Autore
Saverio TutinoAnno
1944 -1947Luogo
MilanoTempo di lettura
3 minuti[...] Cerco sempre di sviscerare le cause

3 maggio
Tre giorni abbiamo combattuto, e bene; - Poi la tregua, gli accordi – Oggi L’entrata a Ivrea. Abbracci, festa. Vita di caserma. Come è finito presto in un bagno forse troppo tiepido, tutto in nostro sfogo generoso, dopo tanta lotta.
8 maggio
Dopo 20 mesi ho rivisto la mia casa, i miei, gli amici. Ci credo, perché molte cose sono difficili [...] davanti a noi.
 
14 maggio
Quello che ci appare più grave è il doverci lasciare – da compagno a compagno di una lotta severa e dolce al tempo stesso – e subito ce ne mostriamo costernati addirittura. Siamo commossi: il risultato ci pare enorme, ci stupisce perfino. Siamo capaci di un'emozione simile al nodo alla gola dei bambini, tanto siamo cambiati in quel mondo che ci siamo fatti da noi, senza accorgercene. Ricordo la severità di certe riunioni del comando, in una casa qualunque, per scegliere altri quadri, sviluppare quelli già esistenti: un atto creativo, specchio di una morale, la scelta, l'eliminazione successiva, le cure necessarie, tutto si svolgeva in quell'atmosfera nitida di innocenza. Chiedevamo al destino lotta e sacrificio, e chiedavamo anche l'onestà, senza paura di fingere. Da questa atmosfera si sono creati degli uomini che dicono – loro stessi – di sentirsi maturi, temprati nello spirito. Ho già sentito ripetere da tre o quattro, questa frase: "... io mi sono fatto una coscienza..." Dirlo così, - semplicemente – senza che nessuno li interpellasse, senza tono da intervista, ma solo coll'esigenza di sincerità e di apertura che ha l'annuncio di una cosa lieta, è la prova più bella della verità. Così come quel pianto: il primo giorno di festa, per noi, - passando col camion attraverso il "nostro" paese – mentre ci buttavano fiori dalle finestre, dalla strada e tutti gridavano e applaudivano pieni di entusiasmo, stavo ridendo e forse gridavo anch'io, quando mi volsi e vidi Lalli e Fanfulla, fermi, stretti l'uno all'altro sul sedile, che piangevano e subito anch'io mi misi a piangere.La cosa più grave è proprio quella del doverci lasciare: Bologna, Torino, Milano ci divideranno. Siamo tutti giovani sui vent'anni: dai diciannove ai ventidue, ventitré – Ci pare strano che qualcuno, forse, non ci prenda sul serio completamente. Non tutti capiscono come rende l'uomo serio e maturo, il vedere altri giovani morti e straziati, il combattere contro tutte le avversità, fisicamente, si, ma sostenuti dalla ragione; il giudicare della vita o della morte di altri uomini colpevoli di delitti; non tutti lo possono capire subito. E noi abbiamo una grande paura: quella di affogare di nuovo nelle banalità di prima. Per questo ho detto: la cosa più grave è proprio quella del doverci lasciare.