Dora Klein nasce a Lodz, in Polonia, nel 1913 da una famiglia ebrea. I suoi genitori trovano la morte nel ghetto di Varsavia, ma a quell’epoca Dora vive già lontana dal paese natale, gli studi di medicina la portano prima a Bratislava poi a Bologna. Nel 1936 Dora vive a Fiume, dove conduce la vita di una normale ragazza della sua età che vive i primi amori. Si lega a un ufficiale di marina italiano, con il quale condivide una storia di passione e tormento. Insieme hannouna figlia, ma la legislazione antiebraica fascista impedisce alla coppia di sposarsi. Nel '43 Dora viene arrestata e rinchiusa nel castello di Montechiarugolo adibito a centro di raccolta per donne ebree residenti in Emilia-Romagna. Lì le viene ritirato il passaporto: una legge emanata dal governo polacco priva di cittadinanza tutti i polacchi che risiedano all’estero per più di cinque anni consecutivi. Questo è il caso di Dora e di molti altri ebrei polacchi. Dora diventa apolide. Pochi mesi dopo viene spostata a Fossoli, l’anticamera dei campi di concentramento nazisti. Da lì parte il convoglio che la deporta ad Auschwitz. Sarà internata anche nel campo di Bergen Belsen, dove la sua laurea in medicina la salverà dalle camere a gas, ma non dall’orrore dell’umanità.
Anni dopo l’esperienza dei campi di concentramento, Dora Klein affida le sue memorie alla scrittura.
Roma, 1944. Piero Terracina ha quindici anni quando viene catturato e condotto al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau insieme ai suoi familiari.
Piero racconta le persecuzioni e l’internamento nei campi di concentramento nazisti con uno sguardo lucido e crudo sulla brutalità dell’Olocausto. Sopravvive e al rientro si getta sul lavoro per non cedere alla disperazione, ma non è ancora giunto il tempo del racconto. Piero tace, evita di condividere ciò che ha vissuto, le poche volte che lo fa si accorge che le sue parole non suscitano interesse, semmai fastidio. Con il tempo però emerge la necessità di unirsi ad altre persone che hanno condiviso lo stesso destino, entra a far parte dell’Associazione Nazionale Ex Deportati (Aned). Piero scopre il potere salvifico della parola, del racconto, della memoria condivisa. Perché “la memoria non è il ricordo, il ricordo si esaurisce con la fine della persona che ricorda il suo vissuto. La memoria invece è un filo che lega il passato al presente, è proiettata nel futuro e lo condiziona”. Così si fa strada in Piero la decisione di dedicare la vita a diventare un testimone vivente, perché “testimoniare serva da monito per il presente”, per evitare il tragico ripetersi della storia.
Livorno, 1938. Lea Ottolenghi ha diciassette anni quando il regima fascista emana le leggi raziali. Lea documenta con minuzia e dovizia di dettagli il terrore, la fuga, la dispersione della sua famiglia e la lontananza dal fidanzato, Gastone Orefice, unica luce in quegli anni bui. È proprio l’amore per Gastone a scandire le pagine del diario e, in particolare, la sua lontananza. Dopo le leggi razziali gli Ottolenghi, come gli Orefice, sono costretti alla fuga. Dapprima nascosti in una villa a Castiglioncello, in quanto ebrei sono poi obbligati a lasciare i luoghi di villeggiatura e si uniscono allora ai contadini, vivendo nei granai delle campagne di Bolgheri e Volterra e cercando cibo al mercato nero. La famiglia di Lea modifica i documenti d’identità per non destare sospetto, ma la minaccia nazi-fascista incombe e per Lea e Gastone inizia la fuga. Nel 1943 arrivano insieme a Firenze. Sono nella stessa città, ma non sono nascosti nello stesso luogo. Dopo alcuni giorni trascorsi in un seminterrato con la sorella, Lea scopre che Gastone e la sua famiglia hanno dovuto lasciare la città. Il dolore di Lea è grande, inizia il tormento per la separazione da Gastone, tormento che per mesi abiterà il suo cuore e le pagine del suo diario. Lea riesce a mettersi in salvo e a partire per la Svizzera insieme alla madre, ma la salvezza senza Gastone non ha senso. Per mesi Lea non ha notizie dell’amato. La lontananza la ossessiona. Il pensiero va a Gastone ad ogni passo, ogni respiro, ogni raro momento di bellezza. E così Gastone, assente, diventa un’invocazione, ripetuta ad ogni pagina. Dopo la Liberazione Lea ritroverà Gastone, lo sposerà e condividerà con lui sessant’anni d’amore.
Siamo nel 1938, Ettore Finzi è un chimico triestino e Adele, che tutti chiamano Adelina, un’avvocatessa parmense. Si incontrano sul lago di Como grazie a un amico. Hanno in comune un destino: sono entrambi ebrei e di lì a poco le leggi razziali sconvolgeranno le loro vite. Ettore e Adelina si piacciono, la Storia accelera le loro esistenze e pochi mesi dopo il loro primo incontro decidono di sposarsi e di emigrare in Palestina. Si imbarcano per il viaggio di nozze da turisti borghesi e arrivano in Terra Santa da esiliati. Salpano da Genova il primo aprile del 1939 lasciando dietro di loro le amate famiglie. Il sei dello stesso mese sono già a Tel Aviv. La città appare loro scialba, piatta, piena di cemento, offre però loro la libertà, tesoro ormai perduto in Italia.
La vita in Palestina si rivela molto diversa dalle aspettative, meno accogliente. Quando arrivano Adelina è incita. Di lì a pochi mesi nascerà la loro prima figlia: Hanna. Meno di tre anni dopo nascerà anche il secondogenito: Daniel. Il lavoro scarseggia, la famiglia fatica a vivere dignitosamente, Ettore decide di partire per l’Iran, ad Abadan, dove lavorerà per un anno e mezzo in una raffineria per il sostentamento della famiglia.
È nella distanza che separa Tel Aviv da Abadan che scava l’assenza e si fa intensa la nostalgia di Adelina per Ettore e di Ettore per Adelina. Per sentirsi meno lontani, Ettore e Adelina si scrivono. Il loro carteggio, ricco di dettagli della loro quotidianità e fitto di tracce di amore e dolore, è arrivato fino a noi.
La lettere di Ettore ed Adelina hanno vinto il PREMIO PIEVE SAVERIO TUTINO nel 2011 ed sono state pubblicate da Il Mulino nel 2013 in un volume dal titolo "Parole trasparenti".
Altero Ciacci nasce ad Asciano nel 1923. Durante la Seconda guerra mondiale viene chiamato alle armi ed è inviato a combattere per l’esercito italiano nei Balcani. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, il suo reparto resiste per alcuni giorni all’esercito tedesco, ma viene costretto alla resa. Fatto prigioniero dai tedeschi, viene deportato ad Auschwitz, dove scopre la tragedia che stanno subendo migliaia di ebrei e prigionieri, e dove vive l’orrore più estremo: è incaricato della sepoltura nelle fosse comuni degli ebrei e dei prigionieri uccisi nelle camere a gas.
Quando passa il fronte russo, Altero si trova a una sessantina di chilometri da Berlino, in un campo di lavoro: viene liberato e comincia il lungo viaggio verso casa. A piedi.
Parte dalla Germania e arriva ad Asciano il 22 maggio del 1946, avendo perso l’udito per sempre.
Salomone Venezia, detto Shlomo, è un cittadino italiano ebreo residente in Grecia. Nasce a Salonicco nel 1923 da una famiglia ebrea. Shlomo e la sua famiglia sono molto rispettati nella loro città e ben integrati: le prime leggi razziali non impediscono loro di vivere come liberi cittadini. Ma quando nell’autunno del ‘40 Mussolini attacca la Grecia e si trova a dover affrontare un’aspra resistenza, interviene anche la Germania. La Grecia si ritrova allora contemporaneamente occupata dagli italiani e dai tedeschi: entrambi avevano gli elenchi degli ebrei e improvvisamente tutti gli ebrei residenti in Grecia sono schedati e perdono i loro diritti. Nel 1943 cominciano le persecuzioni e le deportazioni. Il consolato italiano offre agli ebrei italiani di Salonicco due possibilità: il rimpatrio verso l’Italia, destinazione Sicilia, o il trasferimento verso Atene, posta sotto l’amministrazione italiana. Per non lasciare il paese natale, molti scelgono il trasferimento ad Atene. Questa scelta però si rivela fatale perché dopo l’8 settembre del 1943 e la disgregazione dell’esercito, la zona di Atene cade in mano tedesca: Shlomo e gli altri ebrei italiani vennero deportati dai nazisti delle SS. L’11 aprile del 1944 Shlomo arriva ad Auschwitz-Birkenau insieme alla madre, alle tre sorelle, al fratello e ad alcuni cugini. Lì viene separato subito dalla madre e dalle sorelle. Due di loro, ritenute troppo giovani, e la madre, considerata troppo anziana per lavorare, vengono subito destinate alle camere a gas. Della sorella più grande invece, Rachele, Shlomo perde traccia quel giorno. La rivedrà solo tredici anni dopo, nel 1957. Quanto a lui e Moise, il fratello maggiore, vengono obbligati a lavorare nei Sonderkommando, squadre di deportati che devono prendere in carico la cremazione e lo smaltimento dei corpi degli altri deportati. I Sonderkommando vengono periodicamente smantellati e i loro membri uccisi per evitare di diffondere testimonianze troppo precise del progetto di sterminio del regime nazista. Shlomo fu uno dei pochissimi sopravvissuti dei Sonderkommando e uno dei due soli italiani che ne fecero parte.