Autore
Gabriella ZoccaAnno
-Luogo
BolognaTempo di lettura
8 minutiDipanando un lungo filo
Quando Delmo rientrò in casa aveva in mano una ricevuta e tristemente disse:
"Per avere la speranza di recuperare questi soldi occorre che scacciamo i crucchi e i fascisti! Ma sono contento lo stesso di avere aiutato quei giovani. Spero solo che qualcuno faccia, lo stesso con mio figlio. ovunque lui sia”.
Guardò con tristezza la stalla vuota, poi, tutti insieme Delmo, Norina, io, il vecchio garzone e Flo il cane, ci preparammo un giaciglio con la paglia e ci coricammo, facendo finta di non sentire nè le cannonate, nè Pippo.
Ma io non dormivo: rivedevo quegli occhi azzurri che, pensavo, non avrei piò rivisto. Come mi sbagliavo!!!!
Anche quel terribile inverno finì: marzo, aprile....
Io ero stata segnalata alle brigate nere e mi ero rifugiata, prima presso il contadino della Via Lunga, poi dai Notari. Anche la nostra attività era diminuita: eravamo troppo in zona di comabattimento: Balugani non era ritornato da un'azione e mai ne ho saputo nulla.
Quel Bucanen, mio primo rozzo corteggiatore era stato preso, ferito in comabattimento, torturato ed ucciso:
Si chiamava ETTORE GUBELLINI ed aveva 19 anni: io piansi!
Una notte a Crespellano tre razzi di Pippo avevano causato una terribile strage di innocenti, demolendo una vecchia grande casa colma di cittadini innocenti. I superstiti e gli altri abitanti del Paese si sparsero nelle campagne. La mia famiglia si rifugiò con me altri sfollati nella stalla dei generosi Notari. Un'umanità dolente spaventata e senza risorse.
Fortunatamente non ci mancava il pane, ma solo quello. Era uno dei risultati delle attività delle donne dei "Gruppi di Difesa della Donna" che in quei periodi avevano compiuto azioni eroiche: proteste anche violente per la liberazione dei rastrellati, per la distribuzione del sale, dello zucchero (che poi sparì dai magazzini), e sopratutto l'assalto senza armi al silos, del grano prima che i tedeschi lo portassero via. Ma quest'ultima operazione era costata cara: due cadute.
La notte che, percorrendo quella stradina tutta buche che va da Oliveto alla Fornace di Pragatto, arrivarono gli americani è certamente tra le più indimenticabili della mia vita.
 
Ci davamo il cambio con mio Padre e con Delmo, naturalmente Floc, per stare di guardia.
Da giorni vedevamo lungo i crinali delle colline scendere verso la pianura soldati tedeschi, soli o a gruppetti, a piedi, senza armi, senza mezzi. La casa dove eravamo ospitati si trovava sopra un "cucuzzolo'' dal quale si godeva di un ampio panorama. Noi ci chiedevamo, preoccupati; “ma dove è l'esercito tedesco? Staranno arrivando i Liberatori?".
Serpeggiava molta paura tra gli sfollati. Chi li avrebbe potuti difendere? Io e un’altra staffetta che non sapevamo neppure usare quelle rivoltelle che ci avevano volute consegnare?
Ci davamo il cambio con mio Padre e con Delmo, naturalmente Floc, per stare di guardia.
Eravamo preoccupati: il nostro isolamento, la paura che si diffondeva, i generi alimentari che cominciavano a scarseggiare, l'irrequietezza dei bambini……!
Arrivò la notte fatale: il  pomeriggio del giorno precedente un gruppo di undici tedeschi ci chiese di accettare la loro resa, obbligando a sottomettersi anche il graduato che non ne voleva sapere. Come dire di no? Come dire di si con il rischio che arrivasse una pattuglia tedesca di altro avviso?
Decidemmo per il si: togliemmo loro le armi, li facemmo sedere in terra nell'angolo più lontano della cucina, ammucchiando le armi nell'angolo della legna dietro il camino.
Di guardia, nel mezzo, noi quattro e Floc. Una eterna notte senza sonno, anche perchè lungo la stradina che noi ritenevamo impraticabile sfilavano senza sosta mezzi meccanici. Buio completo senza luna: non riuscivamo a capire chi fossero: possibile che i tedeschi avessero potuto far confluire un esercito così numeroso ed attrezzato? Poi queste colonne non venivano dalla  pianura, ma andavano verso essa!!!!
Finalmente, dalla  porta  della  stalla,  con gran rumore, un gruppo di soldati armati fino ai denti, irruppe con gran spavento degli sfollati. Chi erano? Lo capì subito il graduato tedesco che fece per buttarsi sulle armi, ma il cane lo agguantò con un morso ad un braccio, dandoci il tempo di intervenire.
Erano  americani !!!
Raccolsero le armi dei tedeschi, i prigionieri, poi entrarono da noi in cucina. Gli sfollati restarono nella stalla. Fu grande e totale festa intorno al camino acceso, con grande allegria! Che sollievo!
Voglio raccontarvi un episodio dolcissimo: la mia sorellina Cia, di undici mesi (nata  sotto i  bombardamenti) era bionda, bianca, bellissima. Dormiva scoperta sulla paglia: non aveva sentito nulla. Era molto in  vista: dopo mezz'ora vicino a lei, sulla paglia, si era ammucchiata ogni grazia di dio: coperte, latte in polvere, barattoli con ogni genere di alimenti, cioccolata ecc……Forse qualcuno di quei Guerrieri aveva ricordato i figli lontani!
Raccontare la gioia e il sollievo che travolse tutti dopo la Liberazione è impossibile: rinascevamo con la speranza per il domani. Ed eravamo vivi!
Per mesi tutti i razzi, i bengala e ogni cosa che potesse far luce illuminò, le notti della Pianura Padana, finalmente senza Pippo!
Questa volta era finita davvero!
Gli  sfollati ritornarono in Paese, sistemandosi tra i resti delle case bombardate. Io e la mia Famiglia rioccupammo lo stanzone sopra la stalla, che ora non era più gelido. Non potemmo tornare subito a Bologna, perchè non avevamo più la casa.
Si iniziò a rimuovere le macerie, e con entusiasmo, nonostante la nera miseria e la mancanza di tante cose, si cominciò a desiderare, di ricostruire l 'Italia, sopratutto felici della  conquistata  Libertà.
Gli alleati non si intromisero nella vita di quel Paese: insediarono una Giunta comunale su indicazione del CLN, poi non li vedemmo più.
Sui muri delle case apparirono manifesti di tutti i partiti dell'arco della Resistenza. Io li guardavo, li leggevo e li trovavo tutti molto simili. Perciò conscia di voler partecipare a quella “cosa” strana che chiamavano "democrazia” ero molto perplessa.
Mio Padre,  che non potè partecipare attivamente in queste occasioni, perché sempre più ammalato era sempre stato Comunista. Io però avevo qualche diffidenza, anche se tra noi staffette il mito era stato TITO e la tessera del Partito Comunista Clandestino l ''avevamo accettata tutti. Era una decisione che dovevo maturare "IO".
Ma l’indecisione durò poco.
Erano tornati dal confino, dalle galere, dalla montagna i vecchi Antifascisti (che tanto vecchi non erano, tali sembravano a noi I8/20 anni). Tra essi "occhiazzurri”. Per me fu un colpo: immediatamente licenziai il ragazzotto che in casa consideravano il mio fidanzato.
E’ stato un periodo esaltante, per noi ragazzi: le scoperta della libertà, il desiderio di capire, di "fare".........Essere liberi di discutere senza doversi nascondere.
Tra noi, quasi subito, si creò chiaramente una differenzazione tra comunisti, socialisti, democristiani: ognuno cercava la sua strada. Furono discussioni, risse (verbali), ma anche lavoro fatto unitariamente per la ricerca di come volevamo questa nuova società.
Noi gruppi giovanili demmo anche vita ad un giornalino locale, ma che morì presto.
Confermai la mia adesione al Partito Comunista perchè, come sopra detto, nel 1944 ero stata sì inglobata all'interno della cellula del nostro gruppo, e mi ero iscritta, ma non l'avevo proprio maturata, era solo un aspetto della ribellione. i questo punto la mia adesione fu convinta.
Il ricordo dell'attività di quel periodo è, e rimane molto esaltante: con i "vecchi” e con i giovani si percorrevano le campagne in bicicletta: si organizzavano riunioni presso quei meravigliosi contadini che tanto ci avevano aiutato nell'illegalità. Si costituivano cellule del PCI, sezioni del PCI, formulavamo progetti,
programmi per la realizzazione della democrazia e perla ricostruzione.