Autore
Manijeh Moshtagh KhorasaniAnno
2022 -2022Luogo
IranTempo di lettura
6 minutiUn incontro ravvicinato
A mio padre
Era una giornata di marzo. Nonostante l’avvicinarsi della primavera, l’aria era ancora pungente e faceva freddo. Che poi non c’era tanto da meravigliarsi. Perché il Veneto situando nel Nord d’Italia, è una delle regioni in cui il vero clima primaverile, si fa sempre desiderare. Aspettavo in fila, all’esterno dell’ufficio postale. Guardando la lunghezza della fila e calcolando, ho pensato che ci vorrà almeno una quarantina di minuti prima di entrare alle poste. Mi sono specchiata nel vetro dell’ufficio. I miei lunghi capelli ricci e tinti di rosso che scendevano ai lati della mia mascherina anti covid, mi facevano somigliare di più alla gente del posto e questo fatto mi faceva un immenso piacere. Mi sono spostata gli occhiali da sole sulla sommità del capo e mi sono esposta al sole quella piccola parte del viso che restava scoperta, in quel modo potevo godermi il calore sottile che la giornata aveva in grembo. Un pensiero negativo accompagnando i raggi del sole, si è infiltrato prima nella mia pelle e poi nella mia mente. Ero lì, in quella città da parecchi anni. Avevo la cittadinanza italiana da tempo, ma continuavo a non sentirmi [di] appartenere a quella bellissima terra. Ero in balia di quei pensieri che come un boa mi avvolgevano la testa, quando la voce di una signora anziana mi ha fatto ritornare alla realtà circostanziale. Mi sono aperta gli occhi e mi sono girata verso la fonte della voce. Apparteneva a una signora sui settantacinque anni. Era barcollante e camminava a dondolo. Prima ancora di fermarsi, domandava ai presenti, l’orario della chiusura dell’ufficio postale. Alcune signore le hanno risposto che l’ufficio si sarebbe chiuso alle 13.30. Ma io sono intervenuta dicendo che quello sarebbe stato il vecchio orario di chiusura post natalizio, e che adesso l’orario sarebbe stato continuato, cioè fino alle 19. L’anziana signora ha assunto un’espressione molto felice, dato che mancavano soltanto venti minuti alle 13.30.
Mi si è avvicinata fiduciosamente dicendo: “Ah che bello, temevo di non farcela”, e mentre faceva sventolare due bollettini che teneva in mano: “Dovrei assolutamente pagare ’ste bollette entro oggi”. Poi con una faccia sofferente ha esclamato: “Ho un dolore forte alle gambe. Da quando c’è ’sto Covid, sono bloccata in casa da due anni. Camminare mi fa bene. Fa circolare il sangue”. La signora mentre infilava le bollette nella sua borsetta ha continuato: “Ora per fortuna ci è permesso di uscire. Vorrei recuperare i due anni rimasta ferma”. Io mentre la guardavo, pensavo a qualche tempo fa, quando avevo cercato di aiutare una signora anziana che era in difficoltà, perché non riusciva a salire sugli scalini che portavano a un seggio elettorale, ma che lei con tanta diffidenza aveva rifiutato il mio braccio teso. “Ma mi sta ascoltando?” La voce dell’anziana mi ha riportato al tempo presente. Io sorridendole, ho accennato di sì. L’ho osservata. Era una donna di corporatura media, bassina, dai capelli tinti biondi di media lunghezza. Mi appariva una signora con un grande desiderio di chiacchierare, nato probabilmente da un senso di solitudine in cui viveva. “Sa, io una volta insegnavo, ero e sono una donna di cultura. Facevo una specie di ricercatrice culturale.” Percepivo in lei una grande brama di voler farsi valere dal prossimo. Dalla pronuncia non mi sembrava veneta. Ma mi faceva comunque piacere che una vecchia donna che viveva nella mia città, Vicenza, si confidasse così liberamente con una sconosciuta di origini straniere, raccontando i suoi fatti personali. Anch’io mi sono confidata, dicendole che prima del covid, facevo l’interprete e traduttrice per le aziende italiane, le quali lavoravano con il mio Paese di origine, ma che poi, l’arrivo di Coronavirus ha spazzato via tutto. Quando ha saputo delle mie origini persiane, ha fatto un sorriso compiaciuto, probabilmente la sua mente come quella di tante anziane italiane, le ricordava la regina della Persia di una volta. Quando ha saputo che conoscevo anche l’inglese e il tedesco, mi ha suggerito di propormi come lettrice presso i licei. Poi si è addentrata nei discorsi politici. Ha espresso la sua disapprovazione riguardo alla guerra in Ucraina dicendomi: “Hanno messo fratello contro fratello. L’Ucraina faceva parte della Russia una volta. Tutto è colpa dell’America”. E dopo un po’ di pausa: “È sempre stato colpa dell’America. C’è sempre il suo zampino dappertutto”. Ovviamente, per me, questa era una grande e piacevole dichiarazione. Politicamente, noi iraniani avevamo sempre subito ogni male, per via degli interventi americani. Soprattutto in questo periodo di embargo, il nostro popolo sente molto il peso economico di questa decisione americana. Sentirlo dire da una persona italiana, europea, era come una carezza alle mie orecchie. In quel momento, mi consideravo accolta, voluta e tollerata da una mia concittadina, cioè di Vicenza, una città che a stento mi aveva fatto sentire appartenere a sé. Io, ogni tanto mi guardavo l’immagine riflessa nella vetrata e mi spostavo gli occhiali da sole sugli occhi, notando il colore rosso dei miei capelli più intenso e più bello attraverso le lenti antiriflesso. Queste mie distrazioni turbavano il mio interlocutore e così con il cambiare del tono della voce cercava di catturare la mia attenzione: “Sa, dietro tutto ciò ci sono interessi per la vendita di armi e produrre i soldi”. La signora dopo i discorsi sulla cultura, politica e questioni lavorative, ora stava entrando nella mia sfera privata. Le sue domande iniziavano a curiosare nella mia vita sentimentale. Ogni tanto le porte scorrevoli in vetro delle poste si aprivano e qualcuno usciva, dando la possibilità di entrare a qualcun’altro della fila. E la catena della gente alle spalle di noi continuava a crescere. L’anziana donna diventava sempre più forte e più sicura di sé. Iniziavo addirittura a percepire un certo ringiovanimento della sua pelle. Sembrava diversa rispetto al momento in cui era arrivata.