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Amore

A COME AMORE

Amore è la storia di una vita scritta su un lenzuolo in una notte da una contadina lombarda; l’ardore sfrontato di una ragazzina per un uomo di borgata che non teme nulla tranne l’amore; la passione clandestina che divora, con l’inchiostro, centinaia di fogli bianchi, spediti in gran segreto da una contessa al suo soldato; il sentimento che nasce per corrispondenza tra Udine e Algeri, tra una studentessa annoiata e un botanista autodidatta; ma è anche quello tra un padre immigrato e una figlia che diventa “campionessa di parole” nella lingua d’accoglienza o quello di un ragazzino balilla per il suono della tromba di Armstrong, che arriva con le truppe americane al momento della Liberazione. 

Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, dunque?

L’Archivio dei Diari vi propone un percorso di lettura che abbraccia diverse epoche e luoghi della storia.


 

All’interno di questo percorso troverete:

  • La passione clandestina tra una nobildonna milanese e un soldato di fanteria nell’Italia dell’Ottocento, da scoprire attraverso il carteggio appassionato della Contessa Emilia;
  • La vita coniugale di due contadini della bassa padana tra gli anni ’20 agli anni ’80, scritta in una sola notte su un lenzuolo da Clelia Marchi;
  • Un amore sbocciato su carta tra Udine e Algeri negli anni ’50 tra una studentessa malinconica e desiderosa di scoprire il mondo e un botanista autodidatta e geniale, da ricostruire attraverso le lettere di Leo Ferlan;
  • L’amore per il suono della tromba di Armstrong che arriva in Italia con le truppe americane raccontato attraverso i ricordi di un giovane, ormai cresciuto, degli anni ‘40, Ivano Cipriani;
  • L’amore vissuto come possibile rifugio e tentativo di redenzione da ripercorrere attraverso le pagine degli undici bloc-notes riempiti d’inchiostro in carcere da Claudio Foschini;
  • L’amore platonico tra due adolescenti degli anni ’60 nella provincia romagnola, affidato a un diario in cui vengono anche appuntati sogni e disegni - Massimo Bartoletti Stella;
  • L’amore di una figlia che decide di diventare “campionessa di parole” per far conoscere al mondo la storia del padre, che vive nella sospensione senza voce dell’esilio – Houda Latrech;
  • L’amore assoluto di una figlia per la madre partita all’estero a cercare lavoro per permettere a lei e alle sue sorelle di vivere – Liudmila Florenta;
  • L’amore dolce amaro per la famiglia, rifugio generatore di vita e al contempo orizzonte negato in tempo di guerra, da assaporare attraverso le memorie di Magda Ceccarelli De Grada.

 

Emilia
Milano Marzo / Giugno 1875
Una lettera tratta dall'epistolario di Emilia fotografata da Luigi Burroni

Sulla prima pagina dell’atlante, alla lettera A, troviamo l’emozione che più di ogni altra toglie il respiro e le parole: l’amore. 

L’amore è inafferrabile, ineffabile, può assumere qualsiasi forma. Vi proponiamo di cominciare da uno dei diari più antichi conservati tra i nostri scaffali, quello di Emilia, una contessa milanese che vive una passione divorante e clandestina per Federico, un bersagliere, nell’Italia benpensante dell’Ottocento. 

Che il viaggio abbia inizio, buona lettura!

 

Una storia d’amore clandestina tra una contessa e un ufficiale dei bersaglieri nell’Italia dell’800.

Milano, 1872. Emilia è una nobildonna, vive a Brera con i cinque figli e il marito ostile, soprannominato da lei “L’Orso”. Federico A., è un ufficiale dei Bersaglieri, stanziato in Meridione per combattere il brigantaggio. Federico vive per un breve periodo a Milano e fa la corte a Emilia, osservandola dalla finestra. Lei resiste, poco, poi cede e inizia un fitto carteggio amoroso che accompagna una passione divorante, fatta d’incontri clandestini, parole d’amore scritte su ogni lato della carta da lettere a formare ricami, soggiorni in giro per l’Italia in alberghi d’infima categoria per nascondersi dagli sguardi indiscreti, distacchi strazianti dovuti al recapito tardivo di una lettera e riavvicinamenti assoluti non appena s’intravede la possibilità di ritrovarsi. 

Emilia, cagionevole di salute, ma combattiva di spirito, vive di questa luce segreta sotto il tetto coniugale e non si perde d’animo, fino a che, esasperata dal marito, che la sottomette e del quale non è mai stata innamorata, riesce a chiedere e a ottenere la separazione legale. Dopo la separazione, Emilia e Federico continuano a vivere a distanza la loro passione, che li consuma fino all’ultimo colpo di scena: Emilia, dopo la malattia e la morte del marito, decide di porre fine alla loro relazione e Federico, umiliato e folle d’amore, si toglie la vita. 

 


 

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Clelia Marchi
Care Persone Fatene Tesoro
Il lenzuolo di Clelia Marchi fotografato da Luigi Burroni

La vita coniugale di due contadini della bassa padana tra gli anni ’20 e gli anni ’80, scritta su un lenzuolo in una sola notte, da Clelia Marchi.

 

 

Dopo la repentina perdita del marito Clelia, contadina ormai anziana, decide di trascrivere i ricordi della sua vita. Scrive molto, scrive ovunque, in casa conserva “15 chili di carta scritta”. Una notte però, si accorge di aver finito la carta, ma non può frenare la scrittura, che sgorga libera come le lacrime di una vita di privazioni e dolori. Clelia, che non ha potuto andar oltre la seconda elementare, ricorda con precisione la lezione della maestra sugli Etruschi, che utilizzavano le lenzuola funebri come supporti per la scrittura. Se lo hanno fatto loro, può farlo anche lei. Così Clelia va a cercare il suo lenzuolo più bello, un lenzuolo a due piazze, quello del corredo nuziale. Mai utilizzato.

Clelia comincia a scrivervi sopra la storia della sua vita di bracciante povera e madre e del suo amore per il marito, Anteo.

La sua voce toccante rivela il valore di una vita condivisa e il sostegno reciproco. Il lenzuolo diventa il testimone delle sue notti insonni e il depositario dei suoi ricordi più preziosi. Clelia rievoca momenti di gioia, di lotta e di perdita, offrendo una testimonianza intima e autentica della sua vita, affrontata sempre con determinazione, resilienza e amore.

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Leo Ferlan
Alger, ottobre 1952 / gennaio 1953
Una delle lettere di Leo Ferlan fotografata da Luigi Burroni

Un amore sbocciato su carta tra Udine e Algeri negli anni ’50 tra una studentessa malinconica e desiderosa di scoprire il mondo e un botanista autodidatta e geniale, da ricostruire attraverso le lettere di Leo Ferlan.

 

 

Algeri 1952. Leo, un giovane italiano di Idria (oggi Slovenia), botanista autodidatta, integra un gruppo di ricerca francese che lo incarica di cartografare la vegetazione del territorio algerino della bassa valle dell’Oued Cheliff. Percorre il paese in lungo e in largo, le città di Algeri, Mascara, Saida, El Kheider, Garyville, Bou Alam, Aflou, Laghouat, Ghardaia, Djelfa, Boghari, Medea; ma anche il bosco di eucalipti di Hamadena, le lande del Bled Teferchat, i terreni argillosi del Sidi Abd El Kader Moul Gaa, le sabbie e la polvere d’Ourizane, le rocce rosse del Dahra, il territorio del Kudia bel Krarrouba, i boschi di tamerici e le caverne del Kef N’Soura, i campi paludosi di giunchi del Merdja Sidi Abed, il deserto del Sud Oranese.

Un giorno riceve una lettera da una giovane donna del suo paese, Miriam Colautti, amica di amici, che gli chiede consiglio per trovare lavoro ad Algeri. Leo intercetta il malessere della compaesana, accoglie il suo desiderio di evasione, ma le suggerisce di restare e di trovarsi una passione. Lei lo prende alla lettera: Miriam comincia a scrivere a Leo con regolarità, la prima lettera è cordiale, la seconda amichevole, la terza è una lettera d’amore.

Per tre anni Myriam e Leo si amano a distanza, attraverso un carteggio fitto di racconti, immagini, considerazioni sull’amore e sulla vita, tra Algeri e Udine. Leo ama l’Algeria, ma ama Miriam più della sua terra d’elezione, decide così di tornare in Italia per sposarla. Il ritorno ha però il gusto amaro del compromesso: Leo ottiene una posizione a Bergamo, lontano dal Friuli di Miriam e dalla luce d’Africa. La corrispondenza continua, l’impazienza si fa grande e con essa la consapevolezza dei limiti cui vanno incontro entrambi. Leo e Miriam riescono a sposarsi, ma Leo, affetto da una malattia rara, muore a 33 anni, nel 1961.

Miriam ha conservato le lettere di Leo per tutta la vita e le ha affidate all’Archivio di Pieve Santo Stefano nel 2008.

 

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Ivano Cipriani
La tromba di Armstrong
Louis Armstrong con la sua tromba

L’amore per il suono della tromba di Armstrong che arriva in Italia con le truppe americane raccontato attraverso i ricordi di un giovane, ormai cresciuto, degli anni ‘40, Ivano Cipriani.

 

Roma, 1926. Ivano nasce nella capitale da una famiglia antifascista di origine toscana. È figlio unico e vive con altri sei adulti, zii, nonni e un cugino più grande. La famiglia lo ricopre di attenzioni, premure, amore. Vogliono che il piccolo possa farsi una posizione nella società e per tutelarlo, in quel clima politico a loro così ostile, accettano che diventi Balilla. La mente di Ivano, ancora bambino, nella sua innocenza viene plasmata dagli schemi del regime. Il diario ripercorre l’itinerario del suo coinvolgimento inconsapevole e analizza i meccanismi volti a generare l’adesione dei giovani al fascismo. Poi attraverso le amicizie, le letture, gli amori e soprattutto la musica, che arriva dall’America insieme alle truppe liberatrici, Ivano scopre che al corredo nero da Balilla e al rigore delle parate, preferisce i suoni morbidi del blues. La rottura avviene in un istante, nell’istante esatto in cui sente per la prima volta la tromba di Louis Armstrong. Il suono di quella tromba lo incita alla rivolta.

Da quel momento Ivano inizia il suo percorso di liberazione personale e quella ribellione sotterranea propria alla gioventù, con il tempo, assume una dimensione politica. Ivano approda al comunismo, proprio quel comunismo da cui i genitori avevano voluto proteggerlo per garantirgli un futuro.

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Claudio Foschini
Maria
Le memorie di Claudio Foschini fotografate da Luigi Burroni

L’amore vissuto come possibile rifugio e tentativo di redenzione da ripercorrere attraverso le pagine degli undici bloc-notes riempiti d’inchiostro in carcere da Claudio Foschini

 

Roma, 1949. Tra le baracche del Mandrione nasce Claudio Foschini, da una madre “scarpara”(ladra di portafogli in gergo romano) e un padre che vende l’Unità alla stazione Termini (“lavoro di prestigio fra i poveri”). La sua infanzia assomiglia a quella di tanti bambini delle baracche romane, Claudio cresce nella miseria, ma il clima di solidarietà che regna all’interno della famiglia e della comunità di borgata danno speranza e persino gioia. Tra vicini ci si dà una mano, si passano le giornate insieme e s’inizia anche a fare le prime ragazzate in banda.

Poi è il tempo del collegio, inevitabile per le famiglie più povere, per garantire ai figli pranzo e cena. Ma la separazione dalla famiglia e l’educazione rigida del collegio lasciano delle ferite profonde nel giovane Claudio, che comincia ad essere abitato da un desiderio crescente di ribellione e vendetta. I primi furti li inizia a fare quasi per gioco, ma di lì a poco arriva al carcere minorile di Porta Portese. E da quel momento inizia una spirale vertiginosa fatta di carcere, furti, rapine, ancora carcere e molta droga. La vita si alterna tra dentro e fuori, più dentro che fuori, e nonostante il senso d’ingiustizia rispetto a ciò che Claudio vive come un destino, la reclusione è un momento di riflessione e bilancio, di memoria e proiezione. È così che Claudio riempie undici bloc-notes raccontando la sua vita, in modo onesto e autentico, lo fa per lenire il passare del tempo dietro le sbarre, ma anche per avvertire quei ragazzi che potrebbero essere attirati dalla stessa strada verso la facilità, solo presunta e mai goduta. La scrittura, così come il teatro in carcere, permettono a Claudio di assaporare l’inizio di un riscatto che però non avviene mai fino in fondo: a neanche sessantuno anni, un mattino di maggio del 2010, Claudio viene ucciso da una guardia giurata in borghese in una tabaccheria, durante l’ultima rapina.

Claudio Foschini, “ragazzo di vita” autentico, ci affida la sua vita rocambolesca con generosità e lucida incoerenza, offrendoci un ritratto “da dentro” della Roma borgatara di quegli anni.

 

 

 

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Massimo Bartoletti Stella
Snamoramento
Alcune pagine del diario di Massimo Bartoletti Stella fotografate da Luigi Burroni

L’amore tra due adolescenti degli anni ’60 nella provincia romagnola, affidato a un diario in cui vengono anche appuntati sogni e disegni - Massimo Bartoletti Stella.

 

A quattordici anni Massimo s’innamora di Katia e affida la sua passione a un diario: attraverso appunti quasi quotidiani, sogni narrati, schizzi e ritagli di giornale, Massimo ripercorre e rende universale l’amore tra due adolescenti degli anni ’60 nella provincia romagnola: le biciclette, il mare di Cesenatico, le domeniche al cinema "San Vittore", quando, nel buio, le mani di Massimo e Katia si incontrano e si stringono.

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Magda Ceccarelli De Grada
17 marzo - 14 maggio 1943

L’amore dolce amaro per la famiglia, rifugio generatore di vita e al contempo orizzonte negato in tempo di guerra, da assaporare attraverso le memorie di Magda Ceccarelli De Grada.

 

Attraverso una scrittura limpida, fatta di potenti folgorazioni poetiche e raffinate analisi politiche, Magda Ceccarelli offre - per la sua posizione unica che le permette di auscultare tanto i sussulti dell’alta società (secondo le norme della quale vive) quanto quelli del proletariato (cui si sente appartenere) - una testimonianza d’eccezione.La convinzione politica, passione bruciante che la porta a sognare di combattere tra i Partigiani con il figlio, va di pari passo con l’amore per la famiglia e il desiderio di vivere insieme al marito, il pittore Raffaele De Grada, e i due figli, Raffaelino e Lidia, sempre uniti sotto lo stesso tetto. Magda è al contempo poetessa e casalinga, militante e madre di famiglia, intellettuale e vivandiera per la Resistenza. La sua vita incrocia quella di intellettuali importanti quali Guttuso e Vittorini, famiglie altolocate, resistenti straordinari come Venanzi, Ingrao, Pontecorvo, Agostoni e Curiel, ma anche contadini affamati e donne di servizio fedeli e nemiche. E tra le sirene che annunciano l’inizio della guerra e la folla accalcata in Piazzale Loreto per assistere allo spettacolo “sconcio” dei cadaveri degli assassini, Magda matura una convinzione: “È bello vivere e soprattutto aver vissuto così. Aver portato un piccolo contributo, un sacrificio di lacrime e d’azione. Aver aiutato a vincere. Essere stati nel vero. Sempre, senza confusioni, senza incertezze, senza pentimenti. Aver visto chiaramente la strada e averla seguita. Essere stati onesti nella nostra fede.”

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