Tratto da
In nome del popolo italianoAutore
Claudio FoschiniTempo di lettura
18 minutiPremio Lucia
Era il giorno 30/7 del 1949 alle ore dodici fra le baracche del rione Mandrione Acquedotto Felice nascevo io in qualche modo anchio avevo come gesù il bue e lasinello il bue una puttana del vicino Mandrione e lasinello, Agostino un ladro, regnava un clima di solidarietà fra i baraccati e così al di fuori della propria abitazione (Baracca) non interessava a nessuno cosa facesse l’altro, e così fra puttane, ladri e operai, come mio padre, (ad essere il più fortunato aveva un lavoro di prestigio fra i poveri) lavorava all’Unità un giornale di sinistra, vendeva i quotidiani alla stazione Termini io ero il 4 figlio di una famiglia stupenda dove si toccava con mano l’amore che regnava in quella umile baracca si tirava avanti alla meglio e ci si arrangiava, i soldi che portava mio padre a casa erano poca cosa e a volte non bastavano per assicurare alla famiglia un piccolo pasto, e siccome in quel periodo regnava l’arrangiarsi dove tutto era lecito (per noi affa- mati) fino all’età di 2 anni sono stato al buio perché mia madre si era infilata in vagina i ferri della maglia per abortire e non avermi, quel periodo non consentiva ad una coppia che si amava di tirare avanti una famiglia anche così piccola e a provato ad abortire, ma tutto questo non è servito a niente e a questo punto mia madre ha preso una decisione non ha fatto più niente per perdere la creatura che aveva in grembo e per assicurare la mia nascita e un pasto decoroso per tutta la famiglia scelse di fare la scarpara (in gergo sarebbe la ladra di portafogli) e cominciò a praticare il suo mestiere per non cadere facile preda della fame nella prostituzione (cosa ancora oggi in voga in tutto il mondo) 
alla mia nascita oltre al problema della fame si era aggiunto il problema che rimanessi cieco a vita quindi disperazione su disperazione, mia madre mentre mio papà (è un vezzeggiativo che ho sempre adoperato nei confronti di mio padre e mia madre per rispetto e tanto amore nei loro confronti) continuava a vendere giornali dalla mattina alle 5 alla sera alle 11 mentre mia madre si arrangiava negli autobus di Roma a rubare portafogli, e a passare intere giornate con me in braccio nella sala attesa del professor Strambelli che mi aveva preso a cuore per farmi tornare la vista
all’età di 2 anni e 3 mesi riacquistai la vista non per un miracolo ma per il sapiente e costante e determinante lavoro del professor Strambelli, e negli anni a venire gli è stato riconosciuto ogni suo merito, non posso descrivere i primi momenti di vista della vita perché in me c’era solo confusione ricordo solo vagamente il via vai degli altri baraccati e gente che non ho mai conosciuto per vedere il miracolo, nel frattempo mia madre non aveva perso fiducia e mi ritrovai una sorellina di un anno al mio primo affacciarmi nella vita e credo che questo sia stato il regalo più bello che i miei adorati Genitori potevano farmi, dopo un pò la vita tornò normale il miracolo ormai era passato e mio padre non smise mai di lavorare e in qualche modo ci fù un avanzamento per mio padre nel frattempo naque un nuovo giornale legato all’Unità il Paese Sera quindi a mio padre fecero vendere anche quel giornale, ma non migliorò niente nella nostra piccola famiglia nel frattempo la vita costava sempre di più ed è per questo che mia madre (figlia di una famiglia decorosa di Penne - Pescara dove era imparentata con Gabriele D’Annunzio alla lontana) riprese a fare il suo mestiere, io ero il piccolo complice di mia madre e capivo al volo quando mia madre diceva a me e mia sorella più piccola «oggi mamma vi porta in giro per Roma» già sapevo tutta la trafila e da una parte ero orgoglioso di mia madre una bellissima donna era un pò vanitosa, prima di uscire di casa si metteva un pò di rossetto e io ero tremendamente geloso di lei, per me solo il mio babbo aveva il diritto di avvicinarla, prima di uscire da casa metteva sempre un semplice orologio che mio padre gli aveva regalato con tanti sacrifici e per lei oltre ad amare la sua famiglia era la cosa più bella che avesse, uscivamo di casa e cominciavamo a prendere gli autobus, quello che mi viene più ricorrente era la linea 64 che attraversava il centro di Roma, mia madre con in braccio mia sorellina Franca ed io attaccato alla sua gonna, quando riusciva a prendere un portafoglio me lo passava a me che me lo nascondevo addosso, un giorno mentre mia madre era seduta (dopo che avevamo preso un portafoglio) visto che molti uomini si fermavano a guardarla e a fare allusioni sulla sua avenenza fui colto come da un Raptus chiesi a lei un fazoletto lo inumidii (come avevo visto lei fare mentre si toglieva il rossetto) e glielo passai sulle labra inveendo verso chi la stava guardando strillando è mia madre e lei orgogliosa di me mi prese tra le braccia e mi strinse, mi riempì di bacioni e tutto questo servì a farmi calmare, un giorno (sempre nell’autobus 64) mentre mia madre con mia sorella in braccio e me che la tenevo per la gonna dopo aver passato gran parte della mattina a sogniare davanti alle vetrine di via Tuscolana e piazza San Giovanni fra vestiti giocattoli e leccornie a S. Giovanni presimo il primo autobus sempre allo stesso modo per arrivare alla stazione o lì vicino per prendere quel famoso 64 dove salimmo verso piazza Venezia successe l’irriparabile, mentre mia madre era intenta a sfilare un portafogli io sempre attaccato alle sue gonne, un signore gli si attaccò dietro e mia madre non poteva dire niente per non essere scoperta, questa specie di signore ben vestito cominciò ad appoggiare la sua mano nel posteriore di mia madre, a quella vista cominciai ad inveire nei confronti del signore ben vestito tirando calci e strillando questo porco sta’ toccando il culo di mia madre, a quel punto mia madre si trovava con metà portafoglio fuori la gente era tutta girata dalla mia parte e in qualche modo riuscii a capire cosa stava succedendo fermarono lautobus e chiamarono le guardie e ci portarono me mia madre e mia sorella il padrone del portafogli e il signore che insidiava mia madre a via Genova la questura di Roma, ognuno spiegava l’accaduto nella sua versione il propietario del portafogli disse di avere il portafogli fuori a metà e che però forse gli era uscito un pò fuori per il trambusto (e intanto a me strizzava l’occhio) mia madre cadde dalle nuvole dicendo che non sapeva il perché io strillassi visto che lei non aveva sentito nulla io confermai le parole di mia madre perché così mi era stato insegnato dalla vita e anche quel signore se la cavò senza nulla di fatto, ma una cosa grave successe, mia madre era stata presa sotto occhio dalla questura come borseggiatrice ma in quel momento forse per il danno scampato non ce ne accorgemmo uscimmo dalla questura e a piedi continuammo i nostri sogni attraverso le vetrine, io orgoglioso per aver protetto mia madre da un potenziale bruto, mia madre per il pericolo scampato per l’arresto e l’orgoglio di avere un figlio che in qualche modo l’amasse e la protegesse e continuammo la nostra escursione per le vetrine con i cuori gonfi di sogni e progetti nel cammino verso la nostra stupenda Baracca che nel frattempo nei tempi passati mio padre di domenica con i miei zii e amici avevano costruito al Borghetto del Travertino mi ricordo che era stupenda con un piccolo giardino dove la domenica nei giorni di sole mia madre metteva una tinozza e con dei semplici asciugamani ricavati da lenzuola fuori uso, per noi era un pò sentirsi al mare ci tuffavamo e ci grondavamo al sole e mia madre e mio padre lì a guardarci soddisfatti a bearsi dei loro gioielli, io un giorno un pò per curiosità un pò per stupidità dopo aver visto dove mia madre teneva i soldi e l’orologio presi un foglio non sapevo cosa fosse e il famoso orologio e uscii di casa nel frattempo passava un poveraccio con la bicicletta che vendeva le fusaje (lupini) andai da lui dopo aver aperto il cancello e gli diedi quel foglio e mi dette poche fusaje tornai nel giardino presi un martello e cominciai a batterci sopra per vedere cosa contenesse non capivo perché mia madre ci fosse tanto attaccata senza meno secondo me doveva custodire un segreto, mentre ero lì a mangiare fusaje e battere con il martello sopra l’orologio entrò mia madre e visto che mentre facevo questo danno mangiavo fusaje corse dentro casa e guardò i soldi li contò e vide che mancava un grosso foglio di soldi corse fuori mi prese in braccio e andò dall’uomo che vendeva fusaje e gli chiese i soldi indietro e alle grida di mia madre corse fuori tutto il vicinato a quel punto il venditore diede indietro i soldi a mia madre e scappò via, mia madre ritornò a casa e fra le lacrime mi chiese perché avevo rotto il suo orologio io candidamente gli spiegai la mia curiosità e la sera quando venì mio padre mi portò in una camera con tutti i miei fratelli e ci disse che non si tocca niente che non è di nostra proprietà io non capivo perché ero complice di mia madre e lei mi spiegò che lo faceva solo per i tempi che correvano e anche lei era contraria, ma io non recepivo questo problema il tutto finì con 2 giorni di punizione senza uscire di casa e mia madre lì con me che mi spiegava tutto della vita e il perché lei avesse scelto di rubare nel frattempo lei era sempre incinta e non capivo il motivo lo faceva per evitare gli arresti, per non farci staccare la corrente e via dicendo, perché chi era incinta non potevano arrestarla e non potevano staccargli la corrente. 
Poi sù noi baraccati si scatenò una strana e crudele legge a noi incomprensibile, tutte le famiglie con più prole e non benestanti dovevano mettere i figli nei collegi sovvenzionati dal comune dove era assicurato un posto a pranzo e cena e una casa al coperto, cominciò l’andirivieni degli assistenti sociali venivano a colpo sicuro perché avevano gli stati di famiglia e i miei genitori non potevano nasconderci, così cominciò il mio allontanamento dalla famiglia e da tutto il mondo esterno, cominciava così la mia triste vita in un giorno nero pieno d’acqua e che forse il dolore faceva sembrare tutto più cupo 
ho ancora d’avanti agli occhi il dolore dei miei genitori e di tutto il vicinato nel frattempo per loro ero Palletta un bambino biondo e molto vivace, che scorazzava per il borghetto con cinque sei amici andavamo davanti ai negozi di via Tuscolana che avevano la loro merce esposta correvamo (e rubavamo fuori i negozi generi alimentari e vestiario, un giorno a mia sorellina feci un bellissimo regalo un paio di scarpe lucide come le bambole, ma non mi accorsi che erano 2 destre) e quando mia madre mi chiese dove le avevo prese gli dissi che me le ha regalato una signora, ma non si convinse, poi un giorno (avevo 5 o 6 anni) con gli altri amici decidemmo che ormai dovevamo prendere i soldi, così mettemmo in porto una nostra idea si trattava di questo, mentre entravamo nei negozi pieni di gente, gridavamo inni della Roma e nella confusione uno di noi (a Rotativa ogni negozio che giravamo) si accucciava dietro il bancone facilitati dai banconi di legno ho di marmo sempre con i cassetti aperti, e piano piano senza farci vedere all’ungavamo la mano al cassetto e prendevamo i soldi mentre tutti gli altri continuavano a cantare gli inni della Roma quindi in quella confusione il proprietario non si accorgeva di chi era dietro il banco accucciato così doppo aver agguantato il possibile (senza essere visti dal padrone) e poi scappavamo dal negozio fra lo stupore della gente che non si rendeva conto di ciò che stava succedendo, ma con la mia famosa sfortuna un giorno che toccava a me l’agguanto, dovevamo farlo in una macelleria che già avevamo visitato giorni dietro perché già avevamo visitato tutti i negozi della zona, e quindi siamo capitati lì in un negozio di via Cave cominciamo con la solita solfà gli inni io mi accuccio dietro il banco e allungo la mano arrivo al cassetto e mentre stò agguantando i soldi sento tutt’untratto il cassetto chiudersi con la mia mano dentro e il padrone grande e grosso che mi si avventa addosso, il figlio alto come me grasso e con una faccia da maiale al chè mi metto a gridare verso il negoziante, di portarmi dalle guardie, mentre i miei amici scappavano lui con faccia bonacciona mi rispose cosa ti porto a fare dalle guardie visto che dopo ti mandano a casa (avevo all’incirca 5 anni) mi portò nella cella frigorifera e mentre suo figlio rideva e mi faceva i sberleffi dall’altra parte della cella frigorifera, lui mi riempiva di botte nel frattempo i miei amici andarono a chiamare mia madre che venne al negozio con parecchie amiche del borghetto, nel frattempo aveva smesso di picchiarmi e mi buttò fuori dal negozio sul marciapiede tutto nero e gonfio, in quel momento arrivò mia madre vedendomi in quelle condizioni si mise a piangere mi prese in braccio e capì cosa avevo combinato si scaglio con tutte a presso nel negozio e disse al negoziante noi siamo povera gente che tira avanti come può ma non ci siamo mai permessi di mettere le mani addosso ai ragazzini, si mise le mani nel petto e cacciò fuori qualche foglio di carta in denaro e lo scagliò in faccia al negoziante gli strillò sei un miserabile e piena di lacrime mi portò a casa, aspettò che mi guarissi e dopo qualche giorno sia lei che il mio babbo mi chiamarono in camera e mi fecero la romanzina, mi dissero di cambiare i miei punti di vista perché sennò sarei peggiorato e come tutte le cose belle finì anche per me un periodo bellissimo della mia vita 
mi ritrovai in collegio con mio fratello più grande lontano dalla mia famiglia e da tutti i miei cari amici e gente amica del borghetto, con leducazione che avevo per me era difficile ambientarmi anche se lì con me c’erano tanti amichetti miei del borghetto e cominciò così il mio isolamento dal carcere la mia vita fatta di colloqui, aria, ricreazione, cose che ancora oggi a quasi 40 anni da quegli avvenimenti mi porto dietro, e sempre colloqui, aria, oggi non si chiama più ricreazione ma socialità, tutto questo scombussolò la mia vita al punto che mi chiusi in me stesso e cominciò ad uscire in me tutto lo spirito ribelle, un giorno mentre la suora faceva lezioni (ci trovavamo nel periodo delle elezioni) la suora chiedeva a tutti i bambini il padre di che partito era e tutti indistintamente rispondevano (era un collegio di suore tedesche a Rocca di Papa vicino Roma) mio padre è della democrazia Cristiana, qualcuno addirittura diceva che il padre era tesserato anche i miei amici del borghetto dei quali i padri erano iscritti alle sezioni del Pci come mio padre e questo non l’accettavo, perché fin da bambino non ho mai ritenuto giusto che una persona come tale debba nascondere i propri sentimenti e quando la suora arrivò da me e mi chiese di che partito era mio padre per me fu spontaneo dire mio padre è Comunista e lavora all’Unità noi a casa come me siamo tutti comunisti a queste mie parole fu sospesa la lezione (non capisco che lezione fosse) e mi portarono dalla suora superiore che si trovava nel suo studio dietro un enorme scrivania, in quel momento non vidi in lei un ben minimo segno che mi confermasse che fosse donna una faccia scavata uguale a tanti muratori della mia borgata forse in quel momento è stata una considerazione troppo blanda perché i muratori del mio borghetto erano più belli e non avevano quel ghigno satanico che aveva lei (o lui) e mi chiese dopo che aveva parlato con la suora mia insegnante, se realmente ero comunista e se la mia famiglia lo fosse io senza parlare con una faccia di sfida feci si con la testa a quel mio segno si alzo dalla scrivania e mi venne vicino e mi disse, ma tu lo sai che i comunisti si mangiano i bambini e fanno loro tante schifezze e mi mollo quattro o cinque ceffoni, io in lacrime tornai nella camerata mentre tutti gli altri mi chiesero cosa fosse successo io risposi niente, ma voi spiegatemi perché avete negato che vostro padre era comunista? siete dei falsi, bugiardi, e tutto questo servi solo a farmi chiudere di più in me stesso.