Autore
Antonio CoccoAnno
1952 -1954Luogo
VenetoTempo di lettura
10 minutiRidotta Isabelle
Sidi Bel Abbes, Algeria, 18 giugno 1952
 
Caro papà
Non so nemmeno come cominciare questa lettera e se avrò il coraggio di spedirla perché mi sento tremendamente vigliacco. Avrei voluto scriverti sin dal primo [momento] che entrai in Francia clandestinamente ma non potei se non al porto di Marsiglia e di nascosto. Non ti scrissi prima perché dovetti iscrivermi subito alla legione straniera e tu saresti senz’altro venuto a prendermi, non che mi dispiacesse perché lo desideravo con tutto il cuore, ma avresti dovuto spendere un sacco di quattrini per venire in Francia e pagare una forte multa per uscire dalla Legione e poi avrei dovuto fare del carcere in Italia perché ero clandestino. Spero capirai il perché del mio silenzio anche perché tu conosci il mio carattere d’avvertire sempre in tempo.
Ti garantisco però che soffrivo sentivo il bisogno di scrivere di farmi vivo perché immaginavo lo stato d’animo in cui tu ti trovavi di come tu passavi le giornate in ufficio, pensavo a mamma… e questo mi stringeva il cuore, e spesso ci ho pianto sopra e mi chiedevo perché ho agito in questa maniera e con quale criterio mi sono arruolato a questo inferno.
Quando me ne sono andato da casa avevo ancora l’animo preso dall’ira non avrei più sopportato la presenza di qualche professore dinnanzi a me ero esasperato al punto di preferire d’andarmene da casa conscio di quello che mi avrebbe aspettato piuttosto di rimanere ancora 20 giorni a scuola. Non credere però che stia bene quì, questa è una vita impossibile specialmente per me come ero abituato. Delicato com’ero nel mangiare vedessi cosa devo buttar giù e se non bastasse anche quì in Africa si mangia sotto il sole cocente e cosa si mangia... cipolle, carote e sempre patate con acqua naturalmente la fame mi fa mangiare tutto però il mio organismo ne soffre con qualche svenimento sotto il sole attacchi asmatici alla notte e come ultimo ho preso una forte orticaria che mi rende martire tutto il santo giorno ho tutta la pelle piena zeppa di tacche. Questo tuttavia sarebbe sopportabile il peggio è nel lavoro che bisogna fare, lavare piatti e pentoloni, pulire pavimenti, far buche o demolire case sotto il sole cocente. Non parlo poi del dormire ora quì a Sidi-Bel-Abbes si dorme decentemente ma a Marsiglia delicato come sono per la mia asma ero in tormento tra la polvere la puzza la paglia e i cimici. E la gente che mi sta attorno te la puoi facilmente immaginare tutti chi più chi meno hanno avuto a che fare con la polizia; tutto sommato credo sia impossibile descrivere questo ambiente e cosa si deve passare quali maltrattamenti e ad aggravare questa cosa per me c’è anche il rimorso di aver abbandonato la mia casa te mamma fratelli e amici, come minimo per due anni che dovrò passare in Indocina. Adesso nel modo più breve ti scriverò cos’o combinato e cosa ho passato sino adesso. Avevo fatto il mio diario sin dal primo giorno che me ne sono andato da casa, un diario quotidiano ben fatto ci avevo lavorato su ogni sera un’oretta per riempire 2 o tre pagine per poi spedirtelo una volta qui un legionario me l’ha rubato e poi appeso come carta igienica in un gabinetto. Avrei pianto dal dispiacere, lì io avevo scritto tutte le mie traversie i dolori passati ci avevo insomma lavorato molto affinché riuscisse bene e vederlo fare una simile fine...
Nei momenti di abbattimento maggiore e quando devo lavorare come un mulo mi dico sempre che mi sta bene che me lo merito che è giusto che debba pagare il male che ho fatto a casa a voi tutti.
Dunque sono partito da casa il 24 alle ore 6 dal piazzale Roma. Ho preso o meglio abbiamo preso il treno a Padova diretti a Milano e Torino alle 21. Abbiamo passato la notte in treno e siamo arrivati a destinazione alle 9. Di lì poi siamo andati a Bardonnecchia ultimo paese sul confine. Lì abbiamo deciso di andare in qualche albergo per tentare di passare il confine il giorno dopo. Difatti così abbiamo fatto. 3 erano le nostre possibilità di riuscita. la prima era il treno tentar di farcela alle spalle dei contrabbandieri, questa ci andò male. La seconda era quella di passare attraverso delle montagne alla sinistra del paese anche questa andò buca. L’ultima carta, tentata il giorno 27 ci riuscì ed era la più difficile. 28 ore di cammino abbiamo fatto vestiti come eravamo con le scarpette attraverso nevai immensi, di notte bracconati dalla finanza con Paolo che aveva la febbre senza sapere dove era la meta. Due o tre volte fui sul punto di rinunciarci di tornare indietro ma per fortuna un contrabbandiere ci aiutò un pezzo e noi ci demmo l’orologio. Ho detto un pezzo perché perché nel più duro quando eravamo su un nevaio e con sotto un salto di 2 o trecento metri la finanza ci dette il chi va là. Il finanziere se la dette a gambe e noi come meglio potemmo se la squagliammo. Insomma alle 6 del mattino mezzi morti siamo arrivati a Modane e ci hanno presi. E come se non bastasse ci han fatto lavorare sino all’una.
Abbiamo passato la notte lì per terra alle 5 del mattino siamo partiti per Chambery lì ci han messo in una spece di prigione e dopo aver passato una visita medica e aver fatto due o tre firme ci han fatto come al solito lavorare. Lì ho trovato degli altre reclute tutte remi da galera era una caserma di soldati molto bella con un bellissimo campo di equitazione. Non rammento bene quanti giorni sia rimasto lì tuttavia si stava abbastanza bene levando quelle volte che dovevo far il sevro [servo]. Se non erro dopo 4 giorni ci hanno sbattuti a Marsiglia e di quì è cominciato l’inferno. La caserma era esclusivamente per i Legionari e sembrava carina vista dal di fuori ma bisogna entrarci per vedere com’è la vita. Ci han dato una divisa ch[e] faceva pietà, e lavato via quel giorno di riposo per la puntura sulla schiena, o quando dovevo fare qualche visita, ho sempre lavorato indefessamente. Era una pacchia quando con la jeep o con qualche camion ci portavano fuori città a fare buche. Di quell’inferno ne ho sopportato una settimana e 1⁄2 e poi Domenica sono partito alla volta dell’Africa con la nave. Paolo è rimasto a Marsiglia perché hanno voluto dividerci così sono rimasto anche solo. Il viaggio in nave è stato decente anche se costretto a rimanere sempre appartato perché non conoscevo nessuno. Verso la fine ci ha preso una burrasca forte, l’unica cosa di divertente nel viaggio, ho avuto così l’occasione di vedere dei pescicani, delfini e altri pesci che non avevo mai visto.
La vita quì a Sidi-Bel-Abbes e pressappoco come quella di Marsiglia forse peggio perché più rigida. Ci rimarrò forse quì una decina di giorni dopo di che me ne andrò non so dove forse in Marocco. Ho già fatto la visita medica, abile purtroppo, e domani andrò all’interrogatorio del capitano. Spero che mi facciano abile come paracadutista perché questa è la mia intenzione anche se molto precaria. La media che in Indocina ci lasciano la pelle dei paracadutisti è sull’80% ma credo tu capisca il perché di questa mia decisione.
Un idea penso tu te l’abbia fatta di ciò che ho passato in questo tempo ma sarebbe stato nulla se avessi saputo che voi di casa eravate tranquilli e mi sarebbe anche ora sopportabile la vita sapendo che tu mi hai perdo[nato] e che una volta terminati i cinque anni o meglio 2 anni perché terminati questi in Indocina ti danno 4 mesi, potrò abbracciarvi tutti. Immagino chiederò troppo chiedendoti perdono perché non oso pensare alle conseguenze della mia fuga come starà mamma come tu starai. Giustamente tu mi dicevi che neanche tu sei fatto di ferro e se aggiungo a questo tutto quello che ho combinato a Venezia e ciò che t’ho fatto passare per causa mia mi convinco che supera ogni limite di bontà. Però papà anche se tu non mi volessi più considerare come un tuo figlio rispondi lo stesso a questa mia lettera, sarebbe una cosa insopportabile per me non sapere come stanno le cose a casa a chi pensare quando sarò nel pericolo. Mi sembra impossibile di dover parlare di pericolo di morte ma sai bene quanto brutta sia la guerriglia e specialmente quando si deve fare con gente esasperata e della razza degli Indocina; gente mezza selvaggia e bene armata.
È già molto sai pensare d’essere pensato per uno che è nelle mie condizioni ed è per me insopportabile non saper a cosa pensare. Aveva ragione Idania quando diceva che per uno che se ne va dall’Italia proverebbe una forte nostalgia sia della patria come della famiglia e degli amici. 15 giorni sono passati dal giorno che sono uscito dall’Italia e mi sembrano 15 anni, mi piaceva viaggiare ed ora mi vien male al pensiero di dover andare in Indocina, di fare 30 giorni di nave.
Per ora non rispondermi perché quì sono provvisorio ti spedirò ancora una mia lettera con l’indirizzo sicuro. Ti prego babbo di rispondermi perché sono ansiosissimo di sapere come siete a casa.
      Saluti
toni
D.C.L.E. cp.3
Sidi-Bel-Abbes. Algeria