Autore
Brandon Michael Cleverly BreenAnno
2022 -2022Luogo
Stati Uniti d'AmericaTempo di lettura
5 minutiCronache di un padovano insolito
Una volta Mattia mi chiese di sposarlo. Be’, non andò proprio così, lasciate che ve lo racconti. Studiavo a tempo pieno, lavoravo a tempo parziale in un ufficio a Venezia e in più avevo anche un lavoretto in un sex club a Padova come barista. Direi che facevo quest’ultimo lavoro per “arrotondare” sembra banale perché avevo davvero bisogno di quei soldi in più, ma con il permesso di soggiorno per motivi di studio non potevo lavorare (legalmente, intendiamoci) più di venti ore alla settimana. Spiegavo tutto questo a Mattia, che dovevo rinnovare di anno in anno il permesso di soggiorno, la tessera sanitaria, pagare i contributi, essere sempre in regola, non potevo lavorare troppo ma dovevo mantenermi da solo. Tutto sommato, gli avevo messo di fronte a tutta una serie di cose che lui non aveva mai considerato in vita sua in quanto italiano nato e cresciuto qui da genitori italiani. Non si è mai posto certi problemi. Non mi ricordo le parole esatte con cui me lo disse, ma andò così: “Studi, lavori in un ufficio, lavori anche in un sex club. Tutto questo per mantenerti e non dovresti. Ti sposerei”. E intendeva ovviamente che voleva darmi la cittadinanza, che avrebbe risolto un sacco dei miei problemi. Pensavo che a prescindere l’amore fosse escluso ai gay. Tecnicamente quello che potevamo fare non era sposarci, ma formare un’unione civile. La legge finalmente ce lo consente. A proposito, odio quando ci sono le elezioni per due motivi. Il primo è abbastanza semplice: non posso votare quindi devo sperare che gli altri facciano i miei interessi. Poi, per quanto io possa amare il Veneto, ammetto che ha i suoi fallimenti. Diciamo che la politica dell’uomo comune non include una persona come me. Una persona con il permesso di soggiorno, seppure di pelle chiara. Un uomo che ami gli uomini. La mentalità veneta non è apertissima, per dirla banalmente. Cominciano ad apparire i cartelloni stradali, le pubblicità sugli autobus, i poster attaccati ovunque. Vogliamo un Veneto basato sui valori tradizionali, sulla famiglia tradizionale! Vota Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia se vuoi fermare la migrazione clandestina che minaccia la nostra cultura! Siamo l’unica partita che combatte per il tuo diritto di essere italiano e di avere una famiglia! La famiglia è composta di madre e padre, non di genitore uno e genitore due! Se mio figlio mi dicesse di essere gay lo manderei al rogo. Ci sono gli applausi. E poi vincono.
Bostòn (PD)
Quando vado fuori dal Veneto e parlo, tutti mi beccano subito: “Ma non sei di queste parti, vero? Eh, guarda, qui abbiamo un veneto”. Poi si mettono a ripetere qualche parola che ho appena detto cercando di replicare il mio accento che per loro è strano. Invece, mentre sono in Veneto, ricevo pareri discordanti sul mio accento. Se rimaniamo all’interno dell’Italia: sei bergamasco? Di Bolzano? Oppure se varchiamo i confini: non sarai mica svizzero, tedesco, svedese, inglese, irlandese? Una volta giuro che qualcuno mi ha dato del brasiliano. Mi fa ridere che fuori dal Veneto c’è un’opinione unanime (è palese che tu sia veneto) mentre i veneti stessi che magari hanno un orecchio più attento alle sottigliezze degli accenti della regione, quasi si offendono quando ripeto che tutti mi danno sempre del veneto o almeno si mostrano increduli quando ripeto che tutti mi danno sempre del veneto. Però non tutti i veneti capiscono che non sono uno di loro. Una storia che ormai tra i miei amici è diventata leggenda è quella della bibliotecaria. Avevo prenotato un libro, se non ricordo male era l’ultimo giallo di Alessia Gazzola, e la biblioteca di quartiere mi chiamò per avvisarmi che era arrivato. Quando andai a ritirarlo la bibliotecaria mi chiese il cognome e glielo dissi: “Breen”. Su uno scaffale dietro la scrivania del banco informazioni c’era tutta una serie di libri prenotati e ognuno avevo un bigliettino dentro con il cognome e il nome della persona che l’aveva richiesto. La signora scorse tutti i libri sullo scaffale da sinistra a destra, e poi di nuovo da destra a sinistra. “Mi ripete il cognome?” “Breen”, pronunciandolo prima bene (Brin) e poi facendo attenzione a come si scrive (Breen) e, come se non bastasse, Bologna Rimini Empoli Empoli Napoli. Un copione che recito senza neanche pensare. La signora guardò di nuovo lo scaffale. Niente. “Ma è sicuro di non avere altri cognomi?” Sì, non ho nessun altro cognome.  Guardò di nuovo e di nuovo niente. Ormai a ’sto punto avevo visto il mio libro sullo scaffale perciò lo indicai alla bibliotecaria che lo prese e guardò il bigliettino che stava tra le sue pagine. “Ma se mi ha detto che non ha altri cognomi!” “Infatti, non ne ho.” “Ma qui c’è scritto Brandòn!”