Autore
Brandon Michael Cleverly BreenAnno
2022 -2022Luogo
Stati Uniti d'AmericaTempo di lettura
4 minutiCronache di un padovano insolito
Mi dico sempre che dovrei preparare un biglietto, come quelli da visita, pronto da distribuire a tutti con le risposte alle solite domande. Così risparmio il fiato e non devo recitare da un copione che ormai conosco a memoria. Ma aspetta, non sei italiano, sei americano? Come mai conosci l’italiano così bene? Come mai hai scelto di venire in Italia? E proprio a Padova? E cosa ci fai qui? Studi, lavori? Ti piace di più l’America o l’Italia? Quindi è vero che tutti gli americani sono grossi come te! Mi aiuti un po’ con l’inglese? Voglio migliorare. E io, pronto con risposte. Scambiamo le battute davvero come attori professionisti. Sì, sono americano, sono nato e cresciuto a Boston. Sono cresciuto in una comunità italiana a Boston. L’italiano era la lingua straniera obbligatoria per tutti quanti a cominciare dalle elementari. Se vai a Boston tutti sapranno al minimo presentarsi e chiederti come stai. Dunque parlo italiano da quando sono piccolo. Sono venuto per studiare. Ho scelto Padova per l’università e c’ero già stato in passato. Sì, appunto, studio. Faccio lettere. Sì, in italiano. Sì, scriverò la tesi in italiano. Lavoro anche. Un lavoretto part-time. È una domanda troppo vaga. Ci sono cose che mi piacciono dell’America e cose che mi piacciono dell’Italia. In realtà ho cominciato ad allenarmi qui in Italia. Sì, se hai qualche domandina ti posso aiutare, ma non ho il tempo di dare ripetizioni. Il non detto:
 
Potrò mai essere anche italiano o sarò per sempre quell’amico americano del tuo amico che non riesci a capire perché sembra che abbia avuto la stessa infanzia di te ma non è appunto italiano? Boston era uno dei punti d’arrivo più importanti per i venticinque milioni di italiani che lasciarono il Paese durante le grandi ondate d’immigrazione dei secoli scorsi. Anche oggi, gli italiani continuano ad arrivare, anche se in minor numero. Se conosceste la vostra storia vi sembrerebbe ovvio che qualcuno parli italiano a Boston. Sono venuto anche per studiare, ma sono venuto più che altro per cercare una vita migliore e per inseguire la mia passione. Negli Stati Uniti la vita è impossibile se non si è ricchi. Non ho mai avuto l’assicurazione medica e perciò non potevo andare dal medico quando stavo male né dal dentista. Non pensate infatti che siccome mi sono trasferito in Italia sono ricco: il visto, il passaporto, il volo, le quote per il permesso di soggiorno e l’iscrizione al sistema sanitario nazionale, l’affitto, le bollette, la spesa, insomma tutto il trasloco mi è costato meno di un mese d’affitto a Boston. Da piccolo, nelle notti fredde d’inverno, con la temperatura che non supera mai lo zero, mi avvolgevo nelle coperte perché non potevamo permetterci il riscaldamento. Crescendo, il pranzo per me era un pasto sconosciuto. C’era lo spuntino per colazione e poi la cena. Imparai a non avere fame. Ho sempre avuto una passione per la lettura e la scrittura e sapevo fin da subito che dovevo eccellere a scuola se volevo uscire dalla miseria in cui eravamo e andare all’università. Con i costi universitari annui che sono superiori ai sessantamila dollari, l’unica opzione era vincere più borse di studio possibili. Oppure andare in Italia. È ironico che milioni di italiani vennero negli Stati Uniti cercando una vita migliore e io, per avere una vita migliore, dovetti scappare. Non esiste più il sogno americano. È ovvio dunque che io debba lavorare per forza per mantenermi, sennò come faccio? Non posso chiedere soldi ai miei genitori poiché non ne hanno. Poi ho sempre sentito che la lingua e la cultura italiane mi appartenessero, il Paese mi è sempre stato familiare anche da lontano. Un nuovo giorno, una nuova conoscenza, la solita scena che si ripete: ma non sei italiano!... E avanti di questo passo all’infinito. Quando potrò smettere di giustificare la mia presenza in questo Paese?