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Marina ZampoliniAnno
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5 minutiGli ultimi tre anni con il babbo. Diario della figlia di un ultranovantenne

Gennaio 2013 
Mi chiamo Marina. Mi è stato messo questo nome perché sono nata il 18 giugno, dedicato a Santa Marina. Ho sempre pensato di essere stata abbastanza fortunata con la Santa del giorno, perché Marina mi sembra un bel nome, evocativo di distese azzurre e spazi infiniti. Mi è stato raccontato che da piccola, avendo qualche difficoltà con la "r", quando pronunciavo il mio nome dicevo "Maina", e così mi chiamavano scherzosamente i familiari. Ma dai tempi dell'asilo in poi sono sempre stata "Marina". Mai avrei immaginato che un giorno sarei stata chiamata "Mara", e proprio da chi aveva scelto per me il mio bel nome. Eppure, una sera del gennaio 2013, tra Capodanno e l'Epifania, mentre soggiornavo con mio marito per le festività nella casa dei miei genitori, ho sentito mio padre Alfredo,novantaduenne, che mi chiamava dal suo studio-camera da letto, dicendo :"Mara, Mara!" Avevo notato da tempo che il babbo aveva alcune difficoltà nell'esprimersi, difficoltà che il medico di famiglia aveva inquadrato nell'ambito di una sindrome di decadimento cognitivo senile. "Sono sindromi lente, ma progressive", aveva sentenziato. lo, per difendermi dall'angoscia che questa diagnosi mi procurava, mi ero focalizzata più sul "lente" piuttosto che sul "progressive", e non avevo dato molta importanza all'evidente restringersi del lessico del babbo, alla vana ricerca della parola "che non viene", agli insoliti silenzi. Ma quel "Mara!" sì che mi aveva colpito! Prima di tutto perché il nome non mi piaceva. Troppo breve, secco, privo dell'armonia del mio vero nome, con l'eco di "amara", anziché del dolce sciacquio delle acque marine. In un attimo sono sprofondata in una crisi d'identità: ma chi è questa "Mara", a me sconosciuta, e in che rapporto sta con un babbo con cui Marina ha avuto tutta la vita un dialogo fluente, ricco, intenso? L'unica cosa chiara in quel frangente era che il babbo, chiamandomi, seppur in quel modo per me anomalo, mi chiedeva aiuto: voleva che gli raccogliessi da terra un libro che gli era caduto e che non poteva recuperare a causa dei suoi impacci motori. Marina è sempre stata fiera di suo padre, pedagogista impegnato, saggista, scrittore, poeta, commediografo e "fine dicitore", declamatore delle poesie di Ungaretti, Pasolini ecc., ma "Mara" come si sente rispetto ad un padre per cui tre sillabe sono troppe per pronunciare un nome? Si sente a disagio, è confusa e preoccupata: come si evolverà questa condizione? Diventerà impossibile comunicare con lui? E lui, sarà consapevole di questo decadimento, ne soffrirà? Cosa potrò fare per aiutarlo? Per il momento gli raccolgo il libro, gli chiedo dove vuole che lo metta, lo colloco sulla scrivania che lui mi ha indicato con un gesto, e gli auguro la buona notte.
Agosto 2013 
Di nuovo soggiorniamo in casa dei miei genitori per un periodo abbastanza lungo. Così ho modo di accorgermi che il linguaggio del babbo si sta semplificando sempre di più, orientandosi su un unico genere, quello maschile: se ci sono più persone nella stanza, ciascuna di esse viene indicata come "lui", indipendentemente dal fatto che sia un uomo o una donna; quando verso le 11 del mattino arriva la colf con la spesa e si dirige verso la cucina, il babbo, forse desideroso di esprimere qualche preferenza culinaria, l'approccia con un "Ehi, cuoco!". Sono molto preoccupata, ma cerco di rassicurarmi considerando il fatto che il linguaggio numerico del babbo sembra indenne da alterazioni: gioca correttamente a carte, briscola e scopa, contando i punti a voce alta, e soprattutto ama contare gli uccellini che svolazzano da un tetto all'altro sulle case di fronte alla nostra. Sembra lui stesso rassicurato da questa capacità di contare a voce alta, e io ci faccio un grande affidamento. Forse i numeri ci salveranno? Forse le aree cerebrali deputate al calcolo numerico sono meno toccate dal decadimento? La speranza è l'ultima dea.