Tratto da
Un anno in Estremo Oriente - dal jet alla biciclettaAutore
Cino GhigiTempo di lettura
7 minutiIn bicicletta - edizione 2024
SOFFRENDO ATTRAVERSO I MARI DELLA SONDA
Difficile entrare in bicicletta in una grande città come Djakarta - Ragionamenti di un “andarino” - Fatalismo nell'attesa di un imbarco - Come una nave passeggeri si può riempire al paridi un uovo - Passatempi in cabina - I condimenti del cuoco di bordo - Sosta ad Amboina nelle Molucche - Intravedo la lontana Nuova Guinea.
IN DJAKARTA DAL 20 AL 28 MARZO.- Un capoluogo di qualche importanza, dov’esso si fosse ha sempre rappresentato nei miei riguardi un punto fermo in cui riordinare le idee, maturare decisioni, rifinire itinerari; un punto di riferimento con quelli di casa; massimamente lo é Djakarta, centro di ogni direzione e di mezzi da prendere. Ed eccomi arrivato nel suo porto Tandjunk Priok, dal quale dista non pochi chilometri, come Padang dal proprio, a doverseli smaltire con le gambe. La rotabile di collegamento dove si svolge un traffico irruente e veloce, ha imposto la massima precauzione al mio veicolo che sentivo più pesante del solito, perciò meno docile; sarà stata la fiacca, complice il caldo di mezzogiorno. La città mi stava sicuramente davanti, ma i bivi si susseguivano privi di segnalazioni, tanto che sono finito in certe stradacce della remota periferia, non senza due ruzzoloni. Lo fa in particolare quando si cammina su due ruote nella mota. A nulla son valsi i gesti e le parole, per la verità improprie, che m'indicassero la via buona; era come se fossero rivolti a ciechi e sordi; nessuno capiva. Ho potuto trarmi fuori da solo dopo avere individuato la zona centrale urbana nell'alto monumento della Merdéka dedicato agli Eroi morti in guerra, "Faro delle Vittorie", divenuto platealmente senza volere anche il mio. Una volta raggiunto, bisognava che gli girassi intorno per trovare una camera decente ma non cara. Ormai nella condizione di pellegrinante parsimonioso obbligato, debbo usare pazienza ed insistere al fine di riuscire a ridurre il costo dei servizi indispensabili, scartando e trattando con la speranza di ottenere l'"optimum", specie quando si tratta di una permanenza di giorni in un luogo. Non si dorme qui per meno di mille rupie, due dollari e mezzo; cosicché quello non pare averlo la sconfinata capitale indonesiana che si sta dilatando come l'olio sul liscio, mal costruita, forse mal collocata distante com’é dal mare, avente i segni della grandezza di là da venire, accanto ad un visibile stato di grigiore collettivo.
In cima ai miei pensieri stavano le notizie da Firenze. La soddisfazione di averle senza indugio, appena ho messo al sicuro il bagaglio in un alberghetto, me la son presa sfidando torrenti d'acqua per raggiungere l'ambasciata italiana scelta come recapito della posta. Hanno scritto Anna e Lucia con lettere del febbraio scorso; quelle di Giulia si dissolvono misteriosamente per strada. Anche nelle vie cittadine la circolazione si svolge rapida e disordinata, con mezzi di massima pesanti ed antiquati. Un rischio permanente sono i velocipedi a tre ruote, detti "betchak” i quali, provenienti da ogni lato, frullano attorno al pedone che non avendo l'ausilio delle strisce e del semaforo, è costretto a scansarli con salti per non sbatterci contro. Eccetto che nel nome, assomigliano ai più deteriori ricsciò orientali, vedi India, Birmania e Cambogia. Di buono hanno che per un nulla ti portano da un suburbio all'altro attraverso l'intera città. Ma io col mio impagabile bi-ruote ne faccio benissimo a meno. In tal modo ho macinato chilometri e chilometri visitando ambasciate, agenzie marittime, negozi; dovevo tratte il maggiore vantaggio possibile di trovarmi in un grande centro che un altro non mi si sarebbe presentato per un pezzo; inoltre mi sono assicurato un posto sulla nave Bengawan che in due settimane dovrebbe raggiungere Diajapura nel West Irian (Nuova Guinea indonesiana), mia prossima meta. Non sarà una crociera tenuto conto della spesa: 26.890 rupie ossia appena 64 dollari USA. Il gran girare in bicicletta all'equatore, mi ha fatto conoscere bene il bagno comune del mio modesto hotel. Fluendo da una cannella, l'acqua cade in una capace vasca da cui una volta riempita, si prende con un recipiente munito di manico e ci si butta addosso; va da sé dopo esserci insaponati a parte, se così vogliamo. È un sistema pratico ed igienico fino ad un certo punto, cioè fino a che qualcuno non vi tuffa le mani o non vi introgola dentro il cha accade facilmente. Quindi chi gli succede deve giovarsi delle sue grazie per la ragione che il liquido dovrebbe rimanere sempre limpido e servire a tutti. Cerco di nutrirmi a dovere, in rapporto, è ovvio al clima caldo-umido dove sono immerso; debbo recuperare le forze che di continuo vado sprecando col moto. Mi vedo un poco dimagrito. Se fossi non più io, ma una ragazza stata bella, direi che essa sarebbe sfiorita. Non può dispiacermi, perché fra l'altro nessuno mi conosce e manca lo spiacevole confronto che la gente non si astiene mai di fare in questi casi. Sto bene, sopporto tutto bene. Avverto di trascorrere un periodo di vita errabonda meravigliosa che non avrei mai immaginato di condurre un giorno, durante la mia oscura esistenza d'impiegato di banca senza ambizioni. Soltanto che mi angustia il sapermi tanto lontano dalle mie donne Giulia ed Anna; Guido invece me lo sento accanto. Nella mente dico loro di aspettarmi, le prime a casa, il secondo nell'aldilà. Lo stato dell'eternità non riesco minimamente a concepirlo malgrado il pensiero costante dell'amato figlio; si deve ai limiti della natura umana. Però il mondo sensibile che ora vedo così, nella sua quintessenza credo che risieda idealmente in questa maniera di trascorrere l'ora terrena, maniera che rapisce ed incanta ad ogni passo, che pone insomma al setti.mo cielo, essendo l'essere sottoposto ad una continua eccitazione di immagini e di sensazioni sempre nuove, gradevoli o no che siano. Vado avanti scrutando anche le minime cose, talvolta purtroppo dolenti, annotando, fotografando, imprimendomi all'interno quello che non posso concretizzare col lapis oppure con la pressione del dito sull'otturatore; mi dispiace che il sonno me ne tolga in parte la possibilità. Quando poso gli occhi dintorno con indifferenza, m'accade talvolta nel nirvana che sto attraversando, duro però a mantenerlo, penso a cose oltre l'orizzonte; non penso affatto, indotto in questo caso a sopportare la fissità del nulla che in apparenza sta sopra di noi: allora attendo che cessi il motivo della sosta dipendente per esempio dallo spontaneo recupero di energie dissoltesi momentaneamente: anelando di uscire dalla condizione che potrebbe essere quella della non esistenza al suo inizio.