivato il postino portando un pacco da Palermo e dentro il pacco c'ero io. In seconda media durante la lezione di scienze, mentre il professore ci diceva che i pulcini nascono dall'uovo covato da una gallina, chiesi quale fosse il ruolo del gallo e la risposta fu:" Castelli, la tua è una domanda maliziosa e non dovrei risponderti, comunque te lo dico lo stesso, il gallo contribuisce". Naturalmente tutti noi, finita la lezione, ci siamo messi a ridere perché fortunatamente avevamo il nostro vero professore, Totò, che ci aveva spiegato tutto. Totò si era sforzato in tutti i modi di creare una compagnia mista di ragazzi e ragazze, ma questo era stato impossibile. Abbiamo vissuto la nostra infanzia e adolescenza relazionandoci esclusivamente tra maschi. Fin da piccoli i giochi erano separati e alle scuole elementari e medie le classi erano maschili e femminili e divise su piani ben distinti e oltretutto a noi maschi era proibito salire la scala interna dell'Istituto che portava al piano superiore dove stavano le femmine. Il mondo femminile ci era pressoché sconosciuto e per poter avere un fugace contatto, dovevamo aspettare la domenica mattina quando in gruppi separati di ragazzini e di ragazzine percorrevamo incessantemente Via Roma avanti e indietro e ci incrociavamo per dirci ciao. Con Giovanni e Totò ci diamo appuntamento per il sabato successivo in modo da trovarci tutti insieme con l'altro pezzo mancante della compagnia, ossia Maurizio e Giuseppe, detto Peppi. Nel tornare verso casa ripenso ancora all'incontro con i miei amici e rifletto che il fatto di essere arrivato in bicicletta da Lecco non ha destato in loro il minimo interesse, probabilmente è una cosa talmente lontana dal loro modo di vivere da non essere neanche presa in considerazione. Anche girando per il paese con la bicicletta mi sembra di fare una cosa strana e lo percepisco dagli sguardi e da certi commenti che stanno tra l'incredulo e l'ironico e quindi anche per questo prendo la decisione: domani andrò ad Agrigento Bassa a mettermi d'accordo con il corriere Zambuto per organizzare la spedizione della bicicletta a Lecco. Ritorno da zia Sara verso sera e qui incontro un'altra delle mie cugine, Nunna. Durante la cena l'unica volta che abbiamo parlato del mio viaggio non è stato per chiedermi qualcosa di quello che ho visto o delle esperienze che ho fatto, ma solo per dirmi: "ma tu, pazzu sì 'a fari 'sti così".