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Tratto da

I ricordi di un emigrante pievano

Autore

Dante Crescioli

Tempo di lettura

8 minuti

Il ricordo dell'estate del '44

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Infanzia
Poi dopo qualche anno, un altro aereo decollato da Arezzo precipitò tra il Fossone e la casa di Pierreggio. Noi ragazzi assidui pescatori del Tevere, fummo i primi ad arrivare sul posto, il pilota naturalmente morì, e noi prendemmo un piccolo rottame dell'aereo per ricordo, dopo gli anni e le vicende della guerra tutto è andato disperso.

Se dovessi qui ricordare, descrivendo tutte l'emozionanti vicende, dall'età e periodo dell'Asilo infantile con il risotto nel refettorio denso dal brodo di fagioli di Suor [Melaina], alle ballotte conservate calde apposta per la nostra uscita dall'Asilo, sotto uno straccio di imballaggio della Cara Zoppina e della Ciocia, fino ai miei circa 20 anni trascorsi alla Pieve, dovrei scrivere per non so quanto. Avevo si e no 6 o 7 anni quando un pomeriggio d'estate verso le 5 o le sei vidi volare il primo aereo, questo avvenne mentre ero intento e incuriosito ad osservare la battitura del grano nell'aia del Marchetti, vi fu ricordo delle discordi discussioni circa le dimensioni dell'aereo che appariva piccole tanto non si poteva stabilire l'altezza, ma si trattava logicamente di un piccolo aereo da turismo o scuola. Poi dopo qualche anno, un altro aereo decollato da Arezzo precipitò tra il Fossone e la casa di Pierreggio. Noi ragazzi assidui pescatori del Tevere, fummo i primi ad arrivare sul posto, il pilota naturalmente morì, e noi prendemmo un piccolo rottame dell'aereo per ricordo, dopo gli anni e le vicende della guerra tutto è andato disperso. Il gioco per così dire più saliente, impegnato ed importante, risalente agli anni 33 - 34 per noi ragazzi ormai quindicenni fu il seguente: In quei anni, in particolare, si era acceso, in questo mio paese, una specie di vivace antagonismo di prepotente divaricazione ambiziosa, tra il prevalere dei ragazzini, ragazzi e anche adulti, ( che incitavano dietro le quinte ), rivaleggianti del Ponte Nuovo contro quelli della parte così detta alta del paese. Questo antagonismo che, preoccupava non poco i genitori, aveva come scopo finale una specie di guerriglia che addirittura pretendeva con la prepotenza il prevalere di una fazione sull'altra. Dunque una specie di guerra o guerriglia si, alla buona come mezzi d'offesa, ma pur sempre pericolosa anche se espressa con primitivi e rudimentali aRme adatte all'offesa. Come si è detto i principali frontisti contendenti erano: il Ponte Nuovo contro la cosiddetta parte alta o Nord del Paese: Il Comando quartiere generale della forza Nord era situato tra le traverse e le cataste di legna del Fulini, poste dietro e, quasi a ridosso della Triannina e l'officina di Pippo Fanfani, Chierici-Mugnaino. Esso era capitanato e diretto da ottimi strateghi, quali: Tonino Cantucci, Plinio Pellegrini, Caifo Cascianini, tutti e tre bravi comandanti. Essi avevano inoltre il vantaggio di avere anche come alleati simpatizzanti, tutta la parte nord del Campo alla Badia, parte del Rialto e del Ponte Vecchio, mentre noi del Ponte Nuovo, dove io militavo, combattevamo solo con le nostre forze, e con tutti i mercenari rinnegati della parte opposta che riuscivamo ad intrappolare. Sebbene noi inferiori di mezzi, e di comandanti strateghi, eravamo però più decisi, più coraggiosi, spregiudicati e sprezzanti. Il posto di ritrovo, o Comando organizzativo del Fronte Sud o Ponte Nuovo, era situato e addossato ai campi del [ Pietro ], poco lontano dal Ponte Nuovo e, precisamente di fronte allo scarico della Nettezza Urbana di Biffulino, in fondo ai giardinetti pubblici poco prima dei scoglini riserva utile per noi da dove rastrellavamo oggetti di lamiera ed altro che, posti in nascosti ed obbligati stradelli di passaggio provvedevano a segnalarci, come campanelli d'allarme, eventuali intrusi, nonché servivano da protezione alla sassaiola che dal muro dei giardinetti raramente qualche nemico in corsa si azzardava ad indirizzarci. Il nostro posto era comunque situato in una zona di relativa sicurezza. Ad evitare una qualunque sorpresa, bisognava attraversare il Tevere dai scoglini, ma soprattutto perché era prossimo ad un posto, assai nascosto dall'erba e, da rami vari, dove nascondeva al nemico un segreto strategico di risoluta importanza. Questo asso nella manica si chiamava FOGNA- e di questo parleremo più avanti-. I nostri Capitani di battaglia o di Ventura, erano: in primissimo luogo l'eroina Cecca Brazzini, Aldo Barbagli, Pellico, Ascanio - truppe di rottura e d' assalto eravamo nell'ordine di coraggio- Bruno di[ Gassanante] e suo fratello Pulenda, Bista della Cecca, Nino Lanzi, Loli e Roberto di Cristo de Pero, io e mio fratello Bista, il Ghiaccini, Vinicio, Guido Giorni e il carissimo amico Gigi Latta ( o Gennaioli ), il quale era il luogotenente dei rinnegati e ne aveva il comando. La Zona del Campo di Battaglia, considerata neutra, che distanziava in primo tempo i due fronti, era delimitata all'altezza dell'Osteria di Pippo di Refe, la Sora Assunta e la bottega di falegname di Geremia Nasini e dal lato sud, l' Alberone, questa era la terra di nessuno. Se la parte Nord veniva respinta oltre l'allora Casa Marchetti, poi Ferroni, questi erano considerati sconfitti, mentre per noi il limite erano i giardinetti.

A quel punto la battaglia poteva considerarsi vinta, e ripetendosi per altre volte con lo stesso risultato, rimasto per lungo tempo segreto, ci volle molto tempo prima che essi scoprissero il vantaggio che veniva offerto a noi del Ponte Nuovo dalla cosiddetta FOGNA.

LA FOGNA

In fondo ai giardinetti pubblici ( diversi ora da come, a quel tempo), vi era una strada che scendeva giù nell 'Ancione da dove le nostre donne e lavandaie si calavano con i carrettini e le paniere di panni da lavare sui lavatoi formati di lastroni naturali alla buona. Tra questa strada, o posizione delle lavandaie, e la passerella rustica formata da un vecchio trave con appena un filo di ferro per passamano, che serviva per attraversare l' Ancione onde incamminarsi verso Casavecchia ove abitava Alessio e famiglia molto numerosa, contadino dell'Allora podestà Andrea Collacchioni, e le lavandaie, tra questi due punti di riferimento o distanze, vi era sul muro, piuttosto nascosta da rampicanti e ramaglie varie, una buca, o fogna, della grandezza di cm 50x50 circa. Fogna che pochissimi anche veri pievani non conoscevano ne allora ne dopo, e non so se esista ancora oggi. Ebbene questa fogna, assolutamente buia e tutta sotterranea, collegava la distanza tra le lavandaie e nientedimeno all' angolo della Caserma dei Carabinieri, il cui orticello,dove essa terminava, rimaneva al di sotto di qualche metro del piano stradale, sorretto dal muraglione che a sua volta limitava l'Orto della Sora Assunta fino a congiungersi con la casa della stessa. La FOGNA in parola la quale rappresentava già di per se un atto sconsiderato e pericolosamente ardimentoso, eppure alcuni di noi, 5 o 6, uno dietro l'altro la percorrevamo a gattoni quasi strisciando, proprio per sfruttare una formidabile mossa strategica di sorpresa sconfiggendo i nostri avversari. Le armi per tutti uguali erano:

1) Armi d' artiglieria, cioè colpire da lontano prima di avvicinarsi;" LE FRECCIE A ELASTICO".

2) fionde a mano e sassi lanciati sempre a mano.

3) Fruste e frustoni lunghe e lunghissime fatte di vinco intrecciato e scatole di legno.

STRATEGIA E ORDINE DI BATTAGLIA

Il Ponte Nuovo adottava la falsa tattica di avanzare, piano piano quasi con paura, cercando di coprirsi e ripararsi il più possibile dietro gli alberi lungo il muro dell'Ancione, dietro le fascine del Barbagli, o dietro i robusti castagni d'india che correvano lungo l'allora circonvallazione. Avanzando assai poco e lentamente, talvolta allo scoperto, invitavamo i cosiddetti nordisti ad occupare tutta la zona della terra di nessuno, fino ad oltrepassare l'alberone, l'albergo la stella, e la bascula, a quel punto con segnali opportunamente concordati fra di noi, che consistevano con fischi con le dita in bocca, uscivamo dalla fogna dell'Orto dei Carabinieri, e protetti dal muraglione che limitava la strada della circonvallazione soprastante, attaccavano di fronte, e alle spalle il nemico con decise fiondate, sassate e frecciate. Questi presi così improvvisamente tra due fuochi, e non rendendosi conto di come ciò potesse avvenire, fuggivano precipitosamente sbandati e anche feriti, sicuramente con i tacchi delle scarpe inchiodati al sedere. A quel punto la battaglia poteva considerarsi vinta, e ripetendosi per altre volte con lo stesso risultato, rimasto per lungo tempo segreto, ci volle molto tempo prima che essi scoprissero il vantaggio che veniva offerto a noi del Ponte Nuovo dalla cosiddetta FOGNA. Risultati, nessun caso grave, ma diversi con le teste fasciate, simbolo di indole battagliera.