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Tratto da

Un luogo, un tempo

Autore

Bruno Travaglini

Tempo di lettura

5 minuti

Il ricordo dell'estate del '44

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Come vi avevano ucciso
Un atto di comprensione? No! Un atto di estrema. crudeltà.

Poi, un giorno ci chiamano in Chiesa. Hanno riportato gli effetti personali dei nostri morti. La mamma incarica me di andare a vedere. - Vai tu Bruno, io non ho il coraggio. Povera mamma, si attaccava a me come fossi l'uomo di casa. Si, si, mamma sarò quello che vuoi tu, ma io vorrei essere solo quello che sono: un ragazzino che ha ancora bisogno di essere consolato. In Chiesa il prete mi consegna il portafoglio del babbo. C'è sopra un'etichetta scritta a mano "Travaglini". Lo apro, ci sono i documenti e le fotografie macchiate di sangue. In un angolo della sacrestia c'è un mucchio di tascapani, valigette, borse, cappelli. Le donne frugano in quel mucchio, cercano quello che apparteneva ai loro mariti ed ai loro figli e quando lo trovano alcune lanciano un grido, altre se ne vanno piangendo sommessamente. Trovo il tascapane del babbo, lo conosco bene da piccoli particolari. È chiuso con i due bottoni. Lo apro, dentro c'è un pezzo di pane secco, la bottiglia vuota del vino, il cucchiaio, la forchetta e la gavetta attraversata da un solco lasciato dal proiettile. Poi trovo il cappello, che portava sempre in testa. Lo riconosco è il suo: il nastro, l'etichetta interna. Un foro lo attraversa da una parte all'altra. Tornato a casa la mamma guarda inebetita quella roba, poi scoppia in lacrime. Nei giorni successivi venimmo a sapere cosa era avvenuto a Castelnuovo. Arrivati a notte fonda nel paese, i prigionieri furono rinchiusi nella saletta del piccolo cinematografo. L'indomani, e per tutto il giorno, furono tenuti all'oscuro della loro sorte, finché alla sera, furono divisi in tre gruppi. La discriminante fu la nota dei turni di guardia alla miniera che i tedeschi avevano scoperto e che, imprudentemente, era stata nascosta invece di essere distrutta. Gli iscritti in quella nota, o note, settantasei persone in tutto, furono chiamati e divisi dagli altri. Successivamente, dal gruppo rimasto, furono chiamati fuori i giovani fino a Ventisette anni. Dei tre gruppi: il primo, il più numeroso, era destinato alla morte; il secondo, quello dei giovani, alla deportazione; il terzo, lasciato libero di tornare a casa.

Ma nessuno di loro conosceva il destino che li attendeva. Durante quella divisione, quando fu chiamato Mastacchini Agostino rispose anche il figlio Raffaello un ragazzo di sedici anni, e quando gli fu chiesto se fosse il figlio di Agostino rispose di sì, chiedendo di essere mandato con il padre. Fu accontentato. Un atto di comprensione? No! Un atto di estrema. crudeltà. Quello era il gruppo destinato a morire. Alle 19 il gruppo dei settantasette fu fatto uscire dalla sala ed avviato, sotto forte scorta, lungo la strada che conduceva fuori dal paese. Non per pietà ma perché tutto si svolgesse con ordine, gli fu detto che venivano trasferiti presso il comando tedesco per essere interrogati. La trappola mortale che era stata preparata in ogni particolare stava per scattare su quei poveri uomini che camminavano in gruppo serrato per atavico istinto di sicurezza e per il nugolo di armati che li pressava da ogni lato. Andavano silenziosi e disperati con il pensiero rivolto alle famiglie. Andavano sotto i raggi di un sole ormai al tramonto, sentendo crescere ad ogni passo la consapevolezza della loro prossima fine.

Non appena entrati nel fondo si accorsero dei compagni morti;

Come furono uccisi lo racconterà poi la scarna testimonianza di un contadino e vide tutto stando nascosto dietro una siepe.

“Vidi il gruppo degli uomini camminare inquadrati in direzione della Centrale. Per il sopraggiungere di un aereo furono fatti fermare fra il Canneto e il Tombino. Passato l'aereo ne vidi muovere un gruppo di circa una quindicina che a mani alzate s’incamminarono verso il fatale Vallino; giunti sulla costa gli venne sparato con due mitraglie che si trovavano piazzate nella vicinanza, lato Castelnuovo, e i corpi esanimi di quei disgraziati precipitarono nel fondo del Vallino stesso. Dopo di ciò vidi muovere il secondo gruppo (circa 60) che sempre inquadrati furono fatti incamminare sulla strada che passa dietro il Vallino e quindi fatti entrare in questo dalla parte opposta a quella dove caddero i primi. Non appena entrati nel fondo si accorsero dei compagni morti; vidi allora tutta la massa degli uomini agitarsi come per tentare la fuga, udii quei poveretti urlare disperatamente, le mitraglie entrarono in funzione e rapidamente il massacro fu compiuto. Quei disgraziati quando si accorsero di non poter fuggire si riunirono come in un abbraccio e cosi caddero per sempre! Vidi allora i militi scendere net fondo della grotta, rimuovere i corpi ad uno ad uno e dargli il cosiddetto colpo di grazia con la pistola. I cadaveri furono poi dai militi stessi gettati in una buca sottostante".

Così un contadino di Castelnuovo ci fece sapere come vi avevano ucciso.