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Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne 2024

Emilia
Milano Marzo / Giugno 1875
La Contessa Emilia

Milano, 1872. Emilia è una nobildonna, vive a Brera con i cinque figli e il marito ostile, soprannominato da lei “L’Orso”. Federico A., è un ufficiale dei Bersaglieri, stanziato in Meridione per combattere il brigantaggio. Federico vive per un breve periodo a Milano e fa la corte a Emilia, osservandola dalla finestra. Lei resiste, poco, poi cede e inizia un fitto carteggio amoroso che accompagna una passione divorante, fatta d’incontri clandestini, parole d’amore scritte su ogni lato della carta da lettere a formare ricami, soggiorni in giro per l’Italia in alberghi d’infima categoria per nascondersi dagli sguardi indiscreti, distacchi strazianti dovuti al recapito tardivo di una lettera e riavvicinamenti assoluti non appena s’intravede la possibilità di ritrovarsi. 

Emilia, cagionevole di salute, ma combattiva di spirito, vive di questa luce segreta sotto il tetto coniugale e non si perde d’animo, fino a che, esasperata dal marito, che la sottomette e del quale non è mai stata innamorata, riesce a chiedere e a ottenere la separazione legale. Dopo la separazione, Emilia e Federico continuano a vivere a distanza la loro passione, che li consuma fino all’ultimo colpo di scena: Emilia, dopo la malattia e la morte del marito, decide di porre fine alla loro relazione e Federico, umiliato e folle d’amore, si toglie la vita.

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Anna De Vita
Un ricordo drammatico
Anna De Vita

1937. Anna nasce nella periferia di Milano in una stanza senza finestre e senza acqua. Ha un’infanzia difficile: povertà, bombardamenti e abusi. Non ha ancora dieci anni quando denuncia il padre in questura perché ha comportamenti violenti con la madre. Il padre viene arrestato. A causa delle ingiustizie subite dagli uomini della sua famiglia e dagli uomini che incontra sul lavoro, Anna è da sempre attratta dalla politica e si unisce a gruppi che lottano per la pace, i diritti delle donne e militano contro le ingiustizie sociali. Trova l'amore della sua vita, con cui si sposa. Dopo la prematura scomparsa del marito, si dedica ai nipoti, che portano nuova gioia e significato alla sua esistenza.

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Luisa T
23-7-1981
Luisa T.

Luisa nasce nel centro Italia da una famiglia contadina della provincia di Frosinone. Le piace leggere, vorrebbe studiare per trovare un lavoro, ma per non essere di peso ai genitori - che oltre a lei hanno altri quattro figli - si sposa. Giovanissima. Da quel momento Luisa comincia a perdere di vista sé stessa e i suoi desideri. Nando, il marito, è arido nei momenti migliori, brutale negli altri. Le infligge violenze fisiche e morali costanti. Giorno dopo giorno l’esistenza di Luisa si rimpicciolisce, fino a diventarle estranea. Il matrimonio non è per lei relazione, ma prigione. Luisa passa le sue giornate in casa, tutte uguali, scandite dai ritmi degli sforzi domestici e rurali: prepara la colazione, lava i panni, li stira, li rammenda, pulisce la casa, cucina per il pranzo e per la cena, lavora nei campi, cresce i figli. In una sera come tante altre, né brutta né bella, scoppia a piangere sotto la doccia: è sola e senza orizzonti, la sua infelicità è totale. Vorrebbe parlarne con qualcuno, ma il medico di famiglia è quello del marito. Riesce ad andare da una psicologa, di nascosto, perché è una perdita di tempo e lei deve pensare solo alla casa e ai campi. Vorrebbe comporre un numero, uno a caso, sarebbe pronta anche a confidarsi con uno sconosciuto per alleviare il suo dolore, ma il telefono non lo ha, perché Nando non lo ritiene necessario. 
Gli anni passano e la vita le scivola addosso senza appartenerle. Luisa si protegge come può, tace, evita, vive in punta di piedi, ma l’istinto di salvezza non l’abbandona: affida le sue giornate prive d’amore e tutte uguali a un quaderno che porta sulla prima pagina la sua fotografia e il suo nome, perché quel quaderno, come lei stessa ammette, è la vera Luisa. Forse è proprio grazie a quel quaderno che, per fuggire all’ennesimo accesso d’ira del marito, Luisa scappa dalla finestra del bagno in una notte fredda di gennaio, in vestaglia e zoccoli. E in quel momento, con la notte come casa, inizia la sua vita. 

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Leda Cossu
Le ragazze della Nigi
Leda Cossu

Nata nel 1947 da quella che definisce una famiglia matriarcale, Leda Cossu si trasferisce dalla Sardegna paterna al Veneto materno ancora molto piccola.

Leda è una delle 400 ragazze che lavorano alla Nigi, il maglificio di Mogliano che passerà alla storia per il celebre sciopero organizzato dalle sue dipendenti. Alla Nigi Leda scopre il lavoro, il rapporto con le colleghe, ma anche “il tormento della catena di montaggio” e lo sfruttamento. Leda, insieme alle sue colleghe, acquisice coscienza dei suoi diritti e si sindacalizza perché la fabbrica deve essere “comunità, amicizia, condivisione”. Insieme organizzano uno scioperò che diventerà una pietra miliare delle lotte sindacali femminili, ispirerà operaie di altre fabbriche e le farà entrare nella storia come "le ragazze della Nigi".

Con generosità e un tocco di ironia, Leda ripercorre la sua vita e rivela le lotte e i mutamenti nel panorama lavorativo, il suo impegno politico e sociale dentro e fuori dalla fabbrica e il suo rifiuto, in ogni circostanza, delle logiche patriarcali.

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Giovanna Morelli
L'impegno continua
Gianna Morelli

Giovanna Morelli, detta Gianna, nasce a Nizza nel 1911 da una famiglia anarchica. Ha appena quaranta giorni quando il padre viene espulso dal territorio francese per i suoi ideali politici. La famiglia rientra in Italia, ma l’avvento del fascismo peggiora maggiormente le loro condizioni di vita, già precarie.

Giovanissima, Gianna sposa un comunista, Agenore Vallini. Nasce un figlio. Pochi anni dopo, il marito viene prima licenziato e poi arrestato per non aver voluto aderire al partito fascista. Dopo l’arresto del marito Gianna, che ha la politica nelle vene ma fino a quel momento l’ha vissuta solo da spettatrice, anche se appassionata, prende in mano le cose: contatta una compagna e comincia a raccogliere denaro per il Soccorso Rosso, denaro destinato a sostenere i compagni detenuti nel carcere di Civitavecchia, dove si trova anche il marito. Dopo quel primo incarico ne seguono molti altri, Gianna diventa a tutti gli effetti una militante comunista della Resistenza. Affianca poi al comunismo la militanza per i diritti delle donne: aderisce ai Gruppi di Difesa della Donna (G.D.D.) e dopo gli anni di vita clandestina entra a far parte dell’U.D.I. (Unione Donne Italiane).

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Gabriella Zocca
Battaglie di civiltà
Gabriella Zocca

Gabriella, giovanissima, è staffetta partigiana. Dopo la guerra aderisce al Partito Comunista ed entra a far parte del gruppo femminile del partito. Si iscrive poi al Sindacato dei Trasporti perché lavora per la SITA e aderisce all’Unione Donne Italiane.

Oltre al lavoro ricopre incarichi sindacali importanti e organizza un consultorio in semi-clandestinità a Bologna: la propaganda anticoncezionale a quell’epoca è reato, le farmacie non forniscono i prodotti necessari e i volontari del consultorio sono sottoposti a un’attenta vigilanza da parte delle autorità. Gabriella e i compagni però non demordono e non si tirano mai indietro: oltre a lottare per garantire il diritto alla contraccezione, lottano per aiutare le donne che si trovano a dover affrontare aborti clandestini.  
Gabriella ripercorre le battaglie a cui ha partecipato: garantire il voto alle donne, il divorzio, il diritto alla famiglia, la maternità assistita e il riconoscimento dello stupro come “delitto contro la persona”. Gabriella ricorda poi le donne meravigliose con le quali ha condiviso queste battaglie.

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