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Tratto da

In cammino per la libertà. Diario dal 25 luglio 1943 alla Liberazione

Autore

Furio Aceto

Tempo di lettura

10 minuti

Decennio 2012-2022

Leggi il mio diario
Ultimo atto
Con struggimento consegno lo Stendardo ancora fasciato dalla sua custodia grigioverde. Mi irrigidisco in un ultimo saluto. Un nodo mi stringe alla gola.

Ultimo atto dei "Lancieri di Vittorio Emanuele II"

Oggi si perfeziona uno dei paragrafi della resa. È penoso, durissimo per noi giovani, constatare come molti Ufficiali più anziani non riescano a reagire alla situazione, ne risultino confusi, condizionati, travolti, forse perché ancorati a formule disciplinari ormai superate dagli eventi. Le eccezioni sono rare. Il mio Comandante sembra l'ombra di se stesso. Certo il trauma è più sentito da chi ha maggiore età e lunga consuetudine con avvenimenti ordinati in situazioni belliche con un minimo di organizzazione. Questo sembra valere anche per chi ha partecipato a diverse guerre. In mattinata, con la nostra breve autocolonna di moto, mimetiche e di quattro autocarri, seguendo la via Tiburtina raggiungiamo Roma e ci portiamo a Castel Sant'Angelo per l'ultima resa degli onori allo Stendardo. Appiedati, assumiamo la formazione di schieramento; io ne percorro la fronte reggendo fieramente il "mio" Stendardo. Una commozione profonda trasforma il volto di tutti i presenti al nostro passaggio; entrato nella fortezza con il Comandante e la scorta regolamentare, salgo le lunghe scale, fino all'ufficio del Curatore del Museo. Con struggimento consegno lo Stendardo ancora fasciato dalla sua custodia grigioverde. Mi irrigidisco in un ultimo saluto. Un nodo mi stringe alla gola. È come se in pochi giorni dovessi vivere tanti anni d'esistenza. Mi ritrovo ora vuoto, sfiduciato, incapace di reagire, veramente disperato. Uscendo lentamente da Castel Sant'Angelo, dietro al mio Comandante, mi assale il ricordo di un momento completamente diverso: quando, con molta fierezza, ero uscito dalla caserma di Pordenone con lo Stendardo spiegato al vento. Ero tanto compreso dalla mia funzione da non avvedermi neppure di Vittorina, sposata da quindici giorni, venuta ad applaudire. Lei ne era rimasta particolarmente delusa; ma poi mi aveva detto che vedendomi un tutt'uno con lo Stendardo, ne aveva improvvisamente capito il significato profondo. Ora, davanti al castello, tutti noi che abbiamo partecipato a questa mesta cerimonia ci salutiamo prima di separarci, poiché ognuno andrà ad alloggiare dove ha scelto, e il comando di Reggimento, fino a nuovo ordine, manterrà il suo recapito presso l'albergo Massimo d'Azeglio. Mi commuove in particolare come mi salutano i pochi Sottufficiali e lancieri rimasti, che ci accompagnano con gli automezzi al domicilio eletto. Le preoccupazioni e l'angoscia del momento rendono tanto penoso questo saluto: volti tesi, voci roche. Ora veramente il Reggimento non esiste più, è sciolto quel meraviglioso corpo che ci riempiva dì orgoglio. Tanti cari amici, superiori e colleghi, svaniscono nel nulla; chissà se ci incontreremo ancora. Nessuno può prevedere in questo momento quale sorte ci attenda.

E Vittorina mi racconta come è giunta in salvo, superando le maglie della difesa italiana ormai impegnate dai tedeschi.

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Con ansia indicibile raggiungo via Nicolò V. L'incontro con mia moglie è molto commovente, sono emozionato, addirittura incosciente e felice. Dopo il primo abbraccio, le chiedo di lei, e le paleso il mio rammarico per la perdita di parte del nostro bagaglio; rimpiango in particolare le sue lettere ed i suoi quadri, che mi erano tanti cari anche perché dipinti nell'attesa dei miei ritorni. Tanti ricordi che costituivano un legame ideale con quella giovinezza che l'8 settembre si è portata via! Lei mi consola, sorridendo tra le lacrime, e mi dice: «Lo sapevo, lo sapevo. Avevo offerto al Signore tutto ciò che avevamo. Purché tu tornassi! Pregavo sulla tomba di San Pietro. Mi è sembrato che, perdendo le nostre poche cose, almeno la tua vita fosse risparmiata. Dio mi ha esaudito!». Risulta poi salvo, per fortuna, il regalo ricevuto per il nostro matrimonio: il "piatto del Reggimento", pur recante una piccola sbrecciatura nell'orlo causata da un frammento di granata. Nella valigia e nelle due cassette militari risultano ormai pochi oggetti utili, il resto è andato perduto. E Vittorina mi racconta come è giunta in salvo, superando le maglie della difesa italiana ormai impegnate dai tedeschi. Il mattino del 9 settembre, verso le sette, aveva appreso dal mio attendente, trafelato e piangente, della imminente partenza per ignota destinazione. A lui aveva affidato i nostri bagagli personali, caricati infatti sull'ultimo mezzo della autocolonna Servizi, comandata dal Magg. Costantino Gropallo. Poco dopo aveva sentito le prima cannonate tedesche, ed assistito alla fuga della popolazione verso le "grotte", con candele, fagotti e grosse "ruote" di pane. Nessuno la invitò a seguirli. E così lei si era ritrovata con una famiglia di sfollati, sulla strada del lago. Ma il Capitano d'Aviazione di Vigna di Valle, previdente e generoso, si era offerto di trasportarli fino a Roma con la sua autocolonna. La famiglia aveva preferito salire sull'autoambulanza, mentre lei era entrata in un furgoncino, ove giacevano una coppia di tacchini e numerose galline con le zampe malamente legate. L'agitata compagnia dei pennuti le avevano reso il viaggio difficile, per la gran paura di venire beccata. Però così s'era distratta dall'eco dei combattimenti in corso.  Il viaggio verso Roma era stato assai rallentato dalle difficoltà incontrate dall'autocolonna, di oltre trenta mezzi, nell'attraversare gli sbarramenti stradali italiani, mentre ormai erano in corso i combattimenti contro i corazzati germanici. Infatti, all'alba il nemico aveva attaccato le nostre posizioni alla Storta, Manziana e Monterosi e sul rovescio poco più tardi, lo stesso idroporto di Vigna di Valle. La mia cara era giunta a Roma stressata dalla starnazzante compagnia. Incosciente, come lei stessa si definiva, era sbarcata, pallida e tremante, alla casa dei Cuniberti, suscitando commozione ed ammirazione per il suo... coraggio. Poi era cominciata "l'attesa", priva di notizie attendibili, ossessionata dalla sua ansia e da quella dei circostanti, coinvolti dallo sfacelo e turbati dalla speranza per le notizie dei primi favorevoli combattimenti, ma poi amaramente delusi dalla ritirata dei nostri. Il 14 settembre, due miei lancieri, e poi il fedele Serg. Magg. Rebizzani, le avevano portato notizie mie; ma avevano comunicato anche la resa della Brigata, e i dubbi sulla sorte dei loro Ufficiali. Così la pena di mia moglie era cresciuta perché  i  visitatori  apparivano  abbattuti  e  sconsolati,  nonostante  le  mie raccomandazioni in merito. Non facevano risaltare l'importanza delle clausole favorevoli da noi ottenute, quali l'onore delle armi, la concessione di rimanere in uniforme e armati e la promessa di lasciarci raggiungere Roma appena consolidata la tregua. Per fortuna queste ultime notizie erano state confermate la sera prima, per mezzo del telefono, dal gentile Comm. Guidelli.

Dormiamo in gran parte per terra, ma nessuno se ne duole, poiché l'essere vivi, in una casa amica, è già un immenso conforto.

A Roma, in casa Cuniberti

I nostri ospiti, ai quali andrà sempre la nostra più viva gratitudine, sono il geometra Domizio Cuniberti e sua moglie Rita Delleani, piemontesi trapiantati a Roma per motivi di lavoro, ferventi monarchici e in precedenza di sentimenti fascisti. Si rivelano subito amici veramente preziosi e dividono fraternamente con noi la loro casa e i pochi viveri. Comprendono tutta l'enormità dei mali provocati da Mussolini nella sua intesa con i nazisti. Entrambi si prodigano nell'aiutare anche altri Ufficiali rimasti "sbandati" come me. La moglie, "Taburett", come la chiama scherzosamente e teneramente il marito, è una donna forte e ricca di sensibilità, e riesce a compiere miracoli nei confronti degli otto ospiti rifugiati in casa sua: tre Ufficiali più anziani di me con le mogli, degnissime persone. L'aiuta una giovane cameriera di Frabosa, che si è subito affezionata alla mia cara. Dormiamo in gran parte per terra, ma nessuno se ne duole, poiché l'essere vivi, in una casa amica, è già un immenso conforto. Il 20 settembre i giornali e la radio estendono l'invito rivolto dal Maresciallo Graziani a tutti gli Ufficiali perché sì concentrino il giorno 25 nel teatro Adriano per comunicazioni urgenti, "intese a un estremo tentativo di salvare la patria". Conosciamo i sentimenti fascisti di Graziani e il suo antagonismo verso Badoglio, e sappiamo che ciò lo ispira a porsi in vista nel campo avverso, qualunque esso sia! È estremamente difficile valutare se le sue azioni siano dettate da un barlume di buona fede. Ci consultiamo coralmente: Vittorina è contraria, e dello stesso parere sono altri ospiti. Nessuno vuole esporsi per timore della cattura, e così... decidiamo di ascoltare il discorso alla radio. Malgrado il preambolo enfatico, alcuni frasi ci influenzerebbero in favore della tesi del Maresciallo, ma gli insulti alla Maestà del Re ci indignano, e appare chiaro lo sporco gioco di colui che indicheremo ormai come un traditore. Intanto nella capitale la situazione peggiora: pattuglie tedesche dappertutto, ripetuti inviti alla radio rivolte agli Ufficiali perché si presentino, ribadendo la minaccia di condanna a morte per chi si allontana da Roma. Purtroppo quest'ultima era una delle clausole accettate dai nostri capi all'atto di resa. Con viva commozione ricevo una lettera di mia madre tramite il figliolo di un albergatore, che da Cuneo ha raggiunto la famiglia. Apprendo così finalmente notizie della buona salute di una parte dei miei cari, e in particolare del mio fratello maggiore. Ezio, insieme a numerosi altri ufficiali e soldati non intenzionati a cedere le armi al nemico, si è rifugiato sulla Bisalta: è iniziata a Boves la Resistenza piemontese! Il mio pensiero vola ai luoghi della mia adolescenza, alle montagne amate, meta nelle vacanze di gite ed escursioni, e sento acuta la nostalgia dell'aria di casa. Mi si prospetta anche la convenienza a tentare il passaggio delle linee per riprendere servizio nell'Esercito al sud, ma mia moglie si batte per il ritorno al nord. E con il Geometra Cuniberti esaminiamo la situazione e decidiamo di tornare in Piemonte finche i treni partono.