I figli sono anche di papà

Non è facile parlare dei propri sentimenti, riuscire ad utilizzare le parole giuste al posto giusto.

A volte è molto più facile con uno sguardo o con una carezza fare il soliloquio che punta dritto al cuore, che scava nella mente e fornisce delle risposte ad altrettanti enormi quesiti.

Ma come puoi fare tutto questo se il tuo interlocutore ha appena quattro anni?

Ad ogni tua parola ti chiede perché, alla conseguente spiegazione sempre e solo il perché del perché.

Tu vorresti che lei capisse anzi hai bisogno che lo faccia, per non passare dalla padella nella brace, affinché non si dipinga di te un quadro irreale, decisamente pensato o fortemente voluto da chi ti ha allontanato da casa, dai tuoi affetti, da tutto ciò che con anni di fatica avevi costruito.

Il tuo tempo diviene quello della spasmodica attesa di ricevere la sua telefonata, per sentire la sua voce, per sentirti dire - papà vienimi a prendere.

(…) Nel tuo io cerchi disperatamente di raccogliere i pezzi ed all'appello ne manca sempre sempre qualcuno, ma soprattutto ti manca la tua creatura, i tuoi sogni, i progetti e, prima di tutto, la libertà di amarla quanto e come vuoi.

Il tuo diventa un amore a libertà vigilata, controllato e condizionato da chi non ha gli stessi tuoi diritti e doveri nei confronti del minore, ma si surroga un diritto sancito da una legge piena di pregiudizi che, nel 97% dei casi, ama privilegiare mamme e danneggiare padri.

Una paternità da accattoni col capo chinato a racimolare qualche briciola che, distrattamente, non hanno fatto in tempo a raccogliere.

Tu hai bisogno di parlare, non solo per un semplice sfogo ma per non perdere il contatto che avevi creato e che ti hanno portato via.

Hai bisogno di urlare al mondo la verità, senza pudore, senza esitazione. Tu vuoi che tutti sappiano per non dimenticare e nella speranza di evitare ad altri i tuoi stessi dolori.

Quando si diventa padre, la sensazione che si realizza è sconvolgente, accattivante, ha qualcosa di magico.