Questo sito usa cookie di analytics per raccogliere dati in forma aggregata e cookie di terze parti per migliorare l'esperienza utente.
Leggi l'Informativa Privacy completa.

Logo Fondazione Archivio Diaristico Nazionale

Autore

Pietro Santoro

Anno

1952 -1972

Luogo

Bari/provincia

Tempo di lettura

4 minuti 30 secondi

Egeo. Quando ero soldato. Tirana-Roma attraverso la guerra

Mi convinsi che qui era stata combattuta, per diversi giorni, un’aspra battaglia. I giornali quindi avevano detto il vero. A Cisterna l’uomo aveva dato la caccia all’uomo; poi vista l’inutilità di una simile lotta, da entrambe le parti si finì per dare scacco matto alla cittadina...

Io, non resistendo più, scesi dall’autocarro per sgranchirmi un po’ le gambe, ma soprattutto per dare un’occhiata in giro. Ficcai lo sguardo nell’oscurità, naturalmente senza interesse, perché non vedevo proprio nulla, poi mi inoltrai un po’ tra le macerie e presto inciampai in un mucchio di calcinacci; infine, con lo sguardo abituato, scorsi un pezzo di muro. Era tutto un macello! Feci tra me: “E questa cos’è?”. Una voce mi rispose: “Questa era Cisterna”. In effetti era tutta un ammasso di così dire... Era tutta un ammasso di rovine. Qua e là qualche pezzo di muro rimasto in piedi per miracolo. Ad un certo momento dovetti stringermi il naso con una mano. Non v’era dubbio: si trattava di puzza di cadaveri. Poco distante, infatti, intravidi un mucchio di cenci che mi diedero l’impressione che lì sotto vi fosse qualcosa di macabro. Tornai indietro. A Perazzoli chiesi se anche lui sentisse quella puzza ed egli mi confermò. Era evidente: non tutto l’abitato, ma che dico?, non tutte le macerie erano state perlustrate. Volli dare uno sguardo dall’altra parte ed anche qui constatai che l’”abitato” era nelle identiche condizioni. Mi convinsi che qui era stata combattuta, per diversi giorni, un’aspra battaglia. I giornali quindi avevano detto il vero. A Cisterna l’uomo aveva dato la caccia all’uomo; poi vista l’inutilità di una simile lotta, da entrambe le parti si finì per dare scacco matto alla cittadina, impegnandola in durissimi combattimenti con le artiglierie che la ridussero in polvere. Finalmente la colonna si mosse. Poi giungemmo a Velletri dove facemmo un’altra sosta. Qui la gente era tutta tappata in casa. Le notizie che giungevano sino a me non erano buone. Sentii dire, infatti, da radio fante, che captava la voce alla testa della colonna e la trasmetteva sino all’ultimo uomo in coda, che non si poteva proseguire sulla Via Appia in quanto il ponte di Ariccia era stato fatto saltare dai tedeschi. Pertanto il traffico era stato deviato su di una strada secondaria, che era già siventata impraticabile. Perciò anche noi dovevamo proseguire per questa strada che imboccammo all’altezza di Genzano. In breve raggiungemmo Cecchina sulla via che porta ad Anzio. Poi, doppiata Ariccia, ci riallacciammo con l’Appia all’altezza di Albano. Intanto il chiarore mattutino aveva già preso a rischiarare le cose della natura. Alle Frattocchie avevamo già il sole.

 

La Via Appia si risvegliava al grido di “Viva i carabinieri! Siate i benvenuti! Che Dio vi benedica!”. Erano momenti quelli che facevano piangere di contentezza i nostri cuori.

Lungo la strada, qua e là, gruppi di persone applaudivano e gridavano: “I carabinieri, i carabinieri. Sono i nostri carabinieri!” Ed accorrevano ai lati della strada. Era una gioia per noi sentire gridare: “Sono i nostri carabinieri!”. In quel grido c'era tutta l'anima di un popolo che, libero ormai da qualsiasi timore, poteva finalmente dare sfogo ai propri sentimenti. Era un coro unanime che si ingrandiva sempre di più e che esplodeva in un moto irrefrenabile. La Via Appia si risvegliava al grido di “Viva i carabinieri! Siate i benvenuti! Che Dio vi benedica!”. Erano momenti quelli che facevano piangere di contentezza i nostri cuori. “Viva i carabinieri! Viva l’Arma Benemerita!” si udiva ripetere lungo tutto il percorso dell’Appia con battimani che non finivano mai. Il nostro ingresso nella Capitale, 5 giugno 1944, procurò all'Arma grande soddisfazione morale, ciò che fece maggiormente accrescere il suo indiscusso prestigio in un momento tanto delicato della vita nazionale. Quel giorno ricorreva il 131° Anniversario della Fondazione dell’Arma e la popolazione romana, anche a causa di questa ricorrenza, che forse sentiva nel suo animo, volle tributare ai nostri carabinieri, che non furono mai dimenticati, degne accoglienza. Uomini e donne di ogni classe sociale cercavano di issarsi sui nostri automezzi per fraternizzare coi carabinieri, per stringerli sul petto, per baciarli, per benedirli, per goderli più da vicino. Ogni automezzo, circondato da una moltitudine di gente, che inneggiava ai carabinieri e quindi all'Esercito italiano ricostruito, venne accompagnato sino alla sede di servizio, dove lo aveva destinato il Comando del Contingente. Questo tripudio di popolo durò per tutto il giorno, poi la gente, col cuore gonfio di gioia, tornò a casa per dormire, senza più paura, il sonno che poteva offrire soltanto la pace, di cui già si pregustava la vicinanza.