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Autore

Brandon Michael Cleverly Breen

Anno

2022 -2022

Luogo

Stati Uniti d'America

Tempo di lettura

7 minuti

Cronache di un padovano insolito

Mi chiese da dove venisse A e gli risposi che veniva dal Gambia. “Ma è nero? No, questo non va bene.”

Qualsiasi persona che abbia mai dovuto richiedere il permesso di soggiorno, iscriversi al sistema sanitario nazionale, regolarizzare la residenza in Italia, e fare le mille altre cose che queste pratiche comportano potrebbe raccontarvi delle ipocrisie burocratiche, della precarietà della situazione dei migranti, del razzismo nelle questure. Io non sono qui per fare questo. Il mio scopo non è creare un elenco di disgrazie e problemi e biasimare lo stato italiano. Non che non sia importante fare anche questo, fare un lavoro di tipo politico, ma sono qui per raccontarvi la mia storia e quelle parti della storia che ritengo mi abbiano più formato, abbiano più avuto un impatto sulla mia vita. Poi diciamocela tutta, sono anche un immigrato privilegiato, con un passaporto statunitense, con la pelle bianca: due cose che senz’altro alleggeriscono il peso dell’immigrazione. Mi piace sempre istigare le persone a dire quello che intendono. Per esempio: “Fa’ attenzione alla stazione di sera, è piena di extracomunitari”. “Perfetto, anche io sono extracomunitario, non vedo il problema. Anzi.” “Ah ma non intendevo te, naturalmente.” Naturalmente. Allora dillo con le parole, non sono gli extracomunitari quelli che odi o che ti spaventano, sono un certo tipo di persona, magari con la pelle nera, che parla un italiano a volte con un accento strano. Una volta, anni fa, sempre a Padova, mi trovavo in casa in una situazione che non sopportavo più e allora mi misi a cercare un’altra casa con il mio amico Giorgio, di cui vi parlavo sopra e che è di origine siciliana. Avevamo già individuato la casa ma le stanze erano tre. Per il terzo coinquilino trovammo un ragazzo su Facebook, simpatico, facemmo due chiacchiere e sembrava che tutti e tre andassimo d’accordo. Uno dei giorni successivi dovevamo andare insieme, io e questo ragazzo, A – che non nomino per motivi di privacy – a vedere la casa così lui poteva decidere se trasferirsi là insieme a noi. Arrivai prima io, il proprietario c’era già. Mi chiese da dove venisse A e gli risposi che veniva dal Gambia. “Ma è nero? No, questo non va bene.” Se non vuole affittare ai neri allora dovevamo avvisarla che siamo anche froci e terroni, scrisse Giorgio al proprietario qualche giorno dopo. Volevamo cercare un ricorso legale, ma era più pressante la situazione della casa – entro pochi giorni ne sarei stato senza – e l’agenzia immobiliare stava dalla parte del proprietario di casa, il quale era pien de schei e minacciava di fare causa a noi se dovessimo smerdare il suo nome. Cosa potevano fare due immigrati senza fissa dimora e senza soldi e un ragazzo padovano di fronte a un problema sistemico così grosso e prevalente? Quella sera, pur di non dormire in un campo, sono entrato di nascosto in una casa. Per fortuna il giorno dopo riuscii a trovare un nuovo appartamento – qualsiasi – l’unica esigenza che avevo era di non rimanere per strada. Una volta in palestra stavo parlando con qualcuno che vedevo di frequente. Avevamo già fatto lo scambio di battute che voglio stampare su un biglietto. Dopo i soliti convenevoli, come stai, cosa alleni oggi, quanto sei grosso!, parlò delle elezioni.
Io: “Purtroppo non posso votare, ma se potessi ovviamente non voterei Lega”.
Lui: “Mah, non lo so, secondo me Salvini dice tante cose che sono vere”. Sentii che il sangue cominciava a bollire.
“Ah, sì? Tipo?”
“Be’”, fece una pausa e in quel momento intuii quello che stava per dire prima che lo dicesse. Prevedibilmente. “Non è giusto che accettiamo tutti gli immigranti quando ci sono italiani veri che hanno più bisogno d’aiuto.”
“Non vedo che problema c’è con l’accogliere delle persone che scappano da guerre o altro. Di spazio mi sembra che ce ne sia tanto qui.”
“Vabbè è giusto aiutare gli altri, però l’Italia sta facendo tutto. Anche l’Europa deve fare la sua parte, non possiamo mica averli tutti qui i migranti.”
“E perché no, scusa? Che problema c’è?”
“Vengono qui e non fanno nulla, non vogliono lavorare e chiedono l’elemosina davanti al supermercato.”
“Ti rendi conto che sono un immigrato anche io?”
“Sì, però tu hai fatto le cose in regola, sei qui per studiare e lavorare. Mica sei clandestino.”
“E tu come lo sai?”

Ma posso dirmi statunitense o italiano quando non vedrò mai tutta la gente che popola i due Paesi?

Conto fino a dieci

Mi sento più americano o più italiano? Ma cosa significa essere americani o italiani? O forse è meglio dire statunitensi perché con “America” si possono intendere due continenti e non semplicemente gli Stati Uniti d’America. Ma posso dirmi statunitense o italiano quando non vedrò mai tutta la gente che popola i due Paesi? Forse è meglio dire che mi sento bostoniano e veneto. Ma ho il diritto di dire che mi sento veneto? Vediamo... Allora. Mi sento veneto/italiano quando:
1) Vado alle sagre in paese a mangiare i bigoli al ragù d’anatra.
2) Dico parole in dialetto come schei, piase, moroso.
3) Gesticolo appassionatamente quando parlo.
4) Faccio il giro dei bacari a Venezia e non mi perdo.
5) Vado alle feste di laurea dove facciamo i papiri e cantiamo dottore del buso del cul.
6) Esco in bici per i colli euganei.
7) Chiedo agli amici di raggiungermi in piazza per bere uno spritz Aperol, Campari e Cynar, Select, e paghiamo due euro e cinquanta.
8) Maledico Trenitalia per i ritardi.
9) Bestemmio (anche se ovviamente non ho mai bestemmiato).
10) Vado alle Dolomiti con mio moroso a vivere come montanari e fare escursioni e campeggio e mi innamoro tenendogli la mano mentre guardiamo le stelle cadenti e in lontananza vediamo la frana del Vajont.

E mi sento bostoniano/statunitense quando:

1) Faccio i biscotti natalizi da portare a tutti gli amici.
2) Devo fare da interprete ogniqualvolta io e gli amici incontriamo una persona straniera.
3) Parlo inglese e lascio cadere la erre dopo una vocale.
4) Dico parole e frasi del tipo “so don’t I”, “barrell”,“wicked”.
5) Mi viene voglia di clam chowder, hamburger, brownies.
6) Scrivo una mail ai nonni raccontandogli gli ultimi avvenimenti.
7) Ovunque vada mi chiedono di esprimere la mia opinione sui politici americani (tutti fascisti), le pistole (mai viste a Boston), il fast-food (buono in moderazione ma la cucina americana è vasta e buonissima e manco lo sapete).
8) Correggo le tesi e gli articoli degli amici accademici che scrivono in inglese.
9) Consegno la mia scheda elettorale compilata perché non posso votare in Italia ma posso fare la mia parte per gli Stati Uniti anche da lontano.
10) Spiego a tutti che ho ben quattro nomi, nessuno dei quali è di origine italiana, a meno che non valga “Brandòn”.